La falsa attestazione del dipendente circa la sua presenza in ufficio non è reato di falso ideologico

Inapplicabile la disciplina penalisitica della falsità in atto pubblico con riferimento alle attestazioni di presenza in servizio da parte del pubblico dipendente.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 38278/19, depositata il 17 settembre. Il ricorrente si rivolge alla S.C. per chiedere la cassazione della sentenza dalla Corte d’Appello che, in riforma della decisione di primo grado che lo aveva condannato per tentata truffa ai danni dell’INPS e violazione dell’art. 55- quinquies d.lgs. n. 165/2001, gli concedeva la sospensione condizionale della pena confermando nel resto. Questi deduce violazione di legge in ordine alla sussistenza della violazione dell’art. 55- quinquies d.lgs. n. 165/2001 per omesso accertamento del suo stato di salute, delle mansioni svolte, nonostante la produzione del certificato medico. Configurabilità o meno del reato di falso ideologico. Per quanto riguarda la configurabilità del reato di falso ideologico, per i Giudici di legittimità essa deve escludersi nel caso concreto. Infatti gli stessi giudici hanno avuto modo di affermare che non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del dipendente pubblico circa la sua presenza in ufficio riportata nel cartellino marcatempo e nei fogli presenza, poiché si tratta di documenti che hanno natura di semplice attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica. Ed inoltre deve escludersi la configurabilità della fattispecie di falsità in certificazioni amministrative, contestata dai giudici di merito. Confermato invece il reato di tentata truffa. Per le suddette ragioni, la sentenza deve essere annullata limitatamente al reato di falso ideologico perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 luglio – 17 settembre 2019, n. 38278 Presidente Cammino – Relatore Verga Ritenuto in fatto R.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 29.9.2016 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese che lo aveva condannato per tentata truffa ai danni dell’INPS e violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quinquies e artt. 48 e 480 c.p., gli concede la sospensione condizionale della pena confermando nel resto. Deduce il ricorrente 1. violazione di legge in ordine alla sussistenza della violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quinquies per omesso accertamento delle mansioni svolte, omessa valutazione del suo stato di salute, nonostante la produzione di certificazione medica. 2. violazione di legge in ordine alla sussistenza della tentata truffa con riguardo alla condotta artificiosa 3. violazione di legge in ordine alla sussistenza del reato di cui agli artt. 48 e 480 c.p. rilevando che la valutazione si fonda esclusivamente sull’acquisizione del foglio presenze. Considerato in diritto I primi due motivi di ricorso che investono la sussistenza dei reati di tentata truffa e del delitto di false attestazioni o certificazioni ex D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quinquies sono palesemente inammissibili in quanto il ricorrente ha proposto doglianze che si riflettono esclusivamente sui criteri di valutazione del materiale probatorio, puntualmente delibato dei giudici del gravame i quali hanno offerto - su tutti i punti della vicenda, ora nuovamente rievocati dal ricorrente - una motivazione del tutto esauriente, contestabile solo proponendo una non consentita lettura alternativa dei fatti. Premesso che come affermato anche da questa Corte nella sentenza n. 45696 del 2015 Rv. 265400 il delitto di false attestazioni o certificazioni ex D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55-quinquies, che si consuma con la mera realizzazione, da parte dei pubblici dipendenti, di un comportamento fraudolento consistente nell’irregolare utilizzo dei sistemi di rilevazione delle presenze, può concorrere con la truffa aggravata ex art. 640 c.p., comma 2, n. 1, quando la condotta fraudolenta, destinata a celare l’assenza dal lavoro, non poteva non provocare un danno economico apprezzabile all’Amministrazione, in conformità alla clausola di riserva di cui al predetto art. 55-quinquies, comma 1, che mantiene fermo quanto previsto dal codice penale , deve rilevarsi che i motivi che instono la sussistenza di dette fattispecie risultano solo formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto sono articolati esclusivamente sulla base di rilievi in punto di ricostruzione del fatto e delle responsabilità, tendenti ad una rivalutazione delle relative statuizioni adottate dai giudici di merito. Statuizioni, per di più, sviluppate sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti prova che il R. ha attestato falsamente la propria presenza in servizio il giorno 6 novembre 2013, timbrando il cartellino alle ore 13.04 considerato che lo stesso alle ore 14.50 è stato trovato presso la sua abitazione in pigiama, condotta fraudolenta idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza sul luogo di lavoro ora nuovamente messi in discussione. Deve invece escludersi la configurabilità del reato di falso ideologico di cui al capo c . Le Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare che non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo e nei fogli di presenza, in quanto si tratta di documenti che hanno natura di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, e che in ciò esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione così, in motivazione, Sez. U, n. 15983 del 11/04/2006, Sepe, Rv. 233423 . La successiva giurisprudenza ha mantenuto fermo il rispetto di questo principio. Del resto, poco dopo la sentenza delle Sezioni Unite, il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 69, comma 1, ha inserito nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55-quinquies, rubricato False attestazioni o certificazioni , nel quale è dettata una specifica disciplina, anche penalistica, per la falsa attestazione della propria presenza in servizio da parte del lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione. Previsione che conferma la soluzione giurisprudenziale della inapplicabilità della disciplina penalistica della falsità in atto pubblico con riferimento alle attestazioni di presenza in servizio. Deve escludersi anche la configurabilità della fattispecie di falsità in certificazioni amministrative, contestata dai giudici del merito. Le stesse Sezioni Unite, quando hanno escluso la configurabilità del reato di falso ideologico in atto pubblico con riferimento alla falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo e nei fogli di presenza, hanno pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, senza procedere ad alcuna riqualificazione giuridica del fatto in contestazione. Può quindi ribadirsi che le mendaci attestazioni in argomento sono destinate esclusivamente a controlli interni della Pubblica amministrazione, strettamente inerenti al rapporto di lavoro tra il dipendente e l’ente pubblico, e come tali non sono sussumibili nè nella fattispecie della falsità ideologica del pubblico ufficiale in atto pubblico, nè nella fattispecie della falsità ideologica in certificati o autorizzazioni amministrative in tal senso anche Cass. Sez. 6 n. 52207 del 2018 . La sentenza deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente al reato ascritto al delitto di falso ideologico di cui al capo c perché il fatto non sussiste ed eliminata la relativa pena di un mese di reclusione ed Euro 100,00 di multa. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato ascritto al capo c artt. 48 e 480 c.p. perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena in continuazione di un mese di reclusione ed Euro 100,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.