La mancata traduzione del titolo custodiale non sempre determina la nullità del provvedimento

Nel caso in cui sia applicata una misura cautelare personale ad un cittadino straniero non in grado di comprendere la lingua italiana, l’omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità generale e a regime intermedio solo se tale circostanza era già conosciuta al momento dell’emissione del titolo cautelare.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 41308/19, depositata il 9 ottobre. Il ricorso per cassazione viene promosso dall’indagato, tramite suo difensore di fiducia, avverso il provvedimento con cui il Tribunale del riesame rigettava la richiesta di riesame contro la decisione con cui gli era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 110, 416 e 603- bis c.p., denunciando violazione di legge in conseguenza della mancata traduzione degli atti nella lingua a lui nota. L’importanza e gli effetti della traduzione degli atti. Su questo tema occorre ribadire che la proposizione della richiesta di riesame, anche se avviene ad opera del difensore, produce effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall’indagato alloglotta, purché l’impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ma per formulare altre questioni pregiudiziali di carattere procedurale. Infatti, la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare non incide sulla perfezione o sulla validità dell’atto ma sulla sua efficacia a ciò consegue che la richiesta di traduzione del titolo custodiale proposta dall’indagato al Tribunale del riesame nonché la trasmissione degli atti al GIP per la traduzione e la notifica all’indagato del provvedimento originario e di quello tradotto non comporta l’invalidità del titolo custodiale ma una sorta di restituzione nel termine, con riferimento al momento produttivo degli effetti, per consentire l’eventuale impugnazione sulla base di una piena conoscenza dell’ordinanza cautelare . Qualora, dunque, la mancata conoscenza della lingua italiana emerga nel corso dell’interrogatorio di garanzia e non precedentemente, al momento dell’emissione del titolo custodiale , il giudice deve disporre la traduzione del provvedimento in un termine congruo e il termine per l’interrogatorio decorre nuovamente dalla data di deposito della traduzione. Per quanto riguarda, infine, la questione relativa all’eventuale lesione del diritto di difesa, è opportuno ricordare che essa, correlata alla mancata traduzione, può configurarsi solo qualora l’imputato evidenzi un concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante appunto dall’omessa traduzione cosa che nel caso di specie non è avvenuta . Per tali motivi gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 2 – 9 ottobre 2019, n. 41308 Presidente Piccialli – Relatore Picardi Ritenuto in fatto 1.S.O. , a mezzo del suo difensore di fiducia, ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Milano - Sezione Riesame ha rigettato l’istanza di riesame avverso il provvedimento con cui gli è stata applicata la misura cautelare della custodia cautelare in carcere per i reati di cui all’art. 416 c.p., commi 1, 2 e 3, e artt. 110 e 603-bis c.p. capi A e Q , deducendo, con due distinti motivi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 109, 178, 143 e 169 c.p.p. e la nullità sia dell’ordinanza di custodia cautelare sia del provvedimento del giudice dell’impugnazione in conseguenza della mancata traduzione di tali atti in lingua a lui nota. 2. La Procura Generale ha concluso per l’annullamento con rinvio. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può essere accolto. 2. Il primo motivo, con cui si lamenta la mancata traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare, è infondato, atteso che, come già rilevato dal Tribunale del Riesame, la proposizione della richiesta di riesame, pur se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta dall’indagato alloglotta, anche a seguito della riformulazione dell’art. 143 c.p.p., sempre che l’impugnazione non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione ovvero per formulare ulteriori questioni pregiudiziali di carattere strettamente procedurale così Sez. 3, n. 7056 del 27/01/2015 Cc. - dep. 18/02/2015, Rv. 262425 - 01, che ha annullato con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame che, accogliendo erroneamente il motivo procedurale relativo alla mancata traduzione, aveva ritenuto assorbiti, non esaminandoli, i motivi di merito . Del resto, la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare non incide sulla perfezione e sulla validità dell’atto ma sulla sua efficacia, con la conseguenza che la richiesta di traduzione del titolo custodiale proposta dall’indagato al giudice del riesame e la conseguente trasmissione degli atti al Gip per la traduzione e la notifica, all’indagato, del provvedimento originario e di quello tradotto non comporta l’invalidità del titolo custodiale ma una sorta di restituzione nel termine, con riferimento al momento produttivo degli effetti, per consentire l’eventuale impugnazione sulla base di una piena conoscenza dell’ordinanza cautelare Sez. V, 12.3.2013, n. 18023, F., Rv. 255510 . Tale principio è stato ribadito anche dopo l’entrata in vigore della direttiva 2010/64/UE e del D.Lgs. n. 32 del 2014 Sez. I, 11.2.2014, n. 23608, Rv. 259732 salvo quanto precisato da Sez. 4, n. 33802 del 18/05/2017 Cc. - dep. 11/07/2017, Rv. 270610 - 01, secondo cui qualora sia applicata una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non è in grado di comprendere la lingua italiana, l’omessa traduzione del provvedimento