Condannato per violenza sessuale: l’attenuante della collaborazione con la giustizia non può essere applicata

Qualora la violenza sessuale sia scollegata da fatti relativi a fenomeni mafiosi di cui all’art. 416- bis c.p., non può trovare applicazione la circostanza attenuante specifica della collaborazione con la giustizia.

Questo è il principio espresso nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 42103/19, depositata il 14 ottobre. In riforma della decisione di primo grado, la Corte d’Appello dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato per i reati di cui agli artt. 56 e 629 c.p. perché estinti per prescrizione, rideterminando invece la pena per il reato di cui all’art. 609- bis c.p L’imputato, avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione, denunciando illogicità della motivazione relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e particolari, poiché la Corte territoriale ha omesso di valutare che il ricorrente era diventato un collaboratore di giustizia e aveva ammesso i propri addebiti. La collaborazione con la giustizia. Innanzitutto occorre ricordare che la concessione o il diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito. Per quanto riguarda poi il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione di cui all’art. 8 d.l. n. 152/1991, essa può essere riconosciuta solo per i reati ex art 416- bis c.p Ed è per questo motivo che essa non può essere riconosciuta nel caso in esame, infatti i Giudici di legittimità, rigettando il ricorso dell’imputato affermano il principio di diritto secondo cui, qualora la violenza sessuale sia volta a soddisfare la concupiscenza dell’autore e risulti scollegata da fatti relativi a fenomeni mafiosi di cui all’art. 416- bis c.p., non può trovare applicazione la circostanza attenuante particolare della collaborazione con la giustizia, poiché essa non può essere legata ad un mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma richiede una concreta e fattiva collaborazione dell’imputato, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori o a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 maggio – 14 ottobre 2019, n. 42103 Presidente Di Nicola – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 18 luglio 2018, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Lamezia Terme del 6 ottobre 2015 si è dichiarato di non doversi procedere nei confronti di V.M. per i reati di cui agli artt. 56 e 629 c.p. - capo D, commesso l’ omissis - e artt. 56 e 629 c.p., - capo F, commesso il omissis - perché estinti per prescrizione e rideterminata la pena relativamente al residuo reato di cui all’art. 609 bis c.p., in danno di P.J. e S.S. entrambe prostitute - capo G, commesso il omissis . 2. L’imputato propone ricorso per cassazione, tramite difensore, peri motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2. 1. Illogicità della motivazione relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Le circostanze dell’art. 62 bis c.p., sono state negate al ricorrente sul presupposto della mancanza di elementi positivi in favore dell’imputato. La Corte di appello ha però omesso di valutare come il ricorrente era diventato un collaboratore di giustizia, e aveva anche ammesso gli addebiti, spiegando anche come le tentate estorsioni alle donne prostitute erano destinate alla bacinella del clan mafioso di appartenenza il ricorrente poi è stato ritenuto colpevole del reato ex art. 416 bis c.p., con il riconoscimento del sistema premiale di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8, sentenza all’epoca non definitiva . 2. 2. Violazione di legge D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8 . La Corte di appello ha negato il beneficio di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 8, pena ridotta . Il ricorrente aveva dichiarato spontaneamente già al G.U.P., in sede di giudizio abbreviato, le ragioni delle tentate estorsioni poste in essere contro le prostitute. Le pretese estorsive erano connotate da mafiosità, ma la Corte di appello ha completamente ignorato il fatto. Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile perché i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, generici e reiterativi delle motivazioni dell’appello senza alcun confronto con le motivazioni della sentenza impugnata. Del tutto generico, e comunque manifestamente infondato risulta il motivo sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La decisione impugnata adeguatamente motiva sul mancato riconoscimento rilevando il carattere continuativo delle violazioni e la loro particolare gravità in considerazione della finalità di sottrazione del denaro a prostitute in disagiate e precarie condizioni sociali ed economiche. Del resto, La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio del relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico - giuridici Sez. 2, n. 5638 del 20/01/1983 - dep. 14/06/1983, ROSAMILIA, Rv. 159536 Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716 Sez. 6, n. 14556 del 25/03/2011 - dep. 12/04/2011, Belluso e altri, Rv. 249731 . 4. Del tutto generico il motivo sull’applicazione del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8. Sul punto la sentenza impugnata adeguatamente rileva come l’attenuante può essere riconosciuta solo per i reati ex art. 416 bis c.p., o realizzate con le modalità mafiose o per agevolare le associazioni di cui all’art. 416 bis c.p Nel ricorso per cassazione ci si riferisce, poi, esclusivamente alle tentate estorsioni e non anche alle violenze sessuali richiesta violenta di rapporti orali non protetti che, quindi, devono ritenersi completamente estranee a qualsiasi collegamento con i reati ex art. 416 bis c.p Infatti le violenze sessuali erano dirette al soddisfacimento della concupiscenza del ricorrente, in fatto completamente scollegate da altri reati. Inoltre nessun elemento concreto è stato evidenziato dal ricorrente al giudice di merito sulla effettività della collaborazione, ma si è solo prospettata l’ammissione del fatto reato, non sufficiente comunque per il beneficio L’applicazione della circostanza attenuante della collaborazione, prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, non può essere legata ad un mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma richiede una concreta e fattiva attività di collaborazione dell’imputato, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti Sez. 1, n. 52513 del 14/06/2018 - dep. 21/11/2018, L, Rv. 27419001 . Può pertanto esprimersi il seguente principio di diritto Qualora la violenza sessuale mir-’ a realizzare il soddisfacimento della concupiscenza dell’autore e, in quanto tale, risultèr completamente scollegata da fatti relativi a fenomeni mafiosi ex art. 416 bis c.p., non può trovare applicazione la circostanza attenuante specifica di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, anche perché l’attenuante non può essere legata ad un mero atteggiamento di resipiscenza, ad una confessione delle proprie responsabilità o alla descrizione di circostanze di secondaria importanza, ma richiede una concreta e fattiva attività di collaborazione dell’imputato, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti . Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.