«Ti faccio arrestare»: parole di fuoco del preside contro la dipendente. Nessuna condanna

Scenario dello scontro verbale è una scuola in Campania. Il dirigente si ritrova sotto processo, e viene ritenuto colpevole sia in primo che in secondo grado. Differente la prospettiva adottata dalla Cassazione la frase incriminata non è idonea a incutere alcun timore giuridicamente rilevante, poiché la persona che l’ha pronunciata il preside non era in grado di far arrestare nessuno.

Ti faccio arrestare! . Prospettiva poco credibile, poiché le parole incriminate sono state pronunciate da un preside all’indirizzo di una dipendente – inquadrata come ‘assistente amministrativa’ – dell’istituto scolastico. Cade, di conseguenza, l’accusa nei confronti del dirigente per il presunto reato di minaccia” Cassazione, sentenza n. 37189/2019, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . Male. Scenario del fattaccio è una scuola superiore in Campania. Lì, durante una discussione tra il preside e un’assistente amministrativa, viene pronunciata la frase incriminata Statti attenta che ti faccio arrestare. Ti rovino . Così il dirigente sfoga la propria rabbia contro la dipendente. Non può immaginare che quelle parole lo faranno finire sotto processo per il reato di minaccia con condanna al risarcimento dei danni arrecati alla lavoratrice. Le valutazioni concordi del Giudice di Pace e dei Giudici del Tribunale non vengono però condivise dai magistrati della Cassazione. Dal ‘Palazzaccio’, difatti, osservano che l’espressione minatoria, consistita nell’aver prospettato alla persona offesa l’eventualità di farla arrestare e di rovinarla in tal modo e giunta al termine di una discussione svoltasi in locali pubblici e per ragioni attinenti all’espletamento del servizio cui l’assistente amministrativa era addetta non può essere considerata idonea a incutere alcun timore giuridicamente rilevante . Ciò per la semplice e ovvia ragione che il preside – dipendente della pubblica amministrazione – non era in grado di far arrestare nessuno, potendo al massimo denunciare la donna per presunti reati , chiariscono i Giudici. Piuttosto, se il dirigente avesse davvero voluto denunciare la dipendente, allora avrebbe sottoposto le sue lagnanze all’ufficio competente cui sarebbe spettata poi la decisione su eventuali provvedimenti. I giudici sottolineano poi che tale distribuzione di competenze era perfettamente nota anche alla persona offesa, anch’ella dipendente della pubblica amministrazione e certamente consapevole di poteri del dirigente scolastico . Di conseguenza, si può escludere, concludono i magistrati, il carattere minatorio dell’espressione proferita dal preside poiché la verificazione del male minacciato non dipendeva dalla sua volontà , e questo dato di fatto era evidente anche agli occhi della lavoratrice.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 luglio – 5 settembre 2019, n. 37189 Presidente Sabeone – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Avellino, in funzione di giudice d'appello avverso i provvedimenti del giudice di pace, chiamato a pronunciarsi sull'impugnazione proposta da Gu. Al. avverso la sentenza di prima cura, che l'aveva condannato per ingiuria e minaccia in danno di Si. Fi., ha, con la sentenza impugnata, assolto l'imputato dall'ingiuria perché non più prevista come reato e l'ha prosciolto dalla minaccia perché estinta per prescrizione. Ha confermato, tuttavia, la condanna generica al risarcimento dei danni per la minaccia. Secondo l'accusa, condivisa dai giudici di merito, il Gu. - dirigente scolastico dell'Istituto d'Arte De Luca - minacciò di attentare all'integrità fisica della Si., che lavorava nel medesimo istituto come assistente amministrativo, dicendogli stai attenta che ti faccio arrestare. Ti rovino . 2. Ha presentato ricorso per Cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, lamentando a la nullità della citazione in appello, derivante dal fatto che la citazione è stata effettuata per un'udienza camerale, invece che per un'udienza dibattimentale. Infatti, l'avviso notificato all'imputato conteneva la dizione i destinatari del presente decreto saranno sentiti se compaiono e, quindi, senza l'avviso che, in mancanza di comparizione, l'imputato sarebbe stato dichiarato contumace, ovvero che si sarebbe proceduto in sua assenza b la nullità del giudizio di appello, celebrato nella assenza dell'imputato in violazione delle disposizioni della legge 67 del 28/4/2014. Tanto perché, continuando ad applicarsi le vecchie norme, doveva darsi atto - nel decreto di citazione in appello - del ricorso al rito contumaciale c la nullità della citazione a giudizio in primo grado, effettuata alla sua residenza anagrafica in via Santa Lucia di Tufo nonostante egli si fosse da tempo trasferito in via Imbimbo, n. 12, ove aveva stabilito il domicilio pur senza trasferire la residenza anagrafica d la violazione dell'art. 612 cod. pen., per l'assenza di contenuto minatorio nell'espressione a lui addebitata, anche in relazione al contesto in cui era stata proferita e l'illogicità della motivazione concernente il giudizio di responsabilità, per essere mancata la verifica della attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sono contraddette dalla prova logica mancata indicazione delle ragioni che l'avrebbero spinto a minacciare una dipendente , oltre ad essere state condizionate dall'acredine nutrito nei suoi confronti f la violazione dell'art. 34 D.Lgs. 274/2000 per essere stata esclusa, con assoluto difetto di motivazione , la particolare tenuità del fatto. Considerato in diritto La sentenza va annullata per insussistenza del fatto. L'espressione minatoria sarebbe consistita, invero, nell'aver prospettato alla persona offesa l'eventualità di farla arrestare e di rovinarla in tal modo . Ciò al termine di una discussione svoltasi in locali pubblici e per ragioni attinenti all'espletamento del servizio cui Fi. Si. era addetta. Tale condotta non era idonea a incutere alcun timore giuridicamente rilevante, per la semplice e ovvia ragione che Gu. - dipendente della Pubblica Amministrazione - non era in grado di far arrestare nessuno, potendo, al massimo, denunciare la sottoposta per presunti reati. E' ovvio che, ove l'avesse fatto, Gu. avrebbe sottoposto le sue lagnanze all'ufficio competente, al quale sarebbe spettata, poi, la decisione sul da farsi. Tale distribuzione di competenze, perfettamente nota alla Si. anch'ella dipendente della Pubblica Amministrazione e certamente consapevole del poteri di Dirigente scolastico , esclude il carattere minatorio dell'espressione proferita dall'imputato, per l'evidente ragione che la verificazione del male minacciato non dipendeva dalla volontà di quest'ultimo. Nell'espressione contestata avrebbero potuto ravvisarsi, al più, gli elementi dell'ingiuria, ove si fosse ritenuto che Gu., evocando una situazione passibile di sfociare in arresto, avesse immotivatamente attribuito alla sottoposta condotte penalmente rilevanti. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste revoca le statuizioni civili.