Successione di norme processuali e applicazione del principio del tempus regit actum

Nel caso in cui la pronuncia impugnata sia stata emessa nel vigore di un regime processuale diverso da quello in cui è stata depositata la successiva istanza di rescissione del giudicato, come si determina la disciplina applicabile?

Lo si legge nella sentenza n. 39823/19 depositata dalla Corte di Cassazione il 27 settembre. Il caso. Un uomo condannato per evasione proponeva istanza di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 625- ter c.p.p. assumendo di aver incolpevolmente ignorato l’esistenza del procedimento in quanto detenuto per altra causa durante lo svolgimento dello stesso. Inoltre, gli atti processuali sarebbero stati notificati al difensore d’ufficio, nominato a sua insaputa, e mai portati a sua conoscenza. La Sesta Sezione della Cassazione aveva disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano, il quale li ha nuovamente trasmessi alla Suprema Corte. Competenza a decidere sull’istanza. Il Collegio rileva in via preliminare come la sentenza impugnata sia stata emessa prima dell’entrata in vigore della l. n. 103/2017 che ha abolito l’art. 625- ter c.p.p. introducendo l’art. 629- bis c.p.p., secondo il quale la richiesta di rescissione del giudicato deve essere proposta alla Corte d’Appello. Considerando però che la richiesta di rescissione del giudicato è successiva all’entrata in vigore del nuovo regime processuale, si pone la questione dell’applicabilità della l. n. 103/2017 alla vicenda. Il principio cardine al quale occorre fare riferimento è quello del tempus regit actum che, in assenza di una norma espressa di diritto transitorio, funge da criterio generale in tema di successione di norme processuali. Ripercorrendo i vari arresti giurisprudenziali sul tema, il Collegio ribadisce quanto affermato dalle Sezioni Unite Lista n. 27614/07 secondo cui ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione . Ne consegue che, nel caso di specie, a decidere sulla richiesta di rescissione del giudicato è la Corte di Cassazione. Passando al merito della questione, posto che il presupposto per la rescissione del giudicato è che il condannato, nei cui confronti si sia proceduto nonostante la sua assenza per tutta la durata del processo, dimostri che tale assenza sia dovuta ad incolpevole mancata conoscenza del procedimento, la richiesta risulta manifestamente infondata. Agli atti risulta infatti che il ricorrente aveva eletto domicilio presso il suo difensore d’ufficio e, come afferma la costante giurisprudenza, la rescissione del giudicato non può trovare applicazione laddove il condannato abbia eletto domicilio presso il difensore d’ufficio poiché, ai sensi degli artt. 420- bis , commi 2 e 3, e 175, comma 2, c.p.p., dall’elezione di domicilio deriva una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 giugno – 27 settembre 2019, n. 39823 Presidente Petitti – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. C.B.N. ha proposto istanza di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 625 ter c.p.p., avente ad oggetto la sentenza emessa dal Tribunale di Milano con cui è stato condannato per il reato di evasione. Si assume che a l’istante fu fermato dalla polizia giudiziaria il 10/01/2013 ed accusato del delitto di evasione b fu nominato a sua insaputa come difensore d’ufficio l’avv. Ernestina Ceresani, con studio in Milano a via Donizetti n. 1/A c il processo, iniziato il 2/12/2016 e definito il 26/05/2017, sarebbe stato celebrato in assenza dell’imputato d dal 27/02/2017 l’imputato era stato detenuto per altra causa e tutti gli atti del procedimento sarebbero stai notificati al difensore d’ufficio e mai portati a conoscenza dell’imputato f l’imputato avrebbe incolpevolmente ignorato l’esistenza del procedimento. 2. La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 52504 del 3/10/2018, aveva ritenuto che la richiesta, qualificata come richiesta di rescissione del giudicato, dovesse essere in realtà depositata presso la cancelleria del giudice di merito la cui sentenza era stata posta in esecuzione ed aveva, di conseguenza, disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano per l’ulteriore corso . Il Tribunale di Milano ha disposto nuovamente la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione. 3. Il Procuratore Generale, nel rassegnare le conclusioni, ha ritenuto che a l’ordinanza di trasmissione degli atti della Corte di cassazione fosse attributiva della competenza al Tribunale b la situazione creatasi a seguito della nuova trasmissione degli atti da parte del Tribunale di Milano alla Corte di cassazione abbia originato un conflitto di competenza. Sulla base di tali presupposti il Procuratore Generale ha ritenuto che, non essendo configurabile un conflitto di competenza fra la Corte di cassazione ed il giudice di merito - essendo la decisione della prima comunque prevalente sulla seconda - gli atti dovrebbero essere restituiti nuovamente al Tribunale di Milano. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. In via preliminare, la Corte ritiene di non dover condividere le conclusioni del Procuratore Generale, appena esposte. La sentenza impugnata, in relazione alla quale è stata chiesta la rescissione del giudicato, è stata emessa il 25/06/2017 e, dunque, prima della entrata in vigore della L. 23 giugno 2017, n. 103, vigente dal 3 agosto dello stesso anno, che ha abolito l’art. 625 ter c.p.p. ed introdotto l’art. 629 bis c.p.p., secondo cui la richiesta di rescissione del giudicato deve essere proposta alla Corte di appello. La questione che si pone è innanzitutto se la nuova disposizione processuale sia applicabile alla fattispecie in esame in cui la sentenza è antecedente alla entrata in vigore dell’art. 629 bis c.p.p., mentre la richiesta di rescissione del giudicato è successiva alla vigenza della nuova norma 23/5/2018 . In caso di successioni di norme processuali, il principio a cui fare riferimento è quello del tempus regit actum che, in assenza di una norma espressa di diritto transitorio, opera alla stregua di un criterio generale. Due le direttrici fondanti da un lato, la non retroattività della nuova legge procedurale, sicché gli atti compiuti mantengono la propria efficacia anche sotto l’impero della diversa legge processuale sopravvenuta dall’altro, l’efficacia immediata della novella, di talché tutti gli atti successivi rispetto all’entrata in vigore della nuova norma devono essere compiuti secondo i presupposti richiesti dalla modifica normativa. La difficoltà è storicamente correlata alla esatta individuazione dell’actus e del tempus. Il principio tempus regit actum rappresenta in ambito processuale la trasposizione della regola generale dell’efficacia immediata dell’atto, il che postula a che intervenuta una nuova legge processuale penale, questa regola lo svolgimento del processo dal momento in cui entra in vigore b che gli atti di un procedimento, iniziato con la legge processuale abrogata, mantengono il loro vigore. I casi più complessi di diritto intertemporale sono costituiti dalle ipotesi in cui il ricambio normativo intervenga su atti in corso di compimento o su effetti non ancora esauriti. Non si pongono particolari questioni in rapporto agli atti compiuti e agli atti esauriti che saranno sempre regolati dalla norma abrogata, nè per quanto concerne gli atti futuri, regolati dalla normativa sopravvenuta. Il tema attiene agli atti pendenti al momento della successione, in particolare quelli che hanno natura complessa e che non sono ancora perfettamente integrati. 3. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono pronunciate più volte in relazione a vicende specifiche di modifica della legge processuale. Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537, che esplicita la distinzione tra modifiche legislative che attengono alla categoria del regime delle impugnazioni l’espressione è proprio coniata dalla sentenza , catalogando in tale gruppo omogeneo diversi ambiti processuali suscettibili di modifiche legislative e ricomprendendovi tutti i casi di successione di leggi relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla, e modifiche legislative che, invece, si riferiscono al procedimento di impugnazione. Il principio affermato è il seguente ai fini dell’individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell’impugnazione. In particolare, la decisione in esame ritiene irragionevoli gli esiti ai quali condurrebbe il riferire la legge applicabile a quella vigente al tempo in cui l’atto di impugnazione è presentato, potendosi determinare una asimmetria tra le posizioni di più parti impugnanti, collegata ai tempi, spesso differenti, per la proposizione dell’impugnazione stessa, a loro volta influenzati da eventi casuali o aleatori adempimenti di cancelleria, vicende della notifica ed altro . A completamento di quanto appena esposto, le Sezioni unite Lista hanno evidenziato la necessità che l’actus vada focalizzato ed isolato, sì da cristallizzare la disciplina giuridica ad esso riferibile il concetto di atto deve essere rapportato, come incisivamente precisato in dottrina, allo stesso grado di atomizzazione che presentano le concrete e specifiche vicende disciplinate dalla norma processuale coinvolta nella successione . L’atto cioè va considerato nel suo porsi in termini di autonomia rispetto agli altri atti dello stesso processo . La sentenza, nel richiamare Sez. U, n. 16101 del 27/3/2002, D., Rv. 221278 in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, afferma che il quadro normativo delle impugnazioni deve., essere ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui è sorto il relativo diritto . Nel medesimo senso, si sono pronunciate, nella giurisprudenza civile, tra le altre Sez. U, n. 16618 del 27/07/2007, Rv. 598243/01 Sez. U, n. 27172 del 20/12/2006, Rv. 593733/01 Sez. 1, n. 5925 del 24/03/2016, Rv. 639059/01. 