Quando c’è un avvocato di troppo…

La Corte di Cassazione fornisce chiarimenti in merito alla revoca tacita del mandato difensivo, specificandone casistiche e limiti.

Questo il contenuto della sentenza della Suprema Corte n. 41965/19, depositata l’11 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello di Salerno riformava la sentenza emessa dal Tribunale, rideterminando la pena inflitta all’imputato per il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Contro tale pronuncia, l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, la violazione della legge processuale per nullità dell’udienza e della relativa sentenza emessa in sede di giudizio d’appello, non avendo il Giudice tenuto conto del legittimo impedimento addotto dal difensore di fiducia. Tale decisione della Corte si fondava sul rilievo che l’imputato fosse assistito anche da altro difensore, nonostante egli non si fosse mai presentato nel corso delle udienze precedenti, dovendosi quindi secondo il ricorrente ritenere tacitamente revocato. La revoca tacita del mandato difensivo. La Suprema Corte dichiara infondato il motivo di ricorso prospettato dal ricorrente, ribadendo il principio in base al quale nell’ordinamento vigente non è ammessa la rinuncia ovvero la revoca tacita del mandato difensivo. Per questo motivo, finché non interviene un atto espressamente contrario, resta valido l’incarico del difensore di fiducia nominato, non potendo desumere la rinuncia dalla condotta processuale da lui tenuta, poiché non è compito del giudice sindacare le scelte difensive autonome del diritto di difesa salvo casi particolari . Gli Ermellini colgono l’occasione per affermare che la revoca tacita può ravvisarsi solo qualora l’imputato nomini nel corso del giudizio di secondo grado un altro difensore di fiducia senza revocare espressamente il precedente, avvalendosi in concreto solo ed unicamente di esso. Solo in tal caso, infatti, può ritenersi per facta concludentia e senza equivoci l’intenzione dell’imputato di affidare la sua difesa esclusivamente al difensore che lo ha assistito effettivamente, revocando in sostanza il mandato del precedente difensore. A tal proposito, le Sezioni Unite si erano già espresse in materia, specificando i limiti della revoca tacita del mandato, la quale resta confinata all’ipotesi di nomine eccedenti il numero consentito di due difensori in deroga alla disposizione di cui all’art. 24 disp. att. c.p.p., essendo priva di efficacia la nomina di un terzo difensore senza che venga espressamente revocato almeno uno degli altri due già nominati, salvo che si tratti di nomina ai fini della proposizione dell’atto di impugnazione che comporta la revoca dei precedenti difensori . Ciò posto, nel caso di specie emerge che in occasione della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, l’imputato aveva conferito incarico ad un solo difensore e aveva espressamente revocato uno solo degli altri due, risultando dunque implicita la sua volontà di non revocare il terzo, ponendosi comunque fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 24 citato. Per questi motivi, l’onere della prova circa la revoca del codifensore spetta a colui che eccepisce il legittimo impedimento per concomitante impegno lavorativo. Non essendo stata tale prova fornita, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 settembre – 11 ottobre 2019, n. 41965 Presidente Petruzzellis – Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di Appello di Salerno in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Salerno in data 13/12/2010, con cui il ricorrente era stato condannato alla pena di anni undici di reclusione per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 2, previo riconoscimento della continuazione con i reati già giudicati con le sentenze emesse in due distinti procedimenti dalle Corti di Appello di Salerno e Napoli, rispettivamente emesse in data 30/06/09 e 23/02/07, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in anni 12 di reclusione anni dieci per il più grave reato di partecipazione ad una associazione finalizzata al narcotraffico, aumentata di un anno di reclusione per ciascuno dei reati-fine già giudicati con le citate sentenze l’una relativa all’acquisto di 100 grammi di cocaina e l’altra per il trasporto di 20 kg di hashish . 2. Tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso C.G. articolando i motivi di seguito indicati. