Niente custodia cautelare in carcere in caso di evasione dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari

I limiti di applicabilità della custodia cautelare in carcere ex art. 275, comma 2-bis, c.p.p. non possono essere derogati facendo riferimento all’art. 391, comma 5, c.p.p., il quale ammette l’applicazione di una misura coercitiva in deroga ai limiti previsti dall’art. 274, comma 1, lett. c e 280 c.p.p. ma non anche alla disposizione generale oggetto del citato art. 275, comma 2-bis, c.p.p

Così si esprime la Suprema Corte con la sentenza n. 39114/19, depositata il 24 settembre. Il caso. Il Tribunale del riesame di Roma accoglieva l’appello del PM, applicando all’imputato la misura della custodia cautelare in carcere a causa della commissione del reato di evasione, osservando che i limiti di applicabilità di tale misura, previsti dall’art. 275, comma 2- bis , c.p.p. possono essere superati quando il giudice ritenga inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari qualsiasi altra misura meno afflittiva, in base al terzo comma della stessa disposizione. Contro tale decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, la decisione del Giudice di applicare la custodia cautelare in carcere, considerato che l’art. 391, comma 5, c.p.p. esplicitamente richiamato dal Tribunale in sede di applicazione della misura consente di derogare solo ai limiti previsti dagli artt. 274, lett. c e 280 c.p.p., non anche alla preclusione oggetto dell’art. 275, comma 2- bis , c.p.p La misura della custodia cautelare in carcere. La Suprema Corte dichiara il ricorso fondato, osservando che, in virtù del comma 2- bis dell’art. 275 c.p.p., al secondo periodo, è previsto che la custodia in carcere non possa essere applicata qualora si prevede che al termine del giudizio la pena detentiva inflitta non sarà superiore a 3 anni di reclusione. La Corte osserva che il Tribunale, invece, pur prospettando l’irrogazione di una sanzione non superiore al suddetto termine, applicava comunque la misura della custodia cautelare in carcere, trovando tale scelta giustificazione nell’art. 391, comma 5, c.p.p Ora, gli Ermellini evidenziano che l’allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari come nel caso concreto rileva sotto due profili, oggetto di distinti procedimenti quello della violazione dell’originaria misura coercitiva e quello della commissione di un autonomo reato di evasione, essendo evidente che la deroga delle previsioni di cui agli artt. 276, comma 1- ter e 280, comma 3, c.p.p. possa operare solo con riferimento alla misura coercitiva applicata in via di aggravamento di quella originaria, e non in relazione a quella emessa per il delitto di evasione. Gli Ermellini affermano che in tale contesto non è possibile derogare ai limiti indicati nell’art. 275, comma 2- bis , c.p.p. con riferimento all’art. 391, comma 5, c.p.p., il quale sancisce una deroga in relazione ai delitti per i quali l’arresto è consentito anche al di fuori dei casi di flagranza, come per l’evasione, ammettendo l’applicazione di una misura cautelare derogatoria rispetto ai limiti previsti dagli artt. 274, comma 1, lett. c e 280 c.p.p. ma non alla norma generale di cui al comma 2- bis dell’art. 275 c.p.p. A tal proposito, la Corte osserva che un’interpretazione estensiva dell’art. 391, comma 5, c.p.p. nella direzione illustrata non sarebbe possibile innanzitutto per il carattere derogatorio in malam partem suo proprio, senza contare, poi, che il limite contenuto nell’art. 280 è ben diverso da quello oggetto del comma 2- bis dell’art. 275, rapportandosi il primo alla pena edittale prevista per il reato al fine di introdurre una selezione tra le fattispecie , mentre il secondo alla gravità dell’illecito per cui si procede, la quale si desume dalla pena che si prevede verrà irrogata nei confronti del colpevole. Alla luce di quanto esposto, gli Ermellini concludono che nel caso di specie non può applicarsi la custodia cautelare in carcere, conseguendone l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio degli atti al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 luglio – 24 settembre 2019, n. 39114 Presidente Fidelbo – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Roma ha accolto l’appello proposto dal pubblico ministero ed applicato a M.F. la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di evasione da lui commesso il omissis . 