Vilipendio comune e militare. Tra omogeneità delle condotte punite e disallineamenti sanzionatori

Si coglie l’occasione per fare il punto sui reati di vilipendio, puniti sia nel codice penale comune che in quello miliare di pace per approfondirne gli aspetti legati alle condotte ivi descritte e alle criticità dei relativi e differenti trattamenti sanzionatori.

Il presente approfondimento trae spunto dalle recente e diffusa sentenza della Suprema Corte n. 35988/19, le cui motivazioni sono state depositate il 13 agosto , emessa dalla Prima Sezione Penale di Cassazione, la quale ha ritenuto commettere il reato di vilipendio della Repubblica, punito dall’art. 82 del codice penale militare di pace, il militare che, sulla pagina del proprio profilo Facebook, scrive, in relazione ad un articolo sui rapporti commerciali tra l’Italia e l’India, la frase offensiva Stato di merda”, riferita non alla Nazione, ossia alla comunità di individui, ma allo Stato, cioè al soggetto inquadrabile e riconoscibile proprio in quegli organi indicati dalla lettera dell’art. 81 c.p. mil. pace, quali il Governo e le Assemblee legislative. Formale complementarità tra codice penale ordinario e quello militare di pace. In occasione dell’elaborazione degli attuali codici penali militari il legislatore optò, almeno formalmente, per l’adozione della tesi della complementarietà”, respingendo così la soluzione favorevole al criterio della integralità”, che avrebbe comportato la necessità di disciplinare, all’interno di detti codici, non solo gli aspetti specifici, propri del settore penale militare, ma anche quelli per i quali appariva sufficiente il rimando alla disciplina ordinaria. Il criterio della complementarietà risulta caratterizzato dall’adozione di una normativa diretta a soddisfare le sole esigenze particolari su cui si fonda la stessa ragion d’essere del diritto penale militare. Cedimenti alla integralità del vilipendio militare. Il suo accoglimento non fu però rigoroso e coerente, ma solo parziale, a causa di alcuni cedimenti” a favore dell’opposta tesi dell’integralità. Infatti non sono poche le norme dal tenore meramente ripetitivo rispetto alle omologhe previsioni contenute nel codice penale comune”. Tali disposizioni, che rappresentano sostanzialmente delle fotocopie” di quelle comuni, e che da esse si differenziano solo in virtù della qualifica militare” del soggetto attivo e di quello passivo del reato. Vilipendi identici nella condotta e più afflittivi per i militari. Infatti, negli artt. 79-83 c.p. mil. pace sono puniti in genere con la ripetizione delle corrispondenti fattispecie comuni, salvo che con riguardo all’entità delle pene comminate – sia pure con una certa diseguaglianza e disomogeneità – legato all’elemento specializzante delle fattispecie ossia la qualifica di militare del soggetto agente il vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali, delle forze armate, il vilipendio della nazione italiana, il vilipendio della bandiera italiana. Il vilipendio punito nel codice penale militare di pace. L’art. 82 c.p. mil. pace, intitolato vilipendio alla nazione italiana, recita Il militare, che pubblicamente vilipende la nazione italiana, è punito con la reclusione militare da due a cinque anni. Se il fatto è commesso in territorio estero, si applica la reclusione militare da due a sette anni . Il precedente art. 81, invece si riferisce al vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate dello Stato, punendo con la reclusione militare da due a sette anni., il militare, che pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario. E correlativamente nel codice penale. I due reati richiedono quindi, come le omologhe fattispecie comuni” di vilipendio degli artt. 290 e 291 c.p., che la condotta sia compiuta pubblicamente”, mentre tale requisito non è stabilito per il vilipendio della bandiera ex art. 83 c.p. mil. pace anche in questo caso in esatta corrispondenza a quanto stabilito dall’art. 292 c.p. . Tratti identici del vilipendio comune e di quello militare. La giurisprudenza di Cassazione è pacifica nel ritenere che il reato di vilipendio comune e militare non è in contrasto con i principi della Costituzione della Repubblica e, in particolare, non si pone in contraddizione con l’art. 21 Cost, perché il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo, sancito in tale articolo, non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva. Infatti, il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero e, correlativamente, quello di associarsi liberamente in