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge processuale per nullità dell’udienza del 4/12/2018 e della sentenza emessa dalla Corte di appello in quella udienza, non essendosi tenuto conto del legittimo impedimento per concomitante impegno processuale addotto dal difensore di fiducia, l’avv. Moschetta, sul rilievo errato che l’imputato fosse assistito anche da altro difensore, l’avv. Limpido, atteso che non essendosi questo avvocato mai presentato nel corso delle precedenti udienze dovesse ritenersi tacitamente revocato o comunque che il predetto avesse implicitamente rinunciato al mandato difensivo. Si adducono al riguardo dei precedenti di legittimità che ammettono che sia la revoca che la rinuncia al mandato difensivo possano desumersi per facta concludentia, anche in assenza di un atto formale, oltre ad evidenziare che in occasione di un rinvio per impedimento dell’imputato per motivi di salute la notifica dell’avviso della udienza di rinvio è stata disposta unicamente nei confronti dell’avv. Moschetta. 2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione per contraddittorietà e travisamento della prova per avere la corte ritenuta provata la responsabilità per il reato di partecipazione alla associazione a delinquere per traffico di sostanze stupefacenti sulla base di intercettazioni telefoniche che dimostrano una partecipazione protrattasi per soli tre mesi a fronte di una associazione ritenuta operativa per almeno due anni ed in mancanza della prova del pactum sceleris non adeguatamente motivata, potendosi ricondurre l’attività criminosa del ricorrente nell’ambito di un mero rapporto di concorso di persone nel reato, senza una adesione duratura all’accordo associativo. 2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio della motivazione per contraddittorietà e illogicità della motivazione sempre rimarcando la brevità del tempo in cui si sarebbe manifestata la sua partecipazione sulla base di intercettazioni durate nei suoi confronti un mese e giorni tre a fronte di una operatività dell’associazione contestata per un periodo di due anni e dieci mesi e senza quindi la prova di un suo stabile e duraturo supporto all’associazione, essendo anche erroneo il principio di diritto affermato in sentenza circa la compatibilità dell’associazione con una partecipazione limitata nel tempo. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Si ritiene di dover ribadire il principio di diritto secondo cui nel vigente ordinamento processuale penale non è ammessa la rinuncia tacita, o la revoca tacita, del mandato difensivo. Pertanto, sino a che non interviene un espresso atto contrario resta valido l’incarico al difensore di fiducia nominato, nè tale rinuncia può desumersi dalla condotta processuale tenuta dal difensore poiché non compete, di certo, all’autorità giudiziaria, in difetto di una espressa disposizione di legge, sindacare, al di là delle ipotesi del tutto particolari di abbandono o di rifiuto della difesa previste dall’art. 105 c.p.p., le scelte difensive, espressioni di esercizio libero, autonomo ed inviolabile del diritto di difesa. Diverso è il caso cui si riferisce il precedente di legittimità citato dal ricorrente Sez. 5, 9/07/1998, n. 9478 che attiene ad una ipotesi di revoca tacita del mandato difensivo correlata all’omessa citazione per la fase del giudizio di appello di altro codifensore che aveva assistito l’imputato durante la fase del primo grado, a fronte della nomina di un nuovo difensore al quale era stata affidata la difesa nel grado di appello. Una siffatta ipotesi di revoca tacita, desunta dalla nomina del nuovo difensore per la fase dell’impugnazione, non può certo essere ravvisata nel caso opposto di codifensore non revocato espressamente al quale sia stata notificata la citazione per il giudizio di appello e che sia poi rimasto assente. La revoca tacita è stata ravvisata nel caso in cui, l’imputato, senza revocare espressamente il precedente difensore, nomini durante il giudizio d’appello altro difensore di fiducia, e solo di questi in concreto si avvalga, concentrando su di esso la propria scelta, a lui affidando la propria difesa in ogni atto, adempimento o parte del procedimento di secondo grado, di guisa che il difensore prescelto, e solo questi in modo personale, diretto e autonomo abbia espletato l’incarico affidatogli. In tal caso può ritenersi, per facta concludentia ed inequivocabilmente, l’intento dell’imputato stesso di affidare le attività defensionali al solo difensore che lo ha effettivamente assistito, e quindi, in sostanza, di revocare il mandato all’altro difensore. Con riferimento alla medesima questione, le Sezioni Unite hanno poi chiarito in quali limiti può ravvisarsi una tacita revoca del mandato, confinandola al solo caso di nomine eccedenti il numero consentito di due difensori in deroga al disposto di cui all’art. 24 disp. att. c.p.p. Sez. U, n. 12164 del 15/12/2011, Rv. 252027 . Si è, infatti, affermato che la nomina del terzo difensore di fiducia dell’imputato, in assenza di revoca espressa di almeno uno dei due già nominati, resta priva di efficacia, salvo che si tratti di nomina per la proposizione dell’atto di impugnazione la quale, in mancanza di contraria indicazione dell’imputato, comporta la revoca dei