1.1. Il Tribunale, all’esito dell’udienza di convalida dell’arresto, aveva respinto la richiesta di applicazione della misura inframuraria sul presupposto che in ipotesi di evasione non aggravata non è consentita l’applicazione della custodia cautelare in carcere, essendo tale reato punito con pena inferiore al limite di cui all’art. 275 c.p.p., comma 2-bis. 1.2. Il Tribunale del riesame, nell’accogliere l’appello, ha osservato che i limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, possono essere superati dal giudice qualora il giudice ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma 3, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva. In ogni caso il Collegio della cautela ha ritenuto, richiamando alcuni arresti di legittimità sul punto, che ai sensi dell’art. 391 c.p.p., comma 5, nei casi di arresti per evasione possa sempre essere applicata la misura del custodia cautelare in carcere anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c e art. 280 c.p.p 2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ricorre per cassazione M.F. , a mezzo del difensore di fiducia, che deduce 2.1. Vizio di motivazione per erronea applicazione dell’art. 310 c.p.p. in relazione al mancato rispetto del principio del devoluto. Nel proprio atto di impugnazione il pubblico ministero lamentava un’erronea valutazione da parte del giudice in relazione al reato contestato e alla omessa valutazione da parte di quest’ultimo della contestata recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 4, con conseguente ammissibilità della custodia cautelare in carcere posto che, in caso di riconoscimento della recidiva, l’limiti preclusivi di cui all’art. 275 c.p., comma 2-bis, sarebbero stati pacificamente superati. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, e all’art. 310 c.p.p Dalla lettura del provvedimento impugnato non è dato comprendere quali fossero gli elementi valutati dal Tribunale che escludessero la sussumibilità del fatto nella ipotesi di lieve entità, posto che lo stesso è stato sorpreso nel giardino condominiale con il proprio cane, senza che vi fosse alcun elemento che potesse fare ritenere che l’interessato stesse commettendo qualsivoglia tipo di reato diverso ovviamente dall’evasione . Inoltre, la misura della custodia cautelare in carcere non poteva essere applicata poiché l’art. 391 c.p.p., comma 5, consente di derogare esclusivamente ai limiti previsti dall’art. 274 c.p.p., lett. c , e art. 280 c.p.p., ma non anche alla nuova preclusione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 2-bis. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame. 2. Non è condivisibile la censura relativa alla violazione del principio devolutivo. Pur non essendo in discussione, nell’appello cautelare, il principio tantum devolutum quantum appellatum, con la conseguenza che i motivi posti dalla parte a sostegno dell’impugnazione determinano l’oggetto del giudizio, circoscrivendo la cognizione del Tribunale della libertà ai punti della decisione che hanno formato oggetto di censura, va tuttavia precisato che il suddetto principio ha, nel procedimento ex art. 310 c.p.p., un rilievo assai minore rispetto a quello che gli viene riconosciuto in sede di impugnazione avverso decisioni sul merito dell’accusa, giacché, essendo le decisione in materia de libertate emessa rebus sic stantibus ed essendo funzionale alla tutela degli specifici interessi tutelati dall’art. 274 c.p.p., la cognizione del giudice d’appello - che sia investito dall’impugnazione dell’indagato o del Pubblico Ministero - deve, per assolvere alla sua funzione, esplicarsi con la completezza richiesta dalla natura della decisione invocata, e quindi riguardare tutti gli elementi richiesti per l’applicazione, il mantenimento o la sostituzione della misura. In ogni caso va considerato, con riferimento al principio devolutivo dell’appello ordinario o cautelare , che la cognizione del giudice è limitata ai punti della sentenza impugnata ma non all’ambito dei motivi dedotti, in particolare quando i punti investiti dal gravame si trovino in rapporto di pregiudizialità, dipendenza, inscindibilità o connessione con altri non oggetto di gravame, così da rendere necessaria, per il giudice del gravame, una completa cognitio causae nell’ambito del devolutum Cass., n. 2559 del 26/6/1995 . Il Tribunale del riesame ha, quindi, correttamente ritenuto di