Copie del periodico sottratte da un’edicola: condotta grave e condanna inevitabile

Riflettori puntati sul raid compiuto da un manager di una società partecipata da un Comune e legato ad alcune critiche all’amministrazione comunale. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di fatto non grave”, soprattutto tenendo presente il numero di copie sottratto e le invettive rivolte al direttore della testata.

Portar via da un’edicola diverse copie di un giornale – un mensile, in questo caso – vale una condanna, e irrilevante è il fatto che sia stata sottratta la cosiddetta ‘giacenza’, ossa le copie rimaste invendute. Ciò che conta è l’obiettivo dell’azione compiuta, ossia evitare la diffusione del giornale Cassazione, sentenza n. 36369/19, sez. III Penale, depositata il 23 agosto . Edicola. Scenario della vicenda è un paese dell’Emilia-Romagna. Casus belli è un pezzo giornalistico, pubblicato da un mensile, con cui si esprimono critiche sull’operato dell’amministrazione comunale a finire nel mirino sono il sindaco e, soprattutto, il direttore generale. Quest’ultimo mal digerisce le considerazioni fatte dal giornalista e decide di impedire che il periodico raggiunga troppi lettori così compie un raid in un’edicola, portando via numerose copie. L’episodio non passa però inosservato e così l’esponente dell’amministrazione comunale finisce sotto processo, ritrovandosi poi condannato sia in Tribunale che in Corte d’appello per aver asportato da un’edicola un numero imprecisato di copie compreso tra 400 e 600 di un mensile allo scopo di impedirne la diffusione . Il suo difensore prova a sminuirne la condotta, spiegando che le copie portate via sono state solo alcune decine, e aggiungendo che il suo cliente voleva distribuirle negli uffici di una società multiservizi partecipata dal Comune. Il legale si sofferma però soprattutto su un dettaglio egli spiega che se la finalità fosse stata quella di impedire la diffusione degli stampati, la condotta non avrebbe avuto ad oggetto le copie rimaste in giacenza presso l’edicola al giorno precedente ma si sarebbe tradotta nell’immediata sottrazione dei giornali al momento della consegna . Per chiudere il cerchio, infine, il legale ritiene logico auspicare la non punibilità”, ponendo in evidenza il fatto che la sottrazione aveva riguardato poche centinaia di copie di un mensile che aveva una tiratura di 10mila copie e che i giornali erano stati asportati da una sola edicola e il comportamento tenuto dal manager non era abituale . Disprezzo. Le obiezioni difensive non convincono però i Giudici della Cassazione, che ritengono corretta la lettura fornita dalla Corte d’Appello e confermano perciò la condanna del manager. Per i magistrati è chiarissima la ricostruzione dell’episodio, caratterizzato, a dirla tutta, non solo dalla sottrazione delle copie – diversi pacchi – del mensile ma anche dalle invettive rivolte dal manager all’indirizzo del direttore del periodico. Impossibile, quindi, pensare che siano state prelevate solo presunte copie gratuite destinate agli uffici della società multiservizi partecipata dal Comune. Irrilevante, secondo i Giudici, il fatto che lo stampato era stato consegnato il giorno prima e che il manager non aveva provveduto a prelevare le copie presso tutte le edicole del paese . Impossibile, infine, parlare di fatto non grave”, poiché per i magistrati emerge in modo chiaro dal comportamento incriminato un assoluto disprezzo per l’espressione dell’opinione altrui e per la stampa .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 aprile – 23 agosto 2019, n. 36369 Presidente Sarno – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 20 febbraio 2018, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ferrara del 9 febbraio 2016, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui all'art. 20, commi 1 e 3, della legge n. 47 del 1948, perché, allo scopo di impedirne la diffusione, aveva asportato dall'edicola ubicata nella località di Cento un numero imprecisato di copie, compreso tra 400 e 600, del mensile CentoperCento . 