precedenti difensori. In motivazione la Corte ha chiarito, con riguardo al caso del successivo conferimento di mandato speciale ad impugnare al terzo difensore, che qualora uno di quelli precedentemente nominati già abbia proposto impugnazione, questa conserva validità, mentre quando entrambi i patroni originariamente incaricati abbiano proposto gravame, quello del legale nominato all’uopo in eccedenza rimane inefficace, in quanto la facoltà di impugnazione legittimamente esercitata dai primi difensori ha consumato quella del terzo nominato. Inoltre, si è anche precisato che se il difensore anteriormente nominato è uno solo, nel caso in cui l’imputato abbia conferito mandato ad un altro legale per la impugnazione, il precedente conserva la sua qualità, non essendovi ragione per derogare alla regola dell’art. 96 c.p.p., comma 1, ma se sono due i difensori officiati per la impugnazione, prevale la nomina di questi, ex art. 571, comma 3, con conseguente implicita revoca del primo difensore. Nel caso in esame risulta, per quanto dedotto dallo stesso ricorrente, che in occasione della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, l’imputato ha conferito mandato difensivo all’avv. Moschetta, e revocato espressamente solo uno dei precedenti difensori avv. Mottola , quindi manifestando implicitamente la volontà opposta di non revocare l’altro difensore da cui era assistito avv. Limpido , ponendosi comunque al di fuori dell’ambito di applicabilità dell’art. 24 disp. att. c.p.p Si tratta, quindi, di una ipotesi del tutto diversa da quelle enucleate dalla succitata decisione delle Sez. U. in deroga alla regola dell’inefficacia della nomina fiduciaria in eccedenza, non vertendosi del caso di nomina di un terzo difensore in difetto di revoca dei precedenti, ma di nomina di un secondo difensore con revoca contestuale di uno soltanto dei due difensori precedentemente officiati. È onere del difensore che eccepisce il legittimo impedimento per concomitante impegno professionale fornire la prova della revoca del codifensore. Pertanto, non avendola fornita nel caso di specie, il ricorrente non può dolersi se la Corte di appello ha ritenuto ancora valida la nomina mai revocata dell’altro difensore, non vertendosi nel caso di nomina di terzo difensore in eccedenza al numero massimo consentito per l’imputato di due difensori ex art. 96 c.p.p., comma 1, senza che rilevi neppure la questione non dedotta di eventuali nullità per l’omessa citazione del codifensore non revocato, da intendersi comunque sanata perché non eccepita tempestivamente. Si deve rilevare in proposito che la nullità di ordine generale a regime intermedio, derivante dall’omesso avviso ad uno dei due difensori di fiducia della data fissata per il giudizio di appello, deve essere eccepita a opera dell’altro difensore, o dal sostituto eventualmente nominato ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, nel termine di cui all’art. 182 cod. cit., comma 2, Sez. 6, del 20/12/2013, Rv. 261529 . Per la stessa ragione neppure ha rilievo il fatto che non sia stata disposta la notifica dell’avviso dell’udienza al codifensore assente a seguito del rinvio dell’udienza disposto per l’impedimento dell’imputato, non potendosi desumere da una violazione di legge non dedotta tempestivamente un argomento a sostegno della invocata revoca tacita. Deve, infine, essere rilevato un secondo aspetto della questione che inficia la censura del ricorrente sul piano del necessario requisito di specificità del motivo sotto il profilo della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione. Dalla motivazione della sentenza di appello si evince che la richiesta di rinvio è stata respinta per un duplice ordine di ragioni, e non soltanto perché l’impedimento addotto riguardava uno solo dei due difensori che lo assistevano. La Corte di appello ha fatto riferimento anche alla necessità di privilegiare il presente processo che aveva subito altri precedenti rinvii ripetuti e numerosi, ritenendo che presentasse dei profili di maggiore urgenza rispetto al concomitante impegno processuale del medesimo difensore. Al riguardo il ricorrente nulla deduce. Quindi, sotto tale profilo, il motivo appare inammissibile perché non si confronta con la motivazione con cui è stata respinta la richiesta di rinvio per legittimo impedimento avuto riguardo ad un aspetto fattuale, qual è quello della comparazione dell’urgenza degli impegni processuali concomitanti, che non viene neppure censurato dal ricorrente con un motivo specifico. Si deve rammentare che la decisione sulla istanza di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del difensore, che adduca un concomitante impegno professionale, richiede al giudice di merito un bilanciamento tra l’interesse difensivo e quello pubblico all’immediata trattazione del processo, per cui, anche il