potere accogliere l’appello del pubblico ministero per motivi diversi da quelli prospettati. Deve ricordarsi che il giudice dell’appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione, conseguente alla violazione del principio di devoluzione parziale, ove prenda in esame il punto della sussistenza di esigenze cautelari nella sua interezza, al di là delle specifiche esigenze che nell’atto di appello siano state indicate come oggetto di erronea valutazione Sez. 1, n. 19992 del 29/04/2010, Brega Massone, Rv. 247615 . Nelle impugnazioni incidentali de liberate il punto della decisione è costituito dal periculum libertatis, inscindibilmente e globalmente inteso, quali che siano le specifiche esigenze tipizzate dall’art. 274 c.p.p. di cui nella specie si supponga la probabile lesione. Per integrare la nozione giuridica di punto non basta, infatti, la autonomia concettuale della relativa quaestio juris vel fatti in relazione a deduzioni in fatto e/o argomentazioni in diritto sviluppate occorre, bensì, che la questione si traduca in una precisa statuizione, scandita nel dispositivo e dotata di autonoma rilevanza. In tema di esigenze cautelari, però, importa esclusivamente, a tale riguardo, se ricorra almeno alcuna di esse così da consentire la applicazione o la prosecuzione della misura ovvero nessuna così da ostare alla applicazione della misura o da imporne la revoca mentre non hanno rilevanza i profili quantitativo sussistenza di una sola esigenza o concorso di più esigenze e qualitativo ricorrenza di una della previsioni dell’art. 274 c.p.p. piuttosto che di una altra , in quanto le suddette alternative non hanno influenza sul dispositivo Sez. 6, n. 13863 del 16/02/2017, Ferro, Rv. 269461 . 3. La prima censura del secondo motivo di ricorso è manifestamente infondata, posto che il Collegio della cautela ricostruisce con una motivazione congrua e logica la dinamica dei fatti e spiega le ragioni per le quali la condotta di evasione dell’imputato non può essere considerata di lieve entità. 3.1. È fondata la seconda doglianza del secondo motivo di ricorso che censura l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in presenza di reato punito con pena detentiva inferiore al limite di cui all’art. 275 c.p.p., comma 2-bis. 3.2. In virtù dell’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, secondo periodo, ferma restando l’applicabilità dell’art. 276 c.p.p., comma 1-ter, e art. 280 c.p.p., comma 3 la custodia in carcere non può essere applicata, qualora si preveda che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni di reclusione. Il reato di evasione è punito con una pena fino a tre anni di reclusione, salvo che ricorra alcuna delle circostanze aggravanti ad effetto speciale di cui al comma 2 della medesima disposizione. Il Tribunale di Roma ha, invero, ritenuto che in tal caso, pur prospettandosi, in ragione della cornice edittale propria del delitto di evasione, l’irrogazione di una sanzione non superiore ai tre anni, potesse, comunque essere applicata la misura di massimo rigore in ragione di quanto previsto dall’art. 391 c.p.p., comma 5. 3.3. Deve sottolinearsi che l’allontanamento non autorizzato dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, nel sistema del codice di rito, rileva sotto due distinti profili, oggetto di separati procedimenti Sez. 6, n. 40994 dell’1/1/2015, El Mkhatri, Rv. 265609 la violazione della originaria misura coercitiva, che impone di verificare la sua permanente adeguatezza a fronteggiare le esigenze cautelari poste a base della misura, e la commissione di un autonomo delitto di evasione, che consente l’arresto anche fuori dai casi di flagranza ai sensi del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 3, convertito, con modifiche, nella L. 12 luglio 1991, n. 203. In tale ambito è di tutta evidenza che la deroga delle previsioni degli art. 276 c.p.p., comma 1-ter, e art. 280 c.p.p., comma 3, sia operativa solo con riferimento alla misura coercitiva disposta in via di aggravamento di quella originaria e non già con riferimento all’autonomo titolo cautelare emesso in relazione al delitto di evasione Sez. 6, n. 18856 del 15/03/2018, Fasciolo, Rv. 273248 . Nè è possibile ovviare ai limiti di applicabilità della custodia cautelare in carcere dettati dall’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, facendo riferimento alla disposizione di cui all’art. 391 