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si censura il vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei testimoni dell'accusa. In particolare, si critica l'argomentazione della Corte d'appello secondo cui le dichiarazioni rese dall'imputato e dai testi della difesa avrebbero confermato la tesi dell'accusa. Al contrario, secondo le prospettazioni difensive, le dichiarazioni rese da Am. e da Tu. sarebbero del tutto divergenti rispetto alla ricostruzione accusatoria, perché i due avrebbero affermato di avere sottratto alcune decine di copie e non tutte le copie presenti nell'edicola , come sostenuto dai testimoni dell'accusa. Parimenti illogica sarebbe la valutazione delle dichiarazioni dei testimoni dell'accusa, che - contrariamente a quanto ritenuto dai giudici del gravame - non sarebbero armoniche e unidirezionali, ma riporterebbero diverse versioni dei fatti, tra loro inconciliabili. In particolare, il teste Ba. - titolare dell'edicola - avrebbe dichiarato che Am. aveva prelevato tre pacchi di giornali mentre lui stesso si trovava all'interno dell'edicola all'ora di colazione. Al contrario, Am., Tu. e Ma. avrebbero riferito che l'asportazione era avvenuta dopo le ore 13 e che l'imputato avrebbe prelevato alcune decine di copie, secondo lo stesso Am. e Tu., ovvero cinque o sei pacchi, secondo Ma Quest'ultimo avrebbe, altresì, riferito che Am. aveva imprecato contro Ga. mentre prelevava i giornali circostanza negata dal teste Tu. e che il proprietario dell'edicola - contrariamente a quanto da lui affermato - non era presente al momento della sottrazione. A complicare la ricostruzione dei fatti, dimostrando l'inconciliabilità tra le varie versioni proposte, contribuirebbero le dichiarazioni del teste Re. che aveva riferito di una sottrazione di giornali posta in essere da una persona giovane e, quindi, non certo dall'imputato. La Corte d'appello avrebbe liquidato la questione, affermando che le dichiarazioni di Re. avevano riguardato un diverso episodio di sottrazione posto in essere in un'altra edicola, senza spiegare che senso avrebbe avuto, in questo caso, escutere il testimone nel presente procedimento. 2.2. - Con un secondo motivo di ricorso, si censura la mancata escussione della teste Fr. che avrebbe potuto confermare le dichiarazioni dell'imputato e del teste Tu. in ordine alla finale destinazione dei pacchi di giornali sottratti. In particolare, la predetta testimone avrebbe potuto riferire che l'imputato aveva portato - come era solito fare - i giornali presso la sede della società multiservizi partecipata dal Comune di Cento e che dunque la sottrazione non era sorretta dallo specifico intento di evitare la diffusione degli stampati. La Corte d'appello avrebbe illegittimamente negato la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ed avrebbe, altresì, errato nell'affermare che la difesa non aveva chiesto l'escussione della testimone ex art. 507 cod. proc. pen., circostanza smentita dal verbale d'udienza. 2.3. - In terzo luogo, si deducono il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato. In particolare, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che, se la finalità dell'asporto fosse stata quella di impedire la diffusione degli stampati, la condotta non avrebbe avuto ad oggetto le copie rimaste in giacenza presso l'edicola dal giorno precedente come dichiarato dalla stessa parte civile Ga. , ma si sarebbe tradotta nell'immediata sottrazione dei giornali al momento della consegna. Parimenti, si sarebbe dovuto considerare che se l'imputato fosse stato mosso dall'intento richiesto dalla fattispecie incriminatrice, avrebbe sottratto anche le copie consegnate in altre edicole. 2.4. - Con un quarto motivo, si lamenta la violazione dell'art. 131 bis cod. pen. per avere la Corte d'appello escluso l'applicazione della causa di non punibilità. I giudici del gravame avrebbero errato nel negare il beneficio in questione sulla base della rilevanza costituzionale del bene giuridico offeso, parametro estraneo ai presupposti applicativi previsti dall'art. 131 bis cod. pen. Parimenti, avrebbero erroneamente richiamato l'assenza di resipiscenza da parte dell'imputato perché l'art. 131 bis cod. pen. opererebbe un rinvio al solo primo comma dell'art. 133 cod. pen. e non anche al secondo comma, che prende in considerazione la condotta seguente alla commissione del reato. Non si sarebbe considerato, inoltre, che la sottrazione aveva riguardato poche centinaia di copie di un mensile che aveva tiratura di 10.000 copie, che i giornali erano stati asportati da una sola edicola e che il comportamento dell'imputato non era abituale. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è inammissibile. Lo stesso è infatti rivolto, con argomentazioni del tutto generiche, ad ottenere da questa Corte una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di secondo grado, senza offrire elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame. E va ricordato che il controllo sulla motivazione operato dal giudice di legittimità resta circoscritto, per l'espressa previsione normativa dell'art. 606, comma 1, lettera e , cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e linearità del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti ex plurimis Sez. 6, n. 32878 del 20/07/2011 Sez. 1, n. 33028 del 14/07/2011 . 3.1. - Le considerazioni appena svolte si attagliano al primo motivo di ricorso, con cui si censura il vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove testimoniali. La difesa propone una lettura parziale e alternativa delle risultanze istruttorie, che non tiene conto della motivazione resa sul punto dalla Corte d'appello, del tutto logica e coerente. A tale proposito, deve rilevarsi che - secondo la corretta valutazione dei giudici di merito -tutti i testimoni oculari escussi in dibattimento hanno confermato il nucleo centrale dei fatti di causa avendo riferito che l'imputato, insieme all'allora sindaco Tu., aveva sottratto un notevole quantitativo di copie del giornale CentoperCento dall'edicola gestita dal teste Ba Le poche discrasie emergenti dal confronto tra le predette dichiarazioni in particolare, la lieve divergenza in ordine all'orario di svolgimento dei fatti e alla presenza o meno dell'edicolante pertanto, non sono idonee ad inficiarne l'intrinseca concordanza perché afferiscono profili del tutto marginali e non incidono sull'elemento centrale dei fatti, costituito dall'avvenuta sottrazione degli stampati. In più, con riferimento alle dichiarazioni rese dal teste Re., la Corte d'appello ha correttamente rilevato che le stesse si riferivano ad un'ulteriore condotta di sottrazione, posta in essere da un soggetto diverso dall'imputato ed erano dunque irrilevanti per la ricostruzione dei fatti del presente processo. Parimenti corretta e coerente risulta l'argomentazione della Corte d'appello in ordine alla valutazione delle dichiarazioni rese dall'imputato e da Tu Infatti - contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - i giudici del gravame hanno rilevato che le concordanti dichiarazioni dei testimoni oculari erano state in parte confermate dall'imputato e da Tu., con ciò riferendosi esclusivamente al fatto che il ricorrente e il testimone della difesa avevano riconosciuto che Am. aveva sottratto i giornali edicola, senza ritenere certamente riscontrata la concordanza dichiarativa in ordine alla quantità delle copie sottratte, né alla sussistenza della specifica finalità di ostacolo alla diffusione degli stampati. È chiaro, infatti, che le dichiarazioni difensive in ordine ai predetti elementi contrastano con quelle accusatorie. In caso contrario, non vi sarebbe stata necessità di procedere alla complessa e articolata istruttoria svolta in primo grado, all'esito della quale - come ampiamente evidenziato dai giudici del gravame - si è ottenuta la prova certa dell'ingente quantitativo di copie sottratte sebbene non identificato nel numero preciso e della specifica volontà di evitare la diffusione degli stampati. Tutti i testimoni dell'accusa - della cui attendibilità non v'è motivo di dubitare, né il ricorrente solleva specifiche censure in tal senso - hanno, infatti, riferito che l'imputato aveva sottratto diversi pacchi di giornali per un ammontare complessivo di centinaia di copie così smentendo la tesi della difesa secondo cui la condotta si era tradotta nella sottrazione di una quarantina di copie e il teste Ma. ha confermato le dichiarazioni della parte civile in ordine alle invettive ricevute da Am. durante lo svolgimento dei fatti, così dimostrando che l'imputato aveva perpetrato la condotta al fine di evitare la diffusione del giornale, che conteneva un articolo che riteneva denigratorio nei suoi confronti. Nessuna carenza o contraddizione è dunque riscontrabile nell'argomentazione della Corte d'appello, che ha correttamente valutato il quadro probatorio complessivo e, sulla base dell'assoluta concordanza tra le dichiarazioni rese dai testimoni in ordine al nucleo essenziale dei fatti, ha ritenuto l'imputato responsabile del reato contestato. 