Reato permanente: la riunione dei procedimenti non determina la contestazione di fatti nuovi

In tema di modifica dell’imputazione, non rientra nella categoria dei fatti nuovi la esplicitazione di una diversa data relativa al tempo del commesso reato quando si tratti di procedimenti riuniti per reati permanenti già oggetto di un’imputazione temporalmente aperta”.

Sul tema la Suprema Corte con la sentenza n. 38687/19, depositata il 19 settembre. Il caso. Un uomo è stato condannato per aver fatto mancare alle due figlie minori le somme determinate dal Tribunale per i minorenni. La sentenza di condanna è stata confermata dalla Corte d’Appello. Impugnato il provvedimento con ricorso per cassazione, lo stesso è stato dichiarato inammissibile. Riunione dei procedimenti. Inizialmente l’imputato era stato tratto a giudizio nell’ambito di due separati procedimenti, poi riuniti, in cui gli era stato contestato il medesimo reato differente solo con riguardo all’ambito temporale. In una prima udienza, il giudice dichiarava aperto il dibattimento, ammetteva le prove richieste dalle parti e invitava il Pubblico Ministero a citare i testi per l’udienza successiva. In tale successiva udienza il Pubblico Ministero precisava l’imputazione, con riferimento alla riunione dei due procedimenti, indicando un’unica data di commissione del reato permanente. Il Tribunale non disponeva la notifica del verbale all’imputato assente, procedeva alla rinnovazione dell’attività dibattimentale già compiuta e assumeva le prove. Nessuna eccezione veniva sollevata da parte del difensore dell’imputato. La riunione non ha determinato la contestazione di fatti nuovi. L’imputato assumeva essere stato leso il diritto di difesa perché la precisazione delle contestazioni conseguente alla riunione dei procedimenti integrerebbe la categoria dei fatti nuovi”. Ma secondo la Corte di cassazione l’imputazione di uno dei due procedimenti era già temporalmente aperta” perché si contestava la permanenza del reato, permanenza che sarebbe cessata solo con l’emissione della sentenza di primo grado. Nessuna modifica dunque del fatto di reato, nemmeno sotto il profilo temporale, veniva a determinarsi dalla precisazione dell’imputazione compiuta dal Pubblico Ministero, precisazione che aveva mera funzione esplicativa. La modifica della data. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la modifica in udienza del capo di imputazione consistente nella diversa indicazione della data del reato commesso non costituisce modifica dell’imputazione allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, non incidendo sulla possibilità di individuare il fatto da parte dell’imputato e, dunque, neutra” rispetto all’esercizio del diritto di difesa. La modifica in udienza del capo di imputazione con indicazione di una data diversa non sempre comporta una alterazione avente incidenza sull’identità sostanziale e sull’identificazione dell’addebito. A seconda dei casi, infatti, l’esatta collocazione temporale di un fatto di reato può assumere o meno rilevanza decisiva. Nel caso concreto non vi fu tecnicamente una modifica dell’imputazione e dunque alcuna notifica del verbale di udienza avrebbe dovuto essere compiuta all’imputato assente. Mancata rinnovazione dell’udienza filtro. Il ricorrente ha altresì censurato il mancato rinnovamento dell’udienza filtro, dopo la sostituzione del precedente magistrato. Al riguardo, la Corte ha ricordato il principio secondo cui alla deliberazione della sentenza concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento è infatti necessario che la persona fisica che delibera sia la stessa che ha ammesso e assunto le prove. Di qui la regola per la quale se muta la persona fisica del giudice, il processo regredisce al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento. La giurisprudenza sul punto esclude che a seguito del mutamento della persona fisica del giudice sia necessario rinnovare la citazione dell’imputato assente o contumace che è per legge rappresentato dal suo difensore. Nondimeno, il nuovo organo giudicante potrebbe verificare autonomamente la regolarità della costituzione in giudizio ma non si tratta di un’attività processuale imposta. Dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento il nuovo” giudice invita nuovamente le parti a formulare le rispettive richieste istruttorie, provvede all’ammissione delle prove e le assume. Nel caso di specie, il Tribunale in diversa composizione non doveva smistare” alcunché perché il dibattimento era già stato aperto in precedenza. Doveva essere rinnovata solo l’attività successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, cioè quella concernente l’ammissione e l’assunzione delle prove.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 febbraio – 19 settembre 2019, n. 38687 Presidente Di Stefano – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di L’Aquila ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui K.N. è stato condannato per il reato previsto dall’art. 570 c.p., comma 2, per aver fatto mancare alle due figlie minori le somme determinate dal Tribunale per i minorenni da gennaio 2010 a tutt’ora pendente così modificato quanto alla data del commesso reato, all’udienza del 15/06/2010 così formalmente l’imputazione riportata nella sentenza di appello . 