partiti politici art. 49 Cost. per manifestare determinate ideologie, al fine di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, trovano un limite non superabile nella esigenza di tutela del decoro e del prestigio delle istituzioni, per cui l’uso di espressioni di offesa, disprezzo, contumelia costituisce vilipendio punibile da ultimo, Sez. I, n. 1903/2018 . La soglia di tipicità della condotta punibile. L'elemento oggettivo del delitto in esame non richiede che la manifestazione di vilipendio sia specifica e che essa sia indirizzata a determinate persone, alle quali cagioni un certo turbamento psichico per integrare il reato de quo è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione - da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura - effettuata pubblicamente. È quindi sufficiente ogni espressione di ingiuria o di disprezzo pronunciata con la coscienza e volontà di ledere il prestigio o l'onore della collettività nazionale Sez. I, n. 28730/13, in un caso nel quale l'imputato aveva pronunciato alla presenza dei carabinieri in questo schifo di Italia di merda , sia pure nel contesto di un'accesa contestazione della contravvenzione elevatagli dai carabinieri per aver condotto un'autovettura con un solo faro funzionante . L’offesa pubblica”. In riferimento al requisito di pubblicità del messaggio, la Suprema Corte ha richiamato la sua giurisprudenza di legittimità, ormai costante, nel ritenere che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone Sez. I, n. 24431/15 . Il piano psicologico di punibilità. L’elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel dolo generico, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l’autore a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato. Tensioni con la Costituzione in caso di interpolazione del solo vilipendio comune. L’integralità del vilipendio comune a quello militare dà luogo a inconvenienti di ragionevolezza del sistema in caso di modifica limitata alle sole norme comuni corrispondenti. Più precisamente, ogni qualvolta una disposizione incriminatrice contenuta nel codice penale comune”, e rispetto alla quale la fattispecie penale militare risulti quasi del tutto corrispondente differenziandosi magari solo per un tetto edittale leggermente differente , venga successivamente interpolata dal legislatore ordinario, con un intervento che non coinvolga il settore penale militare. Disallineamento ed eccessiva divaricazione delle pene. È proprio quanto accaduto per il reato di vilipendio alla bandiera per effetto della l. 24 febbraio 2006, n. 85, l’art. 292 c.p.p. Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato subì un drastico ridimensionamento dal punto di vista degli effetti sanzionatori, essendo stata prevista la semplice pena della multa da euro mille ad euro cinquemila, aumentata nel caso in cui il fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale stessa modifica del trattamento sanzionatorio, limitato solo alla pena della multa da mille a cinquemila euro, la legge n. 85/2006 ha apportato agli artt. 290 e 291 c.p. . Invece l’art. 83 c.p. mil. pace Vilipendio alla bandiera nazionale o ad altro emblema dello Stato , non essendo stato interessato in alcun modo da detto intervento, continua a punire la corrispondente condotta, posta in essere dai militari, con la pena della reclusione militare da tre a sette anni, prevedendo addirittura una pena da tre a dodici anni qualora il fatto sia commesso in territorio estero . Mantenere un ragionevole rapporto sanzionatorio tra reati comuni e militari. Si è avuta così una sopravvenuta diseguaglianza nel trattamento sanzionatorio, per l’ampliamento della forbice edittale legata ora anche alla diversa species della sanzione penale con il vilipendio commesso dal miliare e punito dal codice penale militare di pace. In questi casi il problema è rappresentato dalla necessità di mantenere una tendenziale correlazione, anche dal punto di vista sanzionatorio, tra le fattispecie comuni” e quelle militari ad esse sovrapponibili. In assenza di peculiari connotazioni volte a distinguere queste due tipologie di illeciti, appare infatti difficile operare un richiamo al principio di ragionevolezza qualora il divario, a seguito delle interpolazioni subite dalla norma contenuta nel codice penale, sia divenuto quasi incolmabile, come ad esempio è avvenuto in relazione al reato di cui all’art. 83 c.p. mil. pace rispetto a quello delineato dall’art. 292 c.p Ingiurie comuni non più punite penalmente. I profili di possibile contrasto con la Costituzione si