Percosse e vessazioni psicologiche sulla figlia, madre condannata per maltrattamenti

La bambina ha vissuto un incubo dai 7 ai 13 anni di età, un incubo finito solo quando sono venuti alla luce i comportamenti della madre. Quest’ultima l’ha offesa, picchiata, e sottoposta a sevizie psicologiche.

Vita da incubo per una bambina, che dai 7 ai 13 anni di età, ha dovuto subire le violenze fisiche e le angherie psicologiche della madre. Logico parlare di maltrattamenti” – resi più gravi anche dai delitti di sequestro di persona” e lesioni” –, con conseguente condanna della donna a due anni e mezzo di reclusione Cassazione, sentenza n. 38430/19, sez. V Penale, depositata oggi . Soprusi. Ricostruita nei dettagli la terribile storia riguardante una bambina – Nadia, nome di fantasia – che è stata presa di mira dalla madre – Barbara, altro nome di fantasia – e per anni ne ha sopportato in silenzio i soprusi, consistiti non solo in violenze fisiche ma anche in ferite psicologiche, inflitte con le parole e con comportamenti assurdi. Solo dopo anni di vessazioni, è venuto fuori l’incubo vissuto dai 7 ai 13 anni di età dalla bambina. E prontamente è scattato il processo a carico della madre, ritenuta colpevole prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello e condanna a due anni e mezzo di reclusione. A inchiodare la donna i racconti della figlia, racconti immuni da spirito rancoroso nei confronti della madre e al contrario caratterizzati da un triste sentimento di rammarico per la triste condizione di malattia della donna. Incubo. Il quadro probatorio tracciato grazie alle parole della piccola vittima è sufficiente anche secondo i Giudici della Cassazione, che difatti rendono definitiva la condanna della madre. Nello specifico, la bambina ha subito aggressioni verbali, improperi con nominativi quali pana”, stra”, deficiente” , continue aggressioni fisiche mediante percosse, spinte, schiaffi e pugni al corpo e addirittura privazione della sua porzione di cibo e di acqua mentre la donna infliggeva una ulteriore punizione cenando e bevendo dinanzi alla bambina . Sullo stesso piano, poi, si colloca anche il fatto che la donna le abbia impedito qualsiasi contatto con i coetanei e le abbia vietato di partecipare alle loro feste, portandola però sul luogo degli incontri dei ragazzi per mostrarle come si divertissero . Allo stesso tempo, va annotato che la donna ha più volte rinchiuso la figlia dentro la camera da letto o in bagno, anche al buio e in alcune occasioni l’ha chiusa sola in macchina per ore . Tutti questi comportamenti hanno determinato uno stato di prostrazione e soggezione della bambina nei confronti della madre , e hanno provocato ripercussioni negative evidenti, come la perdita di peso, il pallore, il tremore alle mani e lo sguardo triste . E non a caso le insegnanti della scuola elementare hanno evidenziato una trasformazione caratteriale della bambina, dapprima vivace, poi taciturna e caratterizzata da una magrezza al di sotto della normalità . L’incubo per la bambina è finito è stata prima affidata a una comunità e poi al padre, separato dalla madre. E la condanna della donna è la chiusura anche dello strascico giudiziario per quegli anni di maltrattamenti e di vessazioni.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 maggio – 17 settembre 2019, n. 38430 Presidente Palla – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto e diritto 1. Con sentenza del 19.1.2018 la Corte d'appello di Bologna in parziale riforma della sentenza del G.u.p. di Ravenna del 3.7.2014 revocava la dichiarazione di pericolosità e la conseguente applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata nei confronti di Co. Al., confermando la condanna della stessa alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, concessa l'attenuante del vizio parziale di mente, equivalente alle aggravanti, per i reati di maltrattamenti, sequestro di persona e lesioni di cui agli artt. 572 c.p. 605, 582 e 585 c.p. in danno della figlia minore Mo. Ag 2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l'imputata a mezzo del difensore di fiducia, affidato a due motivi di ricorso, con i quali lamenta con il primo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all'art. 606, primo comma lett. b ed e c.p.p. in relazione ai reati di maltrattamenti e sequestro di persona ed agli artt. 42,43,88 e 89 c.p. ed invero, per quanto concerne gli episodi di chiusura della p.o. in macchina, ovvero dentro la camera da letto ed in bagno, ebbene la camera da letto non è munita di chiave, la chiusura in bagno è avvenuta quando la p.o. era molto piccola e, quanto alla chiusura in macchina, la minore ha dichiarato solo di restare lì quando la madre si recava dallo psicologo, non di essere stata chiusa in macchina