3.2. - Inammissibile è anche il motivo di ricorso sub 2.2., con cui si censura la mancata disposizione della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. A tale proposito, deve ricordarsi che con il ricorso per cassazione può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale solo quando si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello ex plurimis Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018 Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013 . Nessuna illogicità è ravvisabile nell'argomentazione della Corte d'appello, che ha correttamente motivato in ordine alla non necessità di provvedere alla rinnovazione dell'istruttoria in virtù dell'irrilevanza probatoria della testimonianza di cui la difesa chiedeva l'acquisizione. Infatti - come correttamente rilevato dai giudici del gravame - la teste non avrebbe potuto aggiungere alcun elemento idoneo a confutare la tesi accusatoria perché, pur volendo ammettere che l'imputato avesse affettivamente portato alcune copie presso l'agenzia comunale, non si sarebbe potuto escludere che lo stesso aveva sottratto centinaia di stampati presso l'edicola con il preciso intento di evitarne la diffusione, come inopinabilmente dimostrato dalle imprecazioni ed invettive che Am. aveva rivolto alla parte civile Ga. autore dell'articolo a lui riferito proprio mentre prelevava le copie medesime. Tanto basta per confutare ab origine la tesi difensiva volta a sostenere che l'imputato aveva prelevato le copie gratuite per diffonderle all'interno dell'agenzia. Perciò, l'eventuale testimonianza favorevole della Fr. non avrebbe modificato il giudizio finale in ordine alla ritenuta responsabilità penale dell'imputato per il reato contestato. E tale conclusione rende irrilevante la circostanza che la difesa avesse chiesto l'audizione della testimone in primo grado ex art. 507, cod. proc. pen. 3.3. - Anche il terzo motivo di ricorso - con cui si censura il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del dolo specifico - è inammissibile. A tale proposito, a fronte della generica prospettazione difensiva, è sufficiente richiamare quanto già osservato sub 3.2., in ordine alle imprecazioni rivolte dall'imputato alla parte civile Ga., mentre prelevava le copie di cui voleva evitare la diffusione. Tale elemento - come correttamente argomentato dalla Corte d'appello - è di per sé sufficiente a dimostrare la sussistenza dello specifico intento di evitare la diffusione del giornale, a nulla rilevando il fatto che lo stampato era stato consegnato il giorno prima e che l'imputato non aveva provveduto a prelevare le copie presso tutte le edicole del paese. Invero, quest'ultimo elemento sarebbe addirittura smentito dalla testimonianza resa dal Re., sulla base della quale la Corte d'appello aveva riconosciuto - seppure in modo dubitativo - nel figlio dell'attuale ricorrente il soggetto che aveva provveduto alla sottrazione delle copie del medesimo giornale presso una diversa edicola. Ad ogni modo, la specifica condotta posta in essere durante la sottrazione delle copie presso l'edicola del Ba. - come ricostruita in modo concorde da tutti i testimoni dell'accusa e dalla parte civile Ga. - non lascia dubbi in ordine alla sussistenza del dolo specifico di ostacolare la diffusione degli stampati. 3.4. - Parimenti inammissibile è l'ultimo motivo di ricorso, con cui ci censura il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. Nessun vizio è riscontrabile nell'argomentazione della Corte d'appello, che ha valorizzato in senso negativo le modalità della condotta posta in essere dall'imputato che, oltre ad aver sottratto tutte le copie dei giornali presenti presso l'edicola ed avere presumibilmente incaricato suo figlio di fare lo stesso presso altre edicole della città, aveva pesantemente insultato il Ga. - professionista incaricato di analizzare criticamente l'operato degli organi amministrativi compito svolto, oltretutto, in maniera garbata e non ingiuriosa -così palesando un assoluto disprezzo per l'espressione delle opinioni altrui, per la stampa e per la stessa legalità e senza mostrare tra l'altro alcun segno di resipiscenza. Il diniego del predetto beneficio è dunque incensurabile perché fondato sulla la gravità della condotta posta in essere dall'imputato e, soprattutto, sulla serietà dell'offesa arrecata al bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice, dunque sull'assenza dei fondamentali presupposti applicativi della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., da ritenersi assorbente rispetto agli ulteriori elementi richiamati dal ricorrente. 4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.