carattere prioritario di trattazione dei processi costituisce un parametro di valutazione che deve essere considerato ai fini della valutazione della ricorrenza del legittimo impedimento e la relativa valutazione se adeguatamente motivata non è censurabile in cassazione. Il giudice deve, infatti, accertare il carattere eventualmente dilatorio della richiesta valutando del merito l’urgenza del procedimento concomitante, tenuto conto dell’obbligo di diligenza gravante sul difensore che gli impone di dare preferenza alla posizione processuale che risulterebbe maggiormente pregiudicata dalla mancata trattazione del giudizio Sez. 3, del 22/11/2016 Rv. 270330 . Pertanto, attesa la duplicità delle ragioni poste a fondamento della decisione di rigetto della richiesta di rinvio per legittimo impedimento, la parzialità della censura per i limiti derivanti dal principio devolutivo al sindacato della corte di cassazione non avrebbe consentito comunque di rilevare l’ipotetica nullità della decisione di rigetto della richiesta di rinvio dell’udienza fondata su presupposti di fatto neppure censurati e che ne avrebbero comunque giustificato l’adozione anche ove la censura relativa al tema trattato con riferimento alla assistenza o meno di due difensori fosse risultata fondata. 2. Gli altri motivi di ricorso sono in parte infondati ed in parte inammissibili perché propongono deduzioni che implicano una rivalutazione nel merito della sentenza da parte di questa Corte, non consentita in sede di legittimità. È stato più volte ribadito che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 . Le censure dedotte dal ricorrente non evidenziano alcuna palese illogicità della motivazione della sentenza impugnata. Le argomentazioni con cui la Corte territoriale ha rigettato le medesime censure proposte nell’atto di appello appaiono assolutamente coerenti con la valutazione delle risultanze istruttorie operate in modo conforme anche dal giudice di primo grado, senza che possa ravvisarsi alcuna incongruenza logica, in realtà neppure delineata nei motivi di ricorso, tutti dichiaratamente articolati per violazione di legge ma con censure in realtà rivolte unicamente a sollecitare una nuova rivalutazione del merito. Le argomentazioni della sentenza impugnata si saldano con quelle della sentenza di primo grado, con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’adesione stabile e tendenzialmente duratura all’associazione, senza che possa rilevarsi alcuna illogicità o contraddittorietà nella valutazione delle prove. La motivazione sulla riconosciuta adesione del ricorrente all’associazione desunta dalla commissione di reati fine, come quello correlato al suo arresto perché trovato in possesso di 20 kg di hashish non presenta profili di manifesta illogicità. Sebbene le intercettazioni con il coinvolgimento diretto del ricorrente siano durate pochi mesi rispetto alla maggiore durata dell’associazione, ciò non contraddice affatto la valutazione espressa sull’affermata stabilità della partecipazione dell’imputato alle attività di spaccio dell’associazione, attraverso il ruolo svolto di mediatore tra i fornitori ed il gruppo facente capo a P.C. , con il quale avrebbe collaborato in modo determinante e tendenzialmente stabile, essendosi il rapporto associativo risolto inopinatamente ed inaspettatamente soltanto a seguito del sequestro di tale ingente quantitativo, con l’insorgenza di sopravvenute difficoltà finanziarie. Comunque la motivazione della sentenza rende logica spiegazione in merito alla irrilevanza del tempo ai fini dell’adesione all’associazione, pur se erra laddove afferma che l’associazione potrebbe essere ravvisata anche nell’ipotesi di un programma criminoso a termine. Si deve ribadire, al contrario, che l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati - anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso - con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati Sez. 5, 07/12/2018, Rv. 274442 . Ma si tratta in modo evidente di una osservazione non determinante, fatta a chiusura di una motivazione che ha evidenziato al contrario come la durata dell’apporto all’associazione da parte del C. si è interrotta in modo imprevedibile per effetto dell’arresto del ricorrente e del sequestro dei 20 kg di hashish in data omissis , rappresentando come il sodalizio si sarebbe sciolto il omissis in concomitanza con l’ultimo contatto telefonico tra P.C. e C. nel corso del quale i due si rendevano reciprocamente il conto delle spese sostenute e delle partite di droga da liquidare. Ciò a conferma del ritenuto accertato carattere indeterminato del programma criminoso che, secondo le valutazioni operate dai giudizi di merito, ha connotato anche l’adesione dell’imputato all’associazione per delinquere al medesimo ascritta. 3. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.