Legittima la confisca nei confronti dell’evasore fiscale seriale?

Il requisito della pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca non può essere desunto dal mero status di evasore fiscale seriale in quanto, per stabilire se il proposto viva abitualmente con i proventi dell’attività delittuosa, occorre considerare la struttura dei reati commessi, assumendo rilievo le sole condotte generatrici di un profitto e non anche quelle meramente dirette ad evitare il pagamento di imposte riferite ai redditi lecitamente prodotti, nonché l’eventuale definizione in sede conciliativa della pretesa fiscale da cui sia derivato il recupero dell’imposta evasa.

Il caso. La Corte d’Appello di Firenze rigettava l’appello presentato avverso il decreto con cui il Tribunale Misure di Prevenzione di Firenze aveva applicato la misura di prevenzione personale nei confronti di G.I. e aveva disposto la confisca dei beni riferibili sia a quest’ultimo che ai di lui familiari. Ricorrevano per Cassazione sia il proposto che i terzi interessati, sostanzialmente lamentando violazione di legge e vizio motivazionale in merito ai presupposti oggettivi e soggettivi sia della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno applicata che con riferimento alla misura patrimoniale della confisca di prevenzione. La pericolosità generica ed i presupposti per la misura di prevenzione personale. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 24 del 27/02/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, lett. c , d.lgs. 159/2011 nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione personali disposte dall’autorità giudiziaria si applichino anche a coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi. La ratio sottesa a tale decisione è da rinvenirsi nella circostanza che la norma de qua si poneva in contrasto con l’art. 13 della Costituzione – in riferimento all’art. 117, comma 1, Cost. – e con l’art. 2 CEDU, anche alla luce dei principi espressi dalla Grande Camera della Corte Europea con la sentenza del 23/02/2017 nel caso De Tommaso c. Italia. Tra l’altro, ha precisato la Corte Costituzionale, il Giudice della prevenzione è onerato dal verificare e motivare, sulla base di precisi elementi di fatto, che si tratti di delitti a commessi abitualmente, e dunque in un significativo arco temporale, dal soggetto interessato dalla proposta b che abbiano effettivamente generato profitti in capo al medesimo c che tali profitti, a loro volta, costituiscano – o abbiano costituito in una determinata epoca – l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito. La pericolosità generica ed i presupposti per la misura di prevenzione patrimoniale. La Suprema Corte ha avuto modo di chiarire come il requisito della pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca non può essere desunto dal mero status di evasore fiscale seriale in quanto, per stabilire se il proposto viva abitualmente con i proventi dell’attività delittuosa, occorre considerare la struttura dei reati commessi, assumendo rilievo le sole condotte generatrici di un profitto e non anche quelle meramente dirette ad evitare il pagamento di imposte riferite ai redditi lecitamente prodotti, nonché l’eventuale definizione in sede conciliativa della pretesa fiscale da cui sia derivato il recupero dell’imposta evasa. Donde, non automaticamente i requisiti oggettivi e soggettivi della pericolosità generica devono essere necessariamente sovrapponibili all’evasore fiscale in se e per se considerato non si tratta, infatti, di valutare in positivo l’evasione fiscale in sé come fonte di pericolosità sociale, ed in ciò radicare la confisca, ma di escludere – dunque in negativo – che la stessa possa essere addotta quale giustificazione, anche parziale, dell’illecito accumulo, in soggetto giudicato pericoloso aliunde . Confisca e perimetrazione cronologica dell’acquisto. Tutto quanto sopra fermo restando che, chiariscono ulteriormente i Supremi Giudici, giova ricordare la necessità di verificare la c.d. perimetrazione cronologica dell’acquisto nella confisca di prevenzione, nel senso che la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo. Conseguentemente, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 giugno – 19 settembre 2019, n. 38692 Presidente Ricciarelli – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 15 marzo 2018 la Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto avverso i decreti del 6 giugno 2017 e del 1 agosto 2017 con i quali il Tribunale di Firenze aveva applicato nei confronti di I.G. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di due anni e la misura di prevenzione patrimoniale della confisca dei beni ivi indicati e riferibili sia al proposto che alla coniuge V.M. , alle figlie Iu.Ge. e C. , ai generi G.F. e G.L. , nonché a Gu.La. e S.L. , quali terzi interessati. 2. Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Avv. Roberto D’Ippolito, quale difensore e procuratore speciale di I.G. e dei terzi sopra indicati, che ha dedotto i motivi qui di seguito sinteticamente esposti. 