e, comunque, il sistema di chiusura centralizzata del quale sono dotate le macchine, non consente la chiusura con persone a bordo per quanto concerne il disturbo da cui è affetta l'imputata, non può dubitarsi dell'insussistenza della sua imputabilità e del dolo, mancando la capacità di volere laddove ella si rende conto solo parzialmente di fare cose che non dovrebbe fare inoltre, non è logico ritenere che l'imputata sia affetta da un disturbo ossessivo-compulsivo che rende la sua capacità di volere grandemente scemata perché, pur comprendendo il disvalore dei propri gesti, non è pienamente in grado di controllare l'impulso ossessivo compulsivo e nel contempo affermare che l'imputata, pur tendendosi conto della incongruità del suo comportamento, ne è prigioniera mancando del cd. psichismo di difesa con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all'art. 606, primo comma, lett. b ed e c.p.p., in relazione agli art. 62 bis, 88 e 89 c.p. in particolare, appare incongrua la motivazione della sentenza impugnata, che ha respinto la richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, affermando che il vizio parziale di mente è compatibile con l'intensità del dolo, essendo questa affermazione generica, mal attagliandosi al caso concreto, nel quale la capacità di intendere è stata riconosciuta come particolarmente scemata e quella di volere inesistente o quasi per quanto concerne l'imputabilità, essa andava accertata per ogni fatto contestato, anzi dovendo ricavarsi dalla C.T.U. chic l'imputata non fosse in grado di resistere alla sua malattia. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato. 1. Ed invero, con il primo motivo di ricorso la ricorrente tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio, rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Ed invero, secondo l'incontrastata giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone . Le censure svolte, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di leggo ex art. 606 c.p.p. sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale rv 203767, 207944, 21479 che risultano, tuttavia, immuni da censure per quanto si dirà. 1.1. Le sentenze di merito, invero, richiamando le emergenze univoche raccolte all'esito del dibattimento, hanno dato ampiamente conto degli elementi di responsabilità a carico dell'imputata per tutti i delitti ascrittile, in base innanzitutto alle dichiarazioni della vittima, figlia minore dell'imputata, Ag. Mo., del tutto attendibili dettagliate e coerenti, prive di contraddittorietà, sostanzialmente sovrapponibili nelle tre diverse escussioni dapprima nell'ambito del giudizio innanzi al Tribunale per i minorenni in data 02.11.2010, poi nell'ambito del presente procedimento dinanzi al Tribunale di Ravenna in data 15.6.2011 ed, infine, in sede di incidente probatorio in data 17.10.2011 , nonché immuni da spirito rancoroso nei confronti della madre, nutrendo al contrario un sentimento di rammarico per la triste condizione di malattia della stessa. Da tali emergenze -secondo i giudici di merito si ricava in generale un quadro deprimente circa un rapporto genitoriale caratterizzato da maltrattamenti posti in essere dalla Co. nei confronti della figlia, in aggiunta ad alcuni episodi di gravità persecutoria, connotati da un abuso dei suoi poteri genitoriali, che si sono protratti per anni, sino all' agosto 2010, quando la piccola veniva affidata prima in una Comunità familiare e poi al padre dal quale l'imputata viveva separato. 1.2. Dalle dichiarazioni della minore si ricavano senza dubbio gli elementi integranti le condotte scritte l'imputata e segnatamente di maltrattamenti ripetuti per anni, ossia dal 2005 all'agosto 2010, quando la piccola aveva un'età compresa tra i 7 e 13 anni, consistenti in aggressioni verbali, improperi, con nominativi quali puttana , stronza deficiente , continue aggressioni fisiche mediante percosse, spinte, schiaffi e pugni al corpo, procurandole lesioni personali consistenti in ecchimosi, escoriazioni o ferite lacero-contuse, privazione della sua porzione di cibo o del bere, cenando o bevendo innanzi alla stessa piccola, impedendole qualsiasi contatto con i propri coetanei e di partecipare alle feste che essi organizzavano, portandola però sul luogo degli incontri dei ragazzi per mostrare alla figlia come essi si divertissero. Tali reiterate condotte, subite dalla piccola in un notevole lasso temporale, hanno determinato uno stato di prostrazione e soggezione della stessa nei confronti della madre. 