ampliano nel caso in cui la fattispecie incriminatrice comune venga abrogata, mentre quella militare resti immutata, anche nella comminatoria edittale. In questi casi si instaura un divario originariamente insussistente, derivante molto spesso dalla semplice dimenticanza” da parte del legislatore circa la sussistenza di previsioni, nei codici penali militari, quasi assolutamente analoghe a quelle contenute nel codice penale. Invero, la Corte Costituzionale, nella pronuncia n. 215/17 ha ritenuto legittima la perdurante assoggettabilità a sanzione penale delle condotte ingiuriose di cui all’art. 226 c.p. mil. pace, sebbene il corrispondente reato previsto dall’art. 594 c.p. sia stato trasformato dal legislatore, con il d.lgs. n. 7/2016, in un illecito civile. Ricondurre la specialità del codice penale militare di pace sui corretti binari. Tuttavia, il principio di specialità” della legge penale militare non debba essere esasperato, ma vada invece ricondotto entro i suoi corretti parametri, permettendo in tal modo di tener conto delle indubbie specificità del contesto castrense, ma evitando di ricavare da tale assetto un comodo alibi per giustificare differenziazioni non ricollegabili alla necessità di tutelare le esigenze del servizio e della disciplina militare Rivello .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 gennaio – 13 agosto 2019, n. 35988 Presidente Di Tomassi – Relatore Mancuso Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 8.5.2018, la Corte militare di appello di Roma confermava la sentenza del 25.10.2017, con la quale il Tribunale militare di Napoli aveva dichiarato C.C.P. colpevole del reato di vilipendio della Repubblica, aggravato ai sensi dell'art. 81 c.p. e art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, e lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione militare. Secondo i giudici del merito, il C., tenente di vascello pilota della Marina Militare Italiana, il 27.12.2015, dopo aver pubblicato, sul proprio profilo Facebook, una fotografia di una nave da guerra e la scritta Fincantieri collaborazione con l'India per sette fregate omissis , aveva commesso il reato scrivendo sulla pagina del suddetto profilo una frase che le sentenze avevano ritenuto di significato offensivo in danno dell'Italia, perchè quest'ultima era stata indicata nel testo incriminato come uno Stato di merda . 2. I difensori dell'imputato hanno proposto ricorso per cassazione, con atto affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, richiamando l'art. 606 c.p.p., comma 1 lett. b , c , e , violazione e falsa applicazione della legge penale, inosservanza di norme stabilite a pena di inutilizzabilità, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto. Mancano sia l'elemento materiale, sia di quello psicologico del reato, previsto dall'art. 81 c.p.m.p Quanto al primo elemento, nel ricorso si rileva errata interpretazione dell'art. 530 c.p.p., non essendo stata raggiunta la prova della paternità della frase incriminata errata qualificazione del fatto quale vilipendio sussistenza, nel comportamento, del requisito della continenza e mancanza del requisito della pubblicità del commento incriminato, data la mancanza di certezza circa la visione della frase da parte di terzi. Il giudice di primo grado ha utilizzato l'espressione pressochè certo nella motivazione della propria decisione, cioè termini che indicano un giudizio di non piena certezza sulla responsabilità dell'imputato. Inoltre, vi è stata errata applicazione della legge penale, perchè, attraverso la frase incriminata, non è stato vilipeso alcuno degli organi indicati dall'art. 81 c.p.m.p., e ciò determina la configurabilità, eventualmente, dell'art. 82 c.p.m.p., che riferisce il vilipendio, più in generale, alla Nazione italiana. Quanto al secondo aspetto, nel ricorso si rileva la carenza dell'elemento psicologico del reato contestato, che richiederif la precisa volontà di vilipendio alla Repubblica. La frase incriminata soddisfa il requisito della continenza, in quanto vi è un chiaro riferimento alla vicenda dei marò italiani e alla connessione di essa con i rapporti economici tra l'India e un'azienda italiana. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, richiamando l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , violazione, inosservanza, erronea applicazione della legge penale con particolare riguardo agli artt. 181 e 191 c.p.p. e all'art. 54 c.p. Non è condivisibile l'affermazione della Corte di merito, secondo la quale l'imputato avrebbe vilipeso la Repubblica. L'asserto del giudice di appello dipende dalla mancanza di un accertamento tecnico/strumentale volto proprio all'accertamento della paternità della frase. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, richiamando l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , violazione di legge in relazione all'art. 51 c.p L'imputato non ha potuto esercitare il proprio diritto di difesa, perchè non è stata svolta alcuna verifica per accertare la paternità della frase incriminata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 1.1. Il reato di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel disprezzare, tenere a vile, ricusare qualsiasi valore etico, sociale o politico alle istituzioni predette, considerate nella loro entità astratta ovvero concreta, ossia nella loro essenza ideale oppure quali enti concretamente operanti Sez. 1, n. 1427 del 17/10/1977 - dep. 07/02/1978, Tatarella, Rv. 137859 . L'elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel dolo generico, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l'autore a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato Sez. 1, n. 6144 del 07/03/1979 - dep. 06/07/1979, Gatti, Rv. 142461 . E' stato chiarito, inoltre, che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero art. 21 Cost. e, correlativamente, quello di associarsi liberamente in partiti politici art. 49 Cost. per manifestare determinate ideologie, al fine di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, trovano un limite non superabile nella esigenza di tutela del decoro e del prestigio delle istituzioni, per cui l'uso di espressioni di offesa, disprezzo, contumelia costituisce vilipendio punibile ex art. 290 c.p. Sez. 1, n. 14226 del 29/06/1977 - dep. 11/11/1977, Venza, Rv. 137274 . Il diritto di critica e libera manifestazione del pensiero supera il suo limite giuridico costituito dal rispetto del prestigio delle istituzioni repubblicane e decampa, quindi, nell'abuso del diritto, cioè nel fatto reato costituente il delitto di vilipendio, allorchè la critica trascenda nel gratuito oltraggio, fine a se stesso Sez. 1, n. 5864 del 01/02/1978 - dep. 19/05/1978, Salviucci, Rv. 139007 . In riferimento al requisito di pubblicità del messaggio, la giurisprudenza della Corte di legittimità è ormai costante nel ritenere che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3, poichè trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone Sez. 1, n. 24431 del 24/04/2015 - dep. 08/06/2015, Rv. 264007 . 1.2. I giudici del merito hanno tenuto conto dei principi di diritto sopra richiamati, qualificando correttamente il fatto giudicato e ravvisando il dolo. La Corte militare di appello ha spiegato che nelle espressioni rese dal C. con riguardo a una vicenda politica non si ravvisa il carattere di continenza. Il giudice di appello, alla luce del grado di tenente di vascello rivestito dal C., ha fatto riferimento, correttamente, al Codice dell'ordinamento militare, sottolineando che gli appartenenti alle forze armate possono commentare vicende politiche e di attualità, ma senza travalicare i limiti della continenza. E' priva di pregio la doglianza sollevata dalla difesa del C., secondo la quale l'utilizzo, nell'espressione incriminata, della parola Stato, avrebbe dovuto determinare una diversa qualificazione giuridica del fatto, riferibile al vilipendio alla Nazione italiana ai sensi dell'art. 82 c.p.m.p In realtà, il commento del C. riguarda un articolo sui rapporti commerciali tra l'Italia e l'India, quindi non può essere riferito alla Nazione, ossia alla comunità di individui, ma allo Stato, cioè al soggetto inquadrabile e riconoscibile proprio in quegli organi indicati dalla lettera dell'art. 81 c.p.m.p., quali, ad esempio, il Governo e le Assemblee legislative. Il giudice di appello, inoltre, nel rispetto del principio sopra richiamato circa la pubblicità dei messaggi, e senza incorrere in vizi logici, ha correttamente evidenziato che non rileva il numero di visualizzazioni o interazioni che il post pubblicato dal C. su Facebook ha effettivamente avuto, in quanto è sufficiente la mera diffusione del messaggio sul social network affinchè si possa ritenere sussistente il requisito della pubblicità. 