Assegno incassato, l’emittente era soggetto al divieto prefettizio: nessun reato

Decisiva la ricostruzione della vicenda. L’assegno è stato consegnato al prenditore come garanzia di un debito in epoca precedente all’ufficializzazione del decreto prefettizio. Impossibile sostenere l’ipotesi del cosiddetto dolo eventuale”.

Bloccato dal decreto prefettizio che gli ha imposto il divieto di emettere assegni bancari e postali, e messo in difficoltà da un creditore che ha deciso di passare all’incasso di un vecchio assegno consegnatogli a titolo di garanzia. La ricostruzione delle tappe della vicenda consente però di appurare che l’assegno è stato emesso – senza l’indicazione della data – dall’uomo sotto processo in epoca precedente alla ufficializzazione del decreto prefettizio. E questo dato è fondamentale per fare cadere le accuse a suo carico Cassazione, sentenza n. 39353/19, sez. I Penale, depositata oggi . Garanzia. Lunga la battaglia legale, che ha richiesto già due processi in appello. Nell’ultimo, in ordine di tempo, è stata confermata la condanna dell’uomo sotto accusa, ritenuto colpevole di avere emesso nel gennaio del 2012 un assegno bancario, in violazione della sanzione amministrativa accessoria del divieto di emettere assegni disposta con decreto prefettizio nel giugno del 2011. Inevitabile una nuova tappa in Cassazione, dove la linea difensiva è centrata su un elemento preciso l’uomo sotto processo aveva consegnato il titolo a garanzia prima che fosse emesso il decreto prefettizio, confidando che il prenditore non lo ponesse all’incasso inserendo la data e il luogo . E in questa ottica viene aggiunto che proprio l’assenza della data e del luogo di emissione aveva reso l’assegno mancante di un elemento essenziale, così da aversi semplicemente una promessa di pagamento o ricognizione del debito, priva di qualsiasi efficacia come titolo esecutivo . In sostanza, il legale dell’uomo sotto accusa spiega che il suo cliente – che non poteva prevedere all’epoca l’emissione in futuro del divieto di emettere assegni – ha solo effettuato una consegna a titolo di garanzia a fronte del credito vantato dal prenditore , con l’accordo che il titolo non sarebbe stato riempito e posto all’incasso . Dolo. La visione difensiva convince i Giudici della Cassazione che questa volta decidono di chiudere definitivamente la questione, cancellando le accuse a carico del soggetto che ha emesso il contestato assegno. Viene censurata la pronuncia emessa nel processo bis in appello, pronuncia centrata sul presunto dolo eventuale connesso, secondo i giudici, alla previsione, al momento della consegna del titolo, della personale incapacità in futuro di adempiere quel debito . Questa previsione , osservano i Giudici del ‘Palazzaccio’, avrebbe dovuto includere anche la successiva adozione del divieto di emettere assegni . In sostanza, mancando ancora l’irrogazione della sanzione , all’epoca della consegna dell’assegno, e la conseguente notifica che vale a rendere concretamente operante il relativo divieto di emettere assegni , non è possibile individuare, già sul piano strutturale, la lesione del bene giuridico che rende penalmente rilevante la condotta in discussione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 19 luglio – 25 settembre 2019, n. 39353 Presidente Rocchi – Relatore Binenti Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, provvedendo in sede di annullamento con rinvio, confermava la condanna in primo grado di Fi. Bu. alla pena ritenuta equa, in quanto riconosciuto responsabile del reato previsto dall'art. 7 legge n. 386 del 1990, per avere emesso in data 20 gennaio 2012, un assegno bancario in violazione della sanzione amministrativa accessoria del divieto di emettere assegni, disposta, ai sensi dell'art. 5 legge citata, con decreto prefettizio notificato il 7 giugno 2011. 