2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando un unico motivo con cui lamenta violazione di legge e vizio di motivazione si assume che il giudice, in ragione della modifica della imputazione avvenuta il 15/06/2016, avrebbe dovuto notificare il verbale di udienza all’imputato assente dalla omessa notifica del verbale deriverebbe una nullità processuale. Sotto altro profilo, si deduce che all’udienza del 15/06/2016, la prima successiva a quella del 15/03/2016 in cui fu disposta la riunione al presente processo di altro procedimento, l’imputato fu assente perché, secondo il protocollo delle udienze vigente presso il Tribunale di L’Aquila, detta udienza, celebrata davanti al Tribunale in diversa composizione, avrebbe dovuto essere di smistamento , mentre, invece, il giudice, aperto il dibattimento ed ammesse le prove fra cui l’esame dell’imputato-, rinviò il dibattimento alle successive ore 11,30, quando provvide ad assumere le testimonianze a carico, non consentendo all’imputato di rendere il suo esame dibattimentale. Il verbale di udienza non riporterebbe inoltre le richieste di prova della difesa ed il giudizio di penale responsabilità sarebbe stato fondato solo sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa. Si contesta inoltre l’ammontare del risarcimento del danno riconosciuto alla parte civile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Dagli atti emerge che a l’imputato era stato tratto a giudizio nell’ambito di due separati procedimenti poi riuniti il 15/03/2016 in cui gli era stato contestato il reato previsto dall’art. 570 c.p., rispettivamente, quanto al tempo di commissione, nel primo procedimento da gennaio a maggio 2010, da settembre a dicembre 2010, da gennaio a novembre 2011 e nel secondo da dicembre 2011 e tutt’ora permanente b alla stesa udienza del 15/03/2016, il Giudice, dichiarò aperto il dibattimento, ammise le prove richieste dalle parti ed invitò il Pubblico Ministero a citare i propri testi per la successiva udienza c all’udienza del 15/06/2016, il Pubblico Ministero precisò l’imputazione nel senso di indicare, in ragione della intervenuta riunione, un’unica data di commissione del reato da gennaio 2010 a tutt’ora pendente d in quella stessa data, il Tribunale, in diversa composizione, in ragione della portata della modifica, non dispose la notifica del verbale, pur essendo l’imputato assente, procedette alla rinnovazione dell’attività dibattimentale già compiuta, aggiornò il processo alle ore 11,30 e procedette all’assunzione delle prove e nessuna eccezione fu sollevata dal difensore dell’imputato. 3. Sulla base di tale quadro di riferimento, le questioni di nullità relative alla lesione del diritto di difesa sono manifestamente infondate. 3.1. Secondo il ricorrente, una prima lesione sarebbe derivata, per effetto della precisazione della contestazione conseguente alla riunione degli autonomi procedimenti, dalla protrazione della condotta criminosa fino al 15/06/2016, cioè fino al giorno della modifica della imputazione. Si assume che sarebbero stati contestati fatti nuovi. Si tratta di un assunto del tutto infondato, tenuto conto che la imputazione formulata in uno dei due procedimenti originari poi riuniti era già temporalmente aperta , nel senso che la permanenza del reato era stata determinata dal gennaio 2010 e tuttora permanente e, dunque, sarebbe cessata, in assenza di una nuova modifica della imputazione, solo con la emissione della sentenza di primo grado, esattamente come poi si è verificato a seguito della contestata modifica della contestazione compiuta all’udienza del 15/06/2016. Dunque, la precisazione della imputazione compiuta dal Pubblico ministero ebbe una funzione meramente esplicativa perché non modificò strutturalmente il fatto reato contestato, nemmeno sotto il profilo della sua collocazione temporale. La Corte di cassazione ha chiarito, in tema di nuove contestazioni, che la modifica in udienza del capo di imputazione, consistente nella diversa indicazione della data del commesso reato, non costituisce modifica dell’imputazione, rilevante ex art. 516 c.p.p., allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell’imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa Sez. 5, n. 48879 del 17/09/2018, L, Rv. 274159 Sez. 5, n. 10196 el 31/01/2013, Mannino, Rv. 254658 . La modifica in udienza del capo di imputazione, consistente nella diversa indicazione della data del commesso reato, non sempre infatti comporta una alterazione avente incidenza sulla identità sostanziale e sulla identificazione dell’addebito, atteso che, a seconda dei casi, l’esatta collocazione temporale di un fatto delittuoso può assumere o meno rilevanza decisiva, condizionando le possibilità di difesa dell’imputato. Detta rilevanza deve essere accertata alla luce delle finalità della norme di cui agli artt. 516-522 c.p.p., preordinate ad assicurare il contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa nella specie non vi fu tecnicamente una modifica della imputazione e, di conseguenza, nessuna notifica del verbale di udienza avrebbe dovuto essere compiuta all’imputato assente in tal senso non pare irrilevante che il difensore dell’imputato, presente al momento della precisazione della imputazione nulla eccepì. 