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 2.1. In ordine al rilievo con il quale il ricorrente ha lamentato la mancanza di un accertamento della paternità della frase incriminata, è opportuno precisare che, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, nè procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti nonchè l'intrinseca valenza dimostrativa di norma solo possibilistica successivamente, deve procedere a un esame globale degli elementi certi, per verificare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, cioè con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana Sez. 1, n. 1790 del 30/11/2017 - dep. 16/01/2018, Mangafic, Rv. 272056 Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016 - dep. 17/05/2016, P.C. in proc. Graziadei, Rv. 266941 . 2.2. Ciò posto, è agevole notare che il giudice di appello non è incorso in alcuna violazione di legge nel confermare la declaratoria di responsabilità penale del C La motivazione resa segue un iter semplice, ma esaustivo, che ha condotto il giudice di merito a riconoscere l'imputato quale autore della frase incriminata. La Corte militare di appello non ricava il giudizio di responsabilità dell'imputato dalla dichiarazione del teste maresciallo Ascoli, bensì da una valutazione complessiva degli altri elementi, quali il fatto che il profilo Facebook ove era stata pubblicata la frase riportava nome e cognome dell'imputato, con l'aggiunta della parola OMISSIS , e la sua foto. L'elemento decisivo, per i giudici di merito, è stata, plausibilmente, la dichiarazione del teste maresciallo Dante, il quale, in passato, avendo notato una foto che lo ritraeva in compagnia del C. - pubblicata sullo stesso profilo Facebook ove fu pubblicata la frase incriminata - chiese al C. di rimuoverla in tale occasione, rileva la sentenza di appello, il C. si scusò con il D., assicurandogli che avrebbe rimosso quella foto dal profilo del social network. E' stato questo l'elemento determinante che ha indotto la Corte militare di appello ad affermare che il profilo C.M.C. è riconducibile con certezza a C.C.P Infatti, il giudice di merito evidenzia che, laddove il profilo Facebook ove era apparsa la foto che ritraeva il D. non fosse stata riferibile al C., quest'ultimo avrebbe certamente palesato, in quanto egli non titolare di quel profilo, l'impossibilità di eliminare la foto dal social network. Questa Corte rileva la logicità e l'assenza di vizi nel percorso seguito dal giudice di merito per giungere alla decisione. Nel pieno rispetto della giurisprudenza sopra riportata, la Corte militare di appello ha valutato i vari elementi indiziari, prima separatamente, e poi attraverso una visione d'insieme che l'ha condotta all'accertamento della paternità della frase incriminata in capo al C. e alla conseguente affermazione della sua responsabilità. Importante, nell'iter argomentativo seguito dalla Corte di merito, il rilievo che, qualora fosse stata vera la possibilità paventata dalla difesa di un accesso abusivo alla pagina Facebook dell'imputato, tale eventualità sarebbe stata sostenuta, con fermezza, non solo innanzi ai giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio, ma, da subito, anche al cospetto dei propri sovraordinati. Ciò dimostra come la Corte militare di appello abbia effettivamente preso in considerazione le ipotesi alternative - come la possibilità di un'intrusione abusiva nel profilo del C. - ritenendole, sì, astrattamente formulabili come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, ma, comunque, prive di qualsiasi concreto riscontro nelle emergenze processuali. 3. E' manifestamente infondato anche il terzo motivo di ricorso, volto a censurare la decisione del giudice di merito per presunta violazione del diritto di difesa che sarebbe derivata dal mancato accertamento della paternità della frase incriminata. Come sopra notato, il giudice del merito ha operato correttamente nell'accertare gli elementi di fatto rilevanti per la decisione e, soprattutto, nell'applicare i principi sulla valutazione degli elementi indiziari a disposizione. Per quanto attiene alla tematica del preteso esercizio di un diritto, rilevante ai sensi dell'art. 51 c.p. quale causa di giustificazione, è sufficiente rimandare a quanto già evidenziato con riguardo al requisito della continenza le valutazioni del giudice di merito circa il travalicamento, nell'espressione usata dal C., dei confini tipici della critica politica a cui sono sottoposti tanto i comuni cittadini, quanto, in maniera più accentuata, gli appartenenti alle forze armate come il C., si pone ampiamente nel solco della giurisprudenza di legittimità. 4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere - alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 - la sussistenza dell'ipotesi della colpa nella proposizione dell'impugnazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.