2. Avverso il provvedimento propone ricorso per cassazione Fi. Bu. svolgendo doglianze con le quali lamenta vizi della motivazione. Rileva che la sentenza della Corte di cassazione n. 4992 del 2017 che aveva annullato con rinvio quella di conferma precedentemente resa in sede di appello, è stata disattesa dalla nuova sentenza di secondo grado, laddove non è stata presa in considerazione la circostanza che l'imputato aveva consegnato il titolo a garanzia prima che fosse emesso il decreto prefettizio, confidando che il prenditore, tale Ci., non lo ponesse all'incasso inserendo la data e il luogo. La lacunosa motivazione ha forzatamente configurato una preventiva autorizzazione rilasciata al Ci. dall'imputato, ammettendo in tal modo, sulla base di mere presunzione, un'ipotetica responsabilità a titolo di dolo eventuale. L'assenza della data e del luogo di emissione, del resto, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, aveva reso l'assegno mancante di un elemento essenziale, così da aversi semplicemente una promessa di pagamento o ricognizione del debito, priva di qualsiasi efficacia come titolo esecutivo. Era così intervenuta una consegna solo a titolo di garanzia a fronte del credito vantato da Ci. nei riguardi dell'imputato, con l'accordo che il titolo non sarebbe stato riempito e posto all'incasso e senza che il medesimo imputato potesse allora prevedere l'emissione in futuro del divieto di emettere assegni. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito illustrate. 2. La nuova decisione in sede di appello, diversamente da quella precedente oggetto di annullamento, percorre la stessa strada della motivazione di primo grado il titolo, privo di data e luogo di emissione, fu consegnato a Ci. dall'imputato a garanzia del pagamento di un debito prima che fosse emesso e comunque notificato nei confronti di quest'ultimo il decreto prefettizio contenente il divieto di emettere assegni in seguito, permanendo l'inadempimento, Ci. completò il titolo e lo pose all'incasso tale sviluppo fu dall'inizio coscientemente voluto dall'imputato, in quanto conseguenza prevedibile della propria condotta. Le questioni già poste con i motivi di appello, per l'ampiezza dei ragionamenti critici, quali appunto quelli ancora svolti con i motivi del ricorso, intendevano escludere la possibilità di configurare nel caso di specie la condotta tipica, prima ancora che l'elemento psicologico avente le caratteristiche del dolo eventuale come requisito soggettivo minimo richiesto dalla fattispecie delittuosa. La nuova decisione di appello si è però soffermata solo su tale secondo aspetto, fornendo una risposta che comunque già in sé non potrebbe risultare soddisfacente, una volta che ci si è limitati a dare atto della previsione, al momento della consegna del titolo, semplicemente della personale incapacità in futuro di adempiere quel debito, mentre tale previsione già all'epoca avrebbe dovuto abbracciare anche la successiva adozione del divieto di emettere assegni. Gli altri rilievi difensivi, ad ogni modo, appaiono in sé oggettivamente dirimenti nel senso dell'insussistenza del fatto integrante il reato contestato. Ed infatti, a fronte di una fattispecie di mera condotta chiunque trasgredisce ai divieti , si intende configurare la realizzazione del fatto tipico -e lo stesso esaurirsi dell'agire dell'imputato - prima ancora dell'avverarsi del presupposto normativamente richiesto per la consumazione del reato. Il fatto previsto come reato dall'art. 7 della legge n. 386 del 1990, invero, non consiste nell'emissione in sé dell'assegno bancario pur con la possibile delega ai fini del suo riempimento , così come si verifica per le ipotesi di illecito - ora depenalizzate - previste dagli artt. 1 e 2 della stessa legge emissione dell'assegno in mancanza di autorizzazione del trattario o della provvista . Invece, il succitato art. 7 richiede espressamente la trasgressione di un divieto quale effetto prescrittivo dell'adozione e della notifica di un certo provvedimento, che applica una particolare sanzione accessoria amministrativa. Sicché, mancando ancora l'irrogazione di tale sanzione e la conseguente notifica che vale a rendere concretamente operante il relativo divieto di emettere assegni, non è possibile individuare, già sul piano strutturale, la lesione del bene giuridico che rende penalmente rilevante la condotta secondo la tipicità del fatto descritto. Ciò che, dunque, è possibile riscontrare nel momento in cui nella specie viene collocata l'intera condotta è solo la ragionevole previsione di un certo succedersi di eventi prescrittivi, che in sé però non può integrare la fattispecie delittuosa. 3. Da tutte precedenti considerazioni discende, in conclusione, l'annullamento della sentenza senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.