determina la sua nullità a regime intermedio solo se la predetta circostanza era già nota al momento dell’emissione del titolo cautelare laddove invece la mancata conoscenza della lingua italiana emerga nel corso dell’interrogatorio di garanzia, tale situazione va equiparata a quella di assoluto impedimento regolata dall’art. 294 c.p.p., comma 2, sicché il giudice deve disporre la traduzione del provvedimento coercitivo in un termine congruo, ed il termine per l’interrogatorio decorre nuovamente dalla data di deposito della traduzione, con la conseguente perdita di efficacia della misura in caso di omesso interrogatorio entro il termine predetto, ovvero di traduzione disposta o effettuata in un termine incongruo . . A ciò si aggiunga che la eventuale nullità determinata dalla mancata attivazione dei presidi di garanzia previsti dall’art. 143 c.p. è qualificabile come generale a regime intermedio , dato che è generata dalla lesione del diritto di difesa conseguente al mancato esercizio del diritto alla partecipazione consapevole la stessa è, pertanto, sottoposta al regime di decadenze e sanatorie previsto dagli artt. 178 c.p.p. e ss., sicché risulta superata ex art. 183 c.p.p., lett. b , laddove la parte si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato Sez. 2, n. 32555 del 07/06/2011 Cc. - dep. 19/08/2011, Rv. 250763 - 01, in cui si legge che la richiesta di riesame anche nel merito del provvedimento custodiate ha effetti sananti della nullità conseguente all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale emessa nei confronti dell’indagato che non conosce la lingua italiana, sempre che non sia stata presentata solo ed esclusivamente per dedurre la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare Il principio vale anche quando il riesame è chiesto dal difensore in quanto comunque è stato raggiunto lo scopo tipico dell’atto omesso, vale a dire la conoscenza degli elementi costitutivi dell’accusa e la possibilità di contrapporvi argomenti difensivi dinanzi al giudice della cautela con il ricorso che l’indagato, tramite il suo difensore di fiducia ha in concreto effettuato . Sez. 6, n. 27276 del 06/04/2017 cc. - dep. 19/05/2017, Rv. 270491 - 01, ha precisato, inoltre, che, in caso di impugnazione ritualmente proposta dal difensore di fiducia di un imputato alloglotta, avente ad oggetto un provvedimento di cui è stata omessa la traduzione, può configurarsi una lesione del diritto di difesa, correlata all’attivazione personale dell’impugnazione da parte dell’imputato, solo qualora quest’ultimo evidenzi il concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative derivante dalla mancata traduzione. 2. Neppure il secondo motivo, con cui si lamenta la mancata traduzione del provvedimento del Tribunale del Riesame, merita accoglimento. In primo luogo deve sottolinearsi che l’ordinanza del Tribunale del Riesame non è compresa nell’elencazione degli atti di cui è necessaria la traduzione, ai sensi dell’art. 143 c.p.p., comma 2, ai sensi del quale, laddove l’imputato non conosca la lingua italiana, l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna. Difatti, come già precisato da Sez. 1, n. 17905 del 19/01/2015 Cc. - dep. 29/04/2015, Rv. 263318 - 01, il D.Lgs. n. 32 del 2014 non ha inserito l’ordinanza del tribunale del riesame tra gli atti di cui è obbligatoria la traduzione e detto adempimento non deve ritenersi necessario, a norma dell’art. 143 c.p.p., comma 3, in assenza di specifiche indicazioni dell’interessato, al fine di assicurare a quest’ultimo la conoscenza delle accuse a suo carico, non essendo un atto che limita ab origine la libertà personale, ma solo una conferma del provvedimento attraverso il quale detta limitazione è stata determinata. A ciò si aggiunga che la censura è a-specifica, non individuando la concreta lesione del diritto di difesa. Come recentemente precisato da Sez. 5, n. 15056 del 11/03/2019 ud. -dep. 05/04/2019, Rv. 275103 - 01, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l’omessa traduzione della sentenza di appello in lingua nota all’imputato alloglotta non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell’art. 613 c.p.p., ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, l’imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione. Tale principio deve essere esteso anche in materia cautelare, in quanto, a seguito della modifica apportata agli artt. 571 e 613 c.p.p. dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compresi quelli in materia cautelare, non può essere proposto dalla parte personalmente, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017 Cc. -dep. 23/02/2018, Rv. 272010 - 01 . Invero, la funzione servente della traduzione, rispetto alla facoltà di proporre impugnazione esclude che l’omessa traduzione di un provvedimento ne determini - sic et simpliciter - la nullità, in quanto alla violazione dell’art. 143 c.p.p. non sono collegate invalidità formali specifiche. Ne consegue che la eventuale sanzione configurabile per l’inosservanza di tale disposizione è esclusivamente quella prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c , concernente la violazione delle disposizioni relative all’assistenza dell’imputato, la quale, tuttavia, richiede una qualche effettiva lesione di tale diritto, in quanto volta ad assicurare l’effettività e la piena consapevolezza della partecipazione al giudizio e la possibilità della completa esplicazione del diritto di difesa, sicché quando queste si siano, comunque, realizzate non può dirsi sussistente alcuna violazione. 3.In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.