3.2. Non diversamente, è manifestamente infondato il motivo di ricorso nella parte in cui si è fatto riferimento alla violazione dei protocolli di udienza, per essere stata non di mero filtro l’udienza celebrata davanti al Tribunale in diversa composizione, chiamato a rinnovare gli atti, dopo la sostituzione del precedente magistrato. Ai sensi dell’art. 525 c.p.p., comma 2, alla deliberazione della sentenza concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento, attesa la necessità che la persona fisica che deliberi sul fondamento dell’accusa sia la stessa che abbia ammesso ed assunto le prove. Per effetto del mutamento della persona fisica del giudice, il processo regredisce al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento, sicché è estranea al tema della rinnovazione tutta l’attività processuale, compiuta prima della dichiarazione prevista dall’art. 492 c.p.p Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, il mutamento della persona del giudice non rende giuridicamente necessaria la rinnovazione della citazione dell’imputato assente o contumace, inerendo il principio di immutabilità al dibattimento. L’imputato, assente o contumace, è infatti per legge rappresentato dal suo difensore artt. 420-quater e 420-quinquies e allorquando il legislatore ha inteso porre nel corso del processo oneri di partecipazione in favore dell’imputato assente o contumace, ciò ha fatto con una espressa previsione, come nel caso di cui all’art. 520 c.p.p Diverso dal problema indicato è quello relativo al se il nuovo organo giudicante debba, anche solo per motivi di opportunità, verificare autonomamente la regolarità della costituzione in giudizio e, in particolare, la ritualità della notifica del decreto che dispone il giudizio e, quindi, quella della eventuale dichiarazione di contumacia già pronunciata. Pur non essendo una attività processuale imposta, è tuttavia ragionevole che il nuovo giudice verifichi la regolare costituzione del rapporto processuale, ben potendo egli determinarsi diversamente dal precedente e ravvisare, quindi, un difetto di notificazione ovvero una qualche ragione per cui l’imputato possa non aver avuto conoscenza del processo e della data della udienza. A seguito della regressione del processo non sono ammissibili richieste di riti alternativi, nè deve essere rinnovata la fase processuale destinata alla trattazione e alla decisione delle questioni preliminari, le quali non possono essere riproposte in un momento, quale quello della nuova dichiarazione di apertura del dibattimento, successivo al limite previsto dall’art. 491 c.p.p Nei procedimenti ordinari, dopo la nuova dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice, nella nuova composizione fisica, invita nuovamente le parti a formulare le rispettive richieste istruttorie, provvede, ai sensi dell’art. 495 c.p.p., comma 1, all’ammissione delle prove a norma degli artt. 187 190 c.p.p. ed assume le prove secondo le regole previste dagli artt. 496 c.p.p. e ss Dunque, il Tribunale, in diversa composizione, all’udienza del 15/06/2016, non doveva, diversamente dagli assunti difensivi, smistare alcunché, perché il dibattimento era già stato in precedenza aperto, e ciò che doveva essere rinnovato era solo l’attività successiva alla dichiarazione di apertura del dibattimento, cioè quella dell’ammissione e della assunzione delle prove, cioe, ciò che il Giudice correttamente fece. La tesi del ricorrente, secondo cui, a seguito della rinnovata composizione del tribunale, si sarebbe dovuto nuovamente procedere ad un’attività di filtro e di smistamento del processo sul ruolo del Giudice è tecnicamente infondata. 3.3. Del tutto generico è infine il motivo di ricorso nella parte relativa al giudizio di penale responsabilità ed alla pretesa risarcitoria, non essendo stato dedotto nulla di specifico. La Corte di cassazione ha costantemente affermato che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si esplica attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità artt. 581 e 591 c.p.p. , devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è infatti il confronto puntuale cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Ne consegue che se il motivo di ricorso si limita ad affermazioni generiche, esso non è conforme alla funzione per la quale è previsto e ammesso, cioè la critica argomentata al provvedimento, posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento formalmente attaccato , lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. 4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.