2.1. Con il primo motivo si ripropone, muovendo dall’analisi della sentenza della Corte EDU relativa al caso De Tommaso c. Italia del 23 febbraio 2017, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, art. 4, comma 1, lett. c , artt. 6 e 8, nonché, in via conseguenziale, dell’art. 16, comma 1, lett. a , D.Lgs. cit., nella parte in cui rinvia alla lett. c dell’art. 4 e all’art. 1, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione alla violazione dell’art. 2, Prot. 4 CEDU e dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale, nonché per contrasto con la tutela del diritto di proprietà di cui all’art. 42 Cost., per carenza dei requisiti di precisione e prevedibilità sia nella individuazione delle categorie e delle condizioni dei soggetti che possono esser sottoposti a misura di prevenzione personale, sia nella definizione del contenuto precettivo delle misure preventive e delle connesse prescrizioni derivanti dall’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, tenuto conto che nel caso in esame si verte di un’asserita ipotesi di pericolosità generica del proposto e del fatto che l’organo richiedente fa leva su tipologie di fattispecie - i reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2010 - che non figurano negli elenchi di cui agli artt. 4 e 16 D.Lgs. cit 2.2. Con il secondo motivo, inoltre, si lamenta la violazione di legge per assoluta carenza di motivazione in ordine ai presupposti oggettivi e soggettivi della misura di prevenzione personale applicata allo I. , per avere la Corte d’appello omesso di considerare le censure difensive formulate riguardo all’esigenza di una concreta verifica della pericolosità sociale del proposto e della relativa attualità al momento della celebrazione del giudizio, là dove la decisione impugnata ha basato la sua valutazione su misure cautelari personali in realtà mai applicate nei suoi confronti, in relazione ad un procedimento penale per reati fiscali preso in esame dalla Corte distrettuale, benché ancora pendente in fase di udienza preliminare al momento della emissione del decreto nel giudizio di primo grado. 2.3. Con il terzo motivo, infine, si deducono violazioni di legge in ordine alla ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, in considerazione del fatto che i reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 non sono inseriti negli elenchi di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 4 e 16 e che il riferimento ad attività delittuose ivi contenuto nell’art. 1 non è comprensivo di qualsiasi infrazione in materia tributaria, con la conseguenza che devono ritenersi beni confiscabili soltanto quelli prodotti a mezzo dello svolgimento di un’attività ab origine illecita, non quelli acquistati grazie ai redditi derivanti da un’attività lecita, ma sottratti alla dichiarazione fiscale, e dunque semplicemente risparmiati. Nel caso di specie si evidenzia, in particolare, come l’attività imprenditoriale del proposto e dei terzi intestatari non sia di per sé vietata, avuto riguardo alla contestazione del reato di infedele dichiarazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, poiché è l’attività da cui provengono i beni che deve atteggiarsi in termini di illiceità. Nella decisione impugnata, di contro, le misure di prevenzione sono state giustificate sulla scorta di una pericolosità sociale solo presunta, e a sua volta desunta dalla mera, indimostrata, commissione di delitti di natura fiscale da parte del proposto, senza tener conto delle obiezioni sollevate in merito alla incompletezza degli accertamenti patrimoniali effettuati dalla DIA, nè delle risultanze offerte dalle consulenze tecniche di parte prodotte dalla difesa fin dal primo grado di giudizio e della correlata necessità di un preventivo accertamento peritale circa la sussistenza del superamento delle soglie di punibilità degli illeciti tributari per ogni periodo d’imposta in contestazione 2010-2011 , quale presupposto per una eventuale applicazione delle misure di prevenzione. 2.4. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Suprema Corte in data 16 maggio 2019 il difensore ha sviluppato ulteriori argomenti a sostegno del secondo e del terzo motivo del ricorso principale, richiamando altresì il contenuto della decisione n. 24/2019 della Corte costituzionale. 3. Con requisitoria del 10 maggio 2019 il P.G. ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati e vanno accolti per le ragioni di seguito indicate. 