Sorveglianza speciale e violazione degli obblighi: necessaria la verifica della pericolosità sociale

Non è configurabile il reato di violazione degli obblighi relativi alla sorveglianza speciale, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità sociale dell’individuo da parte del giudice.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 40121/19, depositata il 1° ottobre. L’imputato veniva condannato alla pena di giustizia perché, essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, violava la prescrizione di non rincasare dopo le 21 00 e di non uscire prima delle 7 00. Questi ricorre in Cassazione denunciando il fatto che in secondo grado i Giudici davano per presupposta la sua pericolosità sociale senza effettuare un accertamento attuale e concreto della stessa pericolosità, presupposto necessario per l’applicabilità della misura stessa. La violazione degli obblighi derivanti dalla sorveglianza speciale. Sul punto è intervenuta più volte la giurisprudenza di legittimità, la quale ha spiegato che non è configurabile il reato di violazione degli obblighi relativi alla sorveglianza speciale nei confronti del destinatario di tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata come il caso in esame , in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della sua pericolosità sociale da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura. Tale verifica della pericolosità deve avvenire ad opera del Tribunale dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si sia protratta per almeno 2 anni. Ebbene, nella fattispecie analizzata, la mancata rinnovazione della verifica della pericolosità sociale dell’imputato, dopo la scarcerazione, che ha fatto seguito ad una detenzione di 4 anni, escludeva che si potesse configurare il reato in oggetto. Per tal motivo la sentenza impugnata deve essere annullata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 marzo – 1 ottobre 2019, n. 40121 Presidente Boni – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 1/03/2018 la Corte di Appello di Catanzaro confermava la decisione emessa dal Tribunale di Crotone il 24/10/2017 con cui, all’esito del celebrato giudizio abbreviato, dichiarava M.G. colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2, perché, essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, violava la prescrizione di non rincasare dopo le ore 21 00 e di non uscire prima delle ore 7 00 in quanto, all’esito di molteplici controlli, in data omissis non era nella propria abitazione in orario notturno. La Corte Territoriale, dunque, confermava la condanna alla pena di anni due di reclusione. 2. Ricorre per cassazione M.G. a mezzo del proprio difensore di fiducia e con un unico motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione circa il passaggio in cui la Corte di appello di Catanzaro dava per presupposta la pericolosità sociale del ricorrente senza effettuare un accertamento attuale e concreto della pericolosità, presupposto necessario per l’applicazione della misura stessa. La misura di prevenzione della sorveglianza speciale, disposta nei confronti del ricorrente in data 4/04/2013 ed in costanza di detenzione del M. , era rimasta sospesa sino alla scarcerazione avvenuta il 21/04/2017. La sottoposizione agli obblighi inerenti la sorveglianza speciale, dunque, era avvenuta in via automatica a decorrere da tale data, senza un ulteriore previo accertamento della sussistenza e dell’attualità della pericolosità sociale in capo al sottoposto. Il ricorrente, dunque, non riteneva condivisibile l’automatismo degli effetti del provvedimento quando esso avesse trovato esecuzione a distanza di anni dalla sua emanazione, a seguito di una causa sospensiva del provvedimento stesso, soprattutto se dovuta a carcerazione come nel caso di specie. La rivalutazione della attualità e della persistenza della pericolosità sociale del sottoposto era rimessa alla discrezionalità del giudice solo nei casi in cui il periodo di differimento dell’esecuzione della misura stessa fosse stato breve. Osserva in diritto 1. Il ricorso è fondato. 