4. Dunque, nel caso di specie, competente a decidere sulla richiesta di rescissione del giudicato avanzata a C.B.N. è la Corte di cassazione. Diversamente da quanto ritenuto dal Procuratore generale, la Sesta sezione della Corte con l’ordinanza con la quale dispose la trasmissione degli atti al Tribunale di Milano, non declinò la propria competenza a favore del giudice di merito la Corte si limitò in realtà a rilevare il difetto procedimentale derivante dal fatto che la richiesta fosse stata presentata direttamente presso la Corte di cassazione e non presso il Tribunale, secondo quanto chiarito da Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv. 259990. La Corte di cassazione dispose la trasmissione degli atti al giudice di merito ma non emise una pronuncia con cui, dichiarandosi incompetente, individuò nel Tribunale il giudice competente a decidere ne consegue che la successiva, corretta, decisione del Tribunale, con cui si è nuovamente disposta la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione, non origina una situazione di conflitto perché, nella specie, non vi è stata in precedenza una decisione della Corte di cassazione sulla propria competenza. Dunque il Tribunale ha solo trasmesso gli atti al giudice competente a decidere. 5. Quanto al merito del ricorso, dagli atti emerge che l’imputato aveva eletto domicilio preso il difensore d’ufficio, avv. Ernestina Cesarani, in via Donizetti, n. 1/A, Milano. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno riconosciuto al rimedio previsto dall’art. 625 ter cod. proc., abrogato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 70, natura di mezzo di impugnazione straordinario, atteso che l’accoglimento della richiesta ha come scopo il travolgimento di una decisione irrevocabile e provoca il regresso del processo al primo grado, con l’applicazione dell’art. 489 c.p.p., comma 2, Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, Rv.259990 . L’impugnazione consente il superamento dell’effetto preclusivo del giudicato, essendo tale fenomeno recessivo di fronte alla violazione del diritto dell’imputato alla conoscenza di un procedimento penale nei propri confronti. L’ambito applicativo dell’istituto involge i casi in cui le norme siano state correttamente applicate, ma resta uno scarto tra la presunzione di conoscenza e la conoscenza effettiva degli atti. Per la ragione appena indicata, il presupposto per accedere alla rescissione del giudicato è che il condannato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, provi che l’assenza sia stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. Si tratta di un onere, affidato al richiedente, che sostanzialmente inverte quanto statuito dall’art. 175 c.p.p., comma 2, come novellato dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modifiche in L. 22 aprile 2005, n. 60, perché risulta strutturalmente corrispondente a quanto originariamente disposto dall’art. 175 c.p.p., che, sino al 2005, permetteva all’ignaro contumace di essere restituito in termini solo ove avesse provato di non avere avuto conoscenza del provvedimento e che tale ignoranza non fosse dipesa da sua colpa. Dunque, ai sensi dell’art. 625 ter c.p.p., incombe al condannato l’impegnativo onere di provare a uno stato psichico negativo la mancata conoscenza b la non colpevolezza in ordine al proprio stato psicologico di ignoranza. In relazione a tale specifico onere, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno precisato sul punto come la previsione abbia una sua plausibilità, in ragione degli specifici accertamenti demandati al giudice ai fini della verifica dei presupposti per la dichiarazione di assenza di cui al novellato art. 420 bis c.p.p. così testualmente, Sez. U, Burba, cit. , pur non potendosi escludere il potere, da parte della stessa Corte di cassazione, di acquisire eventualmente, anche in sede di esame preliminare, documentazione integrativa, al fine di chiarire aspetti ambigui o colmare possibili lacune o verificare la rispondenza della documentazione esibita alla realtà processuale . 6. In applicazione di principi indicati, la richiesta di rescissione del giudicato in esame è manifestamente infondata. Nel caso di specie, non è stato provato nè lo stato psichico della mancata conoscenza della celebrazione del processo, nè il carattere incolpevole dell’asserita ignoranza in atti vi è la prova positiva, da una parte, della conoscenza della esistenza del procedimento da parte di C. , avendo il condannato eletto domicilio presso il suo difensore d’ufficio, e, dall’altra, dell’attività difensiva in concreto da questi svolta attraverso la presenza alle udienze. In giurisprudenza è consolidato il principio secondo cui la rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p. non si applica al caso in cui l’imputato sia stato dichiarato assente avendo eletto domicilio presso il difensore d’ufficio, poiché, ai sensi dell’art. 420 bis c.p.p., commi 2 e 3, e art. 175 c.p.p., comma 2, dall’elezione di domicilio deriva una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato, sul quale grava l’onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento. Srz. 5, n. 36855 del 07/07/2016, Baron, Rv. 268322 Sez. 5., n. 12445 del 13/11/2015, dep. 2016. Degasperi, Rv. 266368 Sez. 2, n. 14787 del 25/01/2017, Xhami, Rv. 269554 . L’imputato ha avuto conoscenza certa del procedimento, le notifiche sono state tutte ritualmente eseguite presso il luogo di elezione di domicilio, non vi è nessuna prova della ignoranza incolpevole, il difensore non si disinteressò al processo. 7. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo determinare nella misura di 2.000,00 duemila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.