c.p.p., comma 5, la quale prevede una deroga in relazione ai delitti per i quali l’arresto è consentito anche fuori dai casi di flagranza come per l’evasione , ammettendo l’applicazione di una misura coercitiva in deroga ai limiti di pena previsti dall’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c e art. 280 c.p.p., ma non alla norma generale di cui all’art. 275 c.p.p., comma 2-bis. In senso contrario, non è in alcun modo sostenibile che l’art. 391 c.p.p., comma 5, possa essere interpretato in maniera estensiva, ritenendo che la deroga che esso contempla alle soglie di sbarramento di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c , e art. 280 c.p.p. debba abbracciare anche quella di più recente introduzione, ex art. 275 c.p.p., comma 2-bis. Il primo ed assorbente ostacolo che si frappone ad una siffatta lettura della norma è costituito dal carattere derogatorio in malam partem suo proprio, onde, vertendosi in tema di limitazioni alla libertà personale e, dunque, ad un bene costituzionalmente garantito, ne discende che tutte le eccezioni peggiorative all’ordinario regime cautelare non solo non sono suscettibili di interpretazione analogica, ma non possono che essere passibili di stretta interpretazione letterale, con esclusione di quella estensiva. D’altro canto, il limite di pena previsto dall’art. 280 c.p.p. non è affatto omogeneo a quello previsto dall’art. 275 c.p.p., comma 2-bis il primo, infatti, si rapporta alla pena edittale prevista per il reato, al chiaro scopo di introdurre una selezione fra le fattispecie, riservando solo a quelle connotate astrattamente da maggiore gravità la possibilità che il soggetto che le abbia violate sia sottoposto alla più afflittiva misura consentita laddove il secondo concerne la gravità in concreto dell’illecito per cui si procede, quale desumibile dall’entità della pena che ragionevolmente si prevede che verrà irrogata al colpevole Sez. 6, n. 32498 del 05/07/2016, Vasta, Rv. 267985 Sez. 6, n. 31583 del 23/06/2016, Halilovic, Rv. 267681 . Allo stesso modo, il limite di pena di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c , - che è il medesimo previsto dal succitato art. 280 c.p.p. - si riferisce ad un peculiare profilo in tema di esigenze cautelari, anche in tal caso richiedendo che, ove siano ravvisate dal giudice quelle legate al pericolo di concreta ed attuale reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede, debba trattarsi di reati astrattamente di indubbia significatività, desumibile dal tetto massimo della pena edittale per essi prevista. Non può giungersi a diversa conclusione avendo riguardo, come fa il Tribunale del riesame di Roma, alla clausola di riserva del secondo periodo dell’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, Salvo quanto previsto dal comma 3 . , atteso che la stessa deve essere logicamente riferita alle fattispecie derogatorie dallo stesso previste e non già alla previsione generale con cui si apre il comma 3 La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate . Posto che l’art. 275 c.p.p., comma 2-bis, introduce, come si è detto, una ulteriore soglia di sbarramento , priverebbe di valore tale disposizione consentirne il generalizzato superamento sulla scorta di una valutazione discrezionale sempre rimessa al giudice, quale appunto quella del primo periodo dell’art. 275 c.p.p., comma 3. La clausola in questione si spiega, invece, se rapportata alle ipotesi di cui alla seconda parte del medesimo art. 275 c.p.p., comma 3, in quanto connotate da una valutazione presuntiva, perché operata a monte dallo stesso legislatore, di pericolosità dell’agente e di adeguatezza della massima misura coercitiva Sez. 6, n. 32498 del 05/07/2016, Vasta, Rv. 267985 . In conclusione, colui che, trasgredendo alle prescrizioni degli arresti domiciliari, si allontani dal domicilio e venga poi arrestato per evasione, non potrà essere poi sottoposto a custodia cautelare in carcere in relazione a tale delitto, salvo che gli arresti domiciliari non possano essere disposti per sopravvenuta mancanza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell’art. 284 c.p.p., comma 1. Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale del riesame di Roma perché proceda a nuovo esame sui punti e profili critici segnalati, adeguandosi ai principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma, sezione per le misure cautelari personali.