2. In ordine ai primi due motivi di doglianza deve rilevarsi come le questioni ivi enucleate debbano essere oggetto di rinnovato apprezzamento alla luce delle indicazioni tracciate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 27 febbraio 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale - tra le altre disposizioni – del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 4, comma 1, lett. c , nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo II cioè le misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria si applichino anche ai soggetti indicati nell’art. 1, lett. a , cioè a coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi . A sostegno della decisione, il Giudice delle leggi ha rilevato come detta previsione si ponga in contrasto con l’art. 13 Cost. e, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, con l’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU per ciò che concerne le misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale, anche alla luce dei principii espressi dalla Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo con la sentenza pronunziata il 23 febbraio 2017 nel caso De Tommaso c. Italia. La Corte costituzionale è invece pervenuta a diverse conclusioni con riguardo alla censura d’incostituzionalità del L. n. 1423 del 1956, art. 1, n. 2 , poi confluita nel D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. b . A tale proposito si è infatti rilevato come, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale successiva alla citata sentenza De Tommaso, risulti oggi possibile assicurare in via interpretativa contorni sufficientemente precisi alla fattispecie descritta, sì da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente in anticipo in quali casi oltre che in quali modi - essi potranno essere sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. La Corte, in particolare, ha osservato che la locuzione coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose deve essere interpretata come espressiva della necessità di predeterminazione non tanto di singoli titoli di reato, quanto di specifiche categorie di reato, così da poter ritenere preventivamente individuati i tipi di comportamento types of behaviour assunti a presupposto della misura in linea con le indicazioni offerte dalla Corte EDU. Il Giudice delle leggi ha inoltre precisato che le categorie di delitto che possono essere assunte a presupposto della misura sono in effetti suscettibili di trovare concretizzazione nel caso di specie esaminato dal giudice in virtù di un triplice requisito - da provarsi sulla base di precisi elementi di fatto , di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nella motivazione art. 13 Cost., comma 2 - per cui deve trattarsi di delitti a commessi abitualmente e dunque in un significativo arco temporale dal soggetto interessato dalla proposta b che abbiano effettivamente generato profitti in capo al medesimo c che tali profitti, a loro volta, costituiscano - o abbiano costituito in una determinata epoca - l’unico reddito del soggetto, o quanto meno una componente significativa di tale reddito. Ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, dovrà naturalmente aggiungersi, al riscontro processuale di tali requisiti, la valutazione dell’effettiva pericolosità del soggetto per la sicurezza pubblica, ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 6, comma 1. Ne discende che, in tema di pericolosità generica D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 1, comma 1, lett. b , possono costituire presupposto della misura della sorveglianza speciale i soli delitti commessi abitualmente dal proposto che abbiano effettivamente generato profitti per il predetto, costituenti l’unico suo reddito o, quantomeno, una componente significativa dello stesso Sez. 6, n. 21513 del 09/04/2019, Coluccia, Rv. 275737 Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, Germanò, Rv. 275827 . A seguito della pronuncia resa dalla Corte EDU nel caso De Tommaso c. Italia, peraltro, questa Corte aveva già osservato, in un’ottica costituzionalmente orientata, come il giudizio di pericolosità necessario al fine di rendere le misure convenzionalmente conformi dovesse fondarsi su un’interpretazione restrittiva dei presupposti per l’applicazione ai c.d. pericolosi generici e, dunque, sull’oggettiva valutazione di fatti sintomatici collegati ad elementi certi e non su meri sospetti, significativi di un’effettiva tendenza a delinquere del proposto Sez. 2, n. 9517 del 07/02/2018, Baricevic, Rv. 272521 . Al riguardo, ancora, deve rilevarsi come questa Corte abbia già avuto modo di affermare che, qualora sia investita del ricorso avverso un provvedimento applicativo di misura che, prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 1, comma 1, lett. a , ad opera della sentenza della Corte Cost. n. 24 del 2019, abbia inquadrato la pericolosità sociale del proposto nelle fattispecie di cui alle lett. a e b del citato art. 1, è tenuta a disporre l’annullamento con rinvio di tale provvedimento atteso che l’operazione di riqualificazione totale o parziale delle fattispecie di pericolosità implica un’attività di verifica che involge profili di merito e necessita la riapertura del contraddittorio tra le parti non consentita dalla trattazione camerale del procedimento di prevenzione Sez. 1, n. 27696 del 01/04/2019, Immobiliare Peonia s.r.l., Rv. 275888 Sez. 2, n. 11445 del 08/03/2019, Lauri, Rv. 276061 . 