Si dà alla fuga e non presta assistenza dopo l’incidente: condannato il conducente del furgone

Il cosiddetto reato di fuga si concretizza nella condotta di colui che, in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone, effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea senza consentire la propria identificazione né quella del veicolo.

Sul punto torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 43207/19, depositata il 22 ottobre. Il fatto. A seguito di un sinistro stradale in cui era stato coinvolto un furgone, il difensore dell’imputato ricorre in Cassazione deducendo violazione dell’art. 192 c.p.p. in relazione all’affermazione di responsabilità del suo assistito per non essersi fermato a prestare soccorso, in mancanza di prova. Reato di fuga e omessa assistenza. L’inottemperanza all’obbligo di fermarsi a seguito di un incidente, qualora ci siano persone ferite, è punita con la sanzione amministrativa e con quella penale della reclusione fino a 4 mesi in caso di incidente con danno alle persone . In quest’ultimo caso, se il conducente si è dato alla fuga la norma prevede l’arresto in flagranza e la sanzione accessoria della sospensione della patente. Infine, la sanzione penale più grave della reclusione fino ad un anno e multa è prevista per chi non ottempera all’obbligo di prestare assistenza. Per quanto riguarda quindi il cosiddetto reato di fuga, art. 189, commi 1 e 6, c.d.s., esso si concretizza nella condotta di colui che, in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato danno a persone, effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea senza consentire la propria identificazione né quella del veicolo. In dovere di fermarsi sul luogo dell’incidente infatti deve durare per tutto il tempo necessario allo svolgimento delle prime indagini per identificare il conducente e il veicolo coinvolto. Quanto poi all’obbligo di prestare assistenza, elemento soggettivo del suddetto reato è il semplice dolo eventuale, ossia la consapevolezza del verificarsi di un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia stato idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone. Il ricorso in esame, dunque, deve essere dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 25 settembre – 22 ottobre 2019, n. 43207 Presidente Bricchetti – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. P.L. ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe che ha confermato la sentenza di primo grado che l’aveva riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, commesso in omissis . 2. Il difensore ricorrente deduce violazione dell’art. 192 c.p.p., e vizio motivazionale in relazione all’affermazione di responsabilità, con particolare riferimento alla mancanza di prova che il P. fosse stato il consegnatario del furgone, successivamente coinvolto nell’incidente e, non avendo restituito il mezzo al L. , fosse colui che ha investito la Corsaro. A contrasto di quelli che sarebbero solo indizi, peraltro non gravi, precisi e concordanti, vi sarebbero le dichiarazioni di testimoni oculari, che avrebbero descritto un soggetto che non coinciderebbe con il P. . Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata. 3. I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi. Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. Il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed hanno risposto alla doglianza già proposta in quella sede circa la prova che fosse proprio il P. alla guida del veicolo che aveva investito la Corsaro, ricordando come il L. avesse confermato di avere affidato il proprio camper all’odierno ricorrente perché eseguisse alcuni controlli, senza che gli venisse restituito all’orario concordato, e, soprattutto, che l’imputato è stato riconosciuto in fotografia dalla vittima come colui che era alla guida del mezzo investitore. Tali circostanze, peraltro, non sono mai state contestate nel processo dall’imputato, che, pur avendo presenziato al giudizio di appello, non ha introdotto alcuna diversa rappresentazione dell’accaduto. Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente, peraltro genericamente, chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto. 4. Quanto al reato in contestazione, come ricordato da questa Corte di legittimità vedasi tra le altre Cass. Sez. 4, sentenza n. 9128 del 2012 , il nuovo codice della strada all’art. 189 descrive in maniera dettagliata il comportamento che l’utente della strada deve tenere in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, stabilendo un crescendo di obblighi in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare. Così è previsto, per quanto qui interessa, l’obbligo di fermarsi in ogni caso, cui si aggiunge, allorché vi siano persone ferite, quello di prestare loro assistenza. L’inottemperanza all’obbligo di fermarsi è punita con la sanzione amministrativa in caso di incidente con danno alle sole cose comma 5 e con quella penale della reclusione fino a quattro mesi in caso di incidente con danno alle persone comma 6 . In tale seconda ipotesi, se il conducente si è dato alla fuga, la norma contempla la possibilità dell’arresto in flagranza nonché la sanzione accessoria della sospensione della patente la sanzione penale è più grave reclusione fino ad un anno e multa per chi non ottempera all’obbligo di prestare assistenza. Si tratta di comportamenti diversi, lesivi di beni giuridici diversi ed attinenti, nel caso dell’inosservanza dell’obbligo di fermarsi, alla necessità di accertare le modalità dell’incidente e di identificare coloro che rimangono coinvolti in incidenti stradali e nel caso di omissione di soccorso, a principi di comune solidarietà. Quanto al reato di cui all’art. 189, comma 6, trattasi di un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste, come si è già osservato, nell’allontanarsi dell’agente dal luogo dell’investimento così da impedire o comunque, ostacolare l’accertamento della propria identità personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell’incidente. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che integra il reato di cui all’art. 189 C.d.S., comma 1 e 6 cosiddetto reato di fuga , la condotta di colui che - in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea, senza consentire la propria identificazione, nè quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire nè l’identificazione del conducente, nè quella del veicolo, nè lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica così questa Sez. 4 25.1.2001 n. 20235 rv. 234581 . Quanto poi all’obbligo di prestare assistenza, è pacifico che l’elemento soggettivo del detto reato ben può essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioè dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone. Come ancora affermato da questa Corte di legittimità nell’arresto giurisprudenziale prima richiamato, la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato che è integrato dal semplice fatto che in caso d’incidente stradale con danni alle persone non si ottemperi all’obbligo di prestare assistenza. Tale condotta, come già precisato in passato cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008, Rv. 238973 va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo. 5. Nè può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen così Sez. Un. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400 in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463 . 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Motivazione semplificata.