1.1. Dal provvedimento impugnato e dal fascicolo si apprende che la misura di prevenzione della sorveglianza speciale è stata disposta in data 4/04/2013 e, in costanza di detenzione del M. , è rimasta sospesa sino alla data di scarcerazione del 21/04/2017. La sottoposizione agli obblighi inerenti la sorveglianza speciale, dunque, risulta avvenuta in via automatica a decorrere dalla data anzidetta, senza un preventivo e necessario accertamento della sussistenza e dell’attualità della pericolosità sociale in capo al sottoposto. Si è recuperato, cioè, l’automatismo degli effetti del provvedimento di controllo della pericolosità sociale, pur trovando esso esecuzione a distanza di anni quattro in particolare dalla sua emissione e all’esito di un periodo di sospensione dovuto all’esecuzione della pena detentiva. Sulla questione è intervenuta questa Corte che ha spiegato, risolvendo un contrasto di giurisprudenza che non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 75, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità sociale, da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura. La Corte ha rilevato che il D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 14, comma 2-ter, introdotto dal L. 17 ottobre 2017, n. 161, art. 4, comma 1, recante modifiche al Codice antimafia, ha stabilito che la verifica della pericolosità debba avvenire ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si sia protratta per almeno due anni Sez. U, n. 51407 del 21/06/2018, M., Rv. 273952 . Già in precedenza la giurisprudenza di legittimità aveva affermato l’incompatibilità del momento esecutivo della misura di prevenzione con lo stato di detenzione ed aveva chiarito che la misura stessa potesse avere inizio solo quando lo stato di detenzione fosse cessato Sez. U, n. 6 del 25/03/1993, Tumminelli, Rv. 194062 . Da ciò discendeva la conseguenza che la misura di prevenzione poteva essere messa in esecuzione anche a distanza di tempo rispetto alla sua deliberazione, senza alcun approfondimento in ordine alla persistente pericolosità della persona ad essa sottoposta. Al riguardo, la Corte costituzionale sentenza 291 del 2013 intervenendo sulla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 12 ora D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 15 , ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui non prevedeva che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale fosse stata sospesa a causa della detenzione per espiazione di pena, l’organo che aveva adottato il provvedimento di applicazione fosse tenuto a valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale nel momento dell’esecuzione della misura. La Corte costituzionale ha richiamato l’art. 679 c.p.p. secondo cui, quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti. Si è così legittimato una sorta di accertamento bifasico, da operare in cognizione, verificando la sussistenza della pericolosità al momento della pronuncia della sentenza e, successivamente, a misura disposta, allorquando essa doveva essere messa in esecuzione. Con ciò valorizzando l’affinità tra la misura di scurezza e quella di prevenzione e armonizzandone gli statuti di disciplina. La stessa Corte di Strasburgo ha ribadito che i requisiti che giustificano l’iniziale applicazione della misura debbano permanere anche durante la sua esecuzione sentenza del 06/04/2000, Labita c. Italia § 195 , Grande Camera della Corte EDU che ha accertato la violazione dell’art. 2, Prot. 4, CEDU . 2. In difetto di accertamento siffatto, non sussiste il reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 75, comma 2. In altri termini si ritiene che non abbia efficacia il provvedimento genetico della misura di prevenzione, con la conseguenza che non può configurarsi il fatto penalmente rilevante della sua violazione. Nel caso di specie, allora, la mancata rinnovazione della verifica della pericolosità sociale del M. , dopo la scarcerazione, che ha fatto seguito ad una detenzione di quattro anni, escludeva che si potesse configurare il fatto penalmente rilevante ascritto, non essendo stata accertata la pericolosità sociale, omissione da reputare alla stregua del difetto di un presupposto strutturale della fattispecie penale e una condizione di applicabilità della misura di prevenzione che si assumerebbe violata. Si tratta di una interpretazione che ha trovato sostegno normativo anche nel D.Lgs. n. 159 del 2011, nuovo art. 14, comma 2-ter, introdotto dalla L. n. 161 del 2017. La disposizione prevede che, dopo la cessazione dello stato di detenzione per espiazione di pena, la verifica della pericolosità avviene ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione che si è protratta per almeno due anni, attraverso un procedimento, nel corso del quale sono assunte le necessarie informazioni. Si valorizza in tal modo l’esigenza di un accertamento dell’attualità della pericolosità sociale, necessario presupposto sul piano costituzionale e convenzionale, dell’applicazione di una misura di prevenzione. A tale prospettiva interpretativa, fornisce continuità la recente pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui, l’accertamento della attualità della pericolosità è necessario, al pari, per coloro che sono indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso Sez. U, n. 111 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso . 3. Alla luce di quanto premesso la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.