1.3. Sul punto, è sufficiente richiamare i principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui in tema di maltrattamenti in famiglia, integra gli estremi del relativo reato la condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, ad un'altra persona, che ne rimane succube, sottoponendola ad un regime di vita persecutorio e umiliante, Sez. 6, n. 4931 del 23/01/2019, Rv. 274617 . Ai fini della configurabilità del reato abituale in questione, è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria, idonea a ledere la personalità della vittima Sez. 6, n. 8953/1984, Rv.166250 . Nel caso di specie tali elementi emergono ampiamente sulla base del narrato della vittima e del riscontro a tali dichiarazioni consistenti in quanto caduto nella diretta percezione dal Dott. To., medico pediatra che ha avuto in cura la minore sin dalla nascita, rilevando ematomi sul fianco sinistro, graffi da escoriazioni più e meno recenti, uniforme diradamento del cuoio capelluto, sottopeso, pallore, tremore alle mani e sguardo triste quanto percepito dalle insegnanti della scuola elementare della piccola che hanno evidenziato una trasformazione caratteriale della bambina nel 2005 dapprima vivace, poi taciturna, ed una magrezza al di sotto della normalità. 1.4. Anche per quanto concerne le lesioni ed i vari episodi di sequestro di persona, le dichiarazioni della minore sono state ritenute specifiche e dettagliate, idonee a dar conto della ricorrenza dei relativi reati. In merito ai sequestri della minore, quest'ultima ha riferito come l'imputata l'abbia più volte rinchiusa dentro la camera da letto od in bagno, anche al buio, così come era solita chiuderla sola in macchina per ore, quando la stessa si recava alle sue sedute dallo psicologo, il Dott. Ni Inoltre, anche quando la porta non era chiusa a chiave la p.o. stante il timore provato nei confronti della madre, al rientro della stessa ritornava nella medesima posizione in cui era stata lasciata. Anche per tale fattispecie non vi è ragione per dubitare del narrato della minore, come già ampiamente evidenziato dai giudici di merito, integrando la chiusura di un soggetto a chiave in luoghi quali il bagno o l'auto, il reato di cui all'art. 605 c.p Più volte questa Corte ha evidenziato, infatti, che integra il reato in questione la chiusura di un soggetto in una stanza a chiave, segregandolo, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può anche essere breve, a condizione che sia giuridicamente apprezzabile Sez. 5, n. 28509 del 13/04/2010, Rv. 247884 e comunque, così come rilevato dai giudici di merito, ai fini della configurabilità dell'elemento materiale del delitto di sequestro di persona, non è necessario che la costrizione si estrinsechi con mezzi fisici, dovendosi ritenere sufficiente anche una condotta che comporti una coazione di tipo psicologico, tale, in relazione alle particolari circostanze del caso, da privare la vittima della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria autonoma ed indipendente volontà Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, Rv. 271229 . 1.5. Del tutto generiche si presentano poi le ulteriori deduzioni circa l'insussistenza dell'imputabilità della ricorrente ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata. Sul punto, la Co. non si confronta con il dato saliente messo in risalto dalla Corte territoriale, secondo cui dalla perizia espletata dal dr. Ar. è emerso che la patologia da cui risulta affetta la stessa non inglobi completamente ogni atto intellettivo, consentendole di percepire il senso del proprio comportamento e, dunque, anche il disvalore del gesto e le sue conseguenze pregiudizievoli. Le deduzioni relative alla incapacità dell'imputata, pertanto, siccome disancorate da elementi specifici di valutazione a confutazione di quanto evidenziato nella perizia si presentano del tutto assertive ed in quanto tali inammissibili. 2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso in merito alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Ed invero, immune da censure si presenta la valutazione della Corte territoriale che ha ritenuto adeguato il trattamento sanzionatorio irrogato all'imputata con il riconoscimento dell'equivalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente con le contestate aggravanti di cui all'art. 605 co.2 e 3 c.p. e l'esclusione delle circostanze attenuanti generiche, alla luce dell'assenza di una qualsivoglia forma di ravvedimento dell'imputata, neppure in sede di accertamento peritale, pur essendo consapevole del disvalore delle proprie condotte. Sul punto è sufficiente evidenziare che le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. III, 27/01/2012, n. 19639 . Peraltro la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articolo 132 e 133 cod. pen. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 -04/02/2014, Ferrarlo, Rv. 259142 , situazione questa non ricorrente nel caso in esame. 3. Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 3000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.