3. Alla stregua dell’assetto normativo ricostruito a seguito del recente intervento del Giudice delle leggi, risulta di tutta evidenza l’esigenza di rivalutare la sussistenza dei presupposti giustificativi della misura di prevenzione personale adottata nei confronti dello I. , essendo medio tempore venuta meno una delle due basi legali su cui poggiava la misura di prevenzione applicata nel caso di specie, segnatamente la previsione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, lett. a . Sotto tale profilo, il provvedimento impugnato ha fondato il suo apprezzamento circa la ritenuta sussistenza della pericolosità generica del proposto facendo leva sulle risultanze di atti d’indagine espletati nell’ambito di procedimenti penali a suo carico pendenti per reati fiscali e fallimentari, ovvero su ipotizzate condotte di reimpiego di rilevanti proventi, non pienamente contabilizzati nè dichiarati, derivanti dalle attività immobiliari di una società di cui lo stesso proposto ed i familiari sono soci , senza tener conto del fatto che il concetto di abitualità rilevante ai fini della pericolosità generica deve essere valutato dal giudice della prevenzione tenendo conto del pregresso accertamento in sede penale, ancorché non definito da una sentenza di condanna, dell’avvenuta commissione di delitti dai quali il proposto avrebbe tratto proventi illeciti sulla stregua dei criteri direttivi ricavabili dall’applicazione dei su esposti parametri di riferimento arg. ex Sez. 6, n. 53003 del 21/09/2017, D’Alessandro, Rv. 272268 . Tanto, sulla scia delle indicazioni offerte dalla richiamata pronunzia della Corte costituzionale e dei rilievi a suo tempo formulati nella citata decisione della Corte EDU sul caso De Tommaso c. Italia, che ha espressamente posto in risalto la necessità di una valutazione oggettiva delle prove che rivelino il comportamento e lo standard di vita dell’individuo o la messa in evidenza di segni specifici esteriori delle sue tendenze. 4. Sotto altro, ma connesso profilo, nel verificare la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale - dal provvedimento impugnato incentrata sul rilievo assegnato all’ipotizzata commissione di reati tributari - la Corte d’appello dovrà inoltre considerare che il requisito della pericolosità generica che legittima l’applicazione della confisca non può essere desunto dal mero status di evasore fiscale seriale, in quanto, per stabilire se il proposto viva abitualmente con i proventi dell’attività delittuosa, occorre considerare la struttura dei reati commessi - assumendo rilievo le sole condotte generatrici di un profitto e non anche quelle meramente dirette ad evitare il pagamento di imposte riferite a redditi lecitamente prodotti - nonché l’eventuale definizione in sede conciliativa della pretesa fiscale da cui sia derivata il recupero dell’imposta evasa Sez. 6, n. 53003 del 21/09/2017, D’Alessandro, Rv. 272268 . I requisiti di stretta interpretazione necessari per l’assoggettabilità a tale misura sono indicati dal D.Lgs. n. 159 del 2011, artt. 1 e 4 e concernono, come si è visto, soggetti che vivono abitualmente, sia pure solo in parte, con i proventi di attività delittuose requisiti, questi, non automaticamente e necessariamente sovrapponibili all’evasore fiscale, in sé e per sé considerato arg. ex Sez. 5, n. 6067 del 06/12/2016, dep. 2017, Malara, Rv. 269026 . Un indirizzo ermeneutico, quello or ora richiamato, che trova il suo fondamento nelle argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte v., in motivazione, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260244 , secondo cui non si tratta, infatti, di valutare in positivo l’evasione fiscale in sé come fonte di pericolosità sociale, ed in ciò radicare la confisca, ma di escludere dunque in negativo che la stessa possa essere addotta quale giustificazione anche parziale dell’illecito accumulo, in soggetto - vale ribadire giudicato pericoloso aliunde . Al riguardo, infine, giova richiamare l’insegnamento di questa Suprema Corte sulla necessità di verificare la perimetrazione cronologica dell’acquisto nella confisca di prevenzione Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605 , nel senso che la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato. È dunque consentito applicare la confisca prescindendo dal requisito della pericolosità del proposto al momento dell’adozione della misura, ma è comunque necessario che tale pericolosità sia accertata con riferimento all’epoca dell’acquisto del bene oggetto della richiesta ablatoria Sez. 1, n. 32398 del 21/03/2014, Cirillo, Rv. 260281 . 5. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, s’impone l’annullamento con rinvio del decreto impugnato, affinché la Corte d’appello in dispositivo indicata provveda ad eliminare i vizi sopra rilevati, uniformandosi al quadro dei principii in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.