Ovuli di cocaina in corpo, muore in aereo: importazione di droga comunque realizzata

Diverse le persone sotto processo. Esaminata, in questo caso, la posizione della donna identificata come destinataria della merce. A inchiodarla è la comunicazione ricevuta dopo il decesso della persona che fungeva da vettore della droga.

Conclusa in modo tragico la spedizione di oltre un chilo di cocaina. Sull’aereo, prima dell’arrivo a Fiumicino, scoppiano i 97 involucri ingeriti dal corriere e ne provocano il decesso. A finire sotto processo è anche la donna identificata come la destinataria della droga. Per lei cade l’accusa di concorso in omicidio preterintenzionale”, ma è confermata la condanna per avere illecitamente importato” la cocaina. Inequivocabile, secondo i giudici, i contatti tra lei e il mittente della merce Cassazione, sentenza n. 36276/19, sez. III Penale, depositata oggi . Importazione. A dare il ‘la’ alla vicenda è la tragica morte di un passeggero di un aereo destinato ad atterrare a Fiumicino. L’uomo muore durante il viaggio e, si scopre poi, a causarne il decesso è stato lo scoppio dei 97 involucri da lui ingeriti e corrispondenti a oltre un chilo di cocaina. L’episodio fa emergere l’importazione – non riuscita – di droga, e fa finire sotto processo diversi soggetti, tra cui una donna, identificata, anche grazie ad alcune intercettazioni, come la persona destinataria del ‘pacco’. A pesare su di lei è anche l’accusa di concorso in omicidio preterintenzionale per la morte dell’uomo che ha fatto da vettore per la droga su questo fronte, però, i giudici escludono ogni sua responsabilità. Diverso il discorso, invece, per quanto concerne l’importazione della cocaina la donna difatti viene ritenuta colpevole. A inchiodarla sono soprattutto alcune intercettazioni, utili per identificarne il ruolo. Questa visione, tracciata tra primo e secondo grado, viene condivisa anche dalla Cassazione. Definitiva, di conseguenza, la condanna della donna per avere illecitamente importato la droga in Italia. In particolare, viene evidenziato che ella, avvenuto il decesso dell’uomo che trasportava gli ovuli , era stata contatta telefonicamente per darle la notizia del mancato arrivo dello stupefacente . Nessun dubbio, quindi, osservano i giudici, sul fatto che era destinataria della droga che poi avrebbe provveduto a cedere e aveva consapevolmente partecipato all’importazione nel territorio dello Stato , anche se non era al corrente di tutti i dettagli , particolare, questo, che aveva consentito di non addebitarle anche il concorso in omicidio . Impossibile, chiariscono infine i Giudici, parlare di reato solo tentato, poiché v’era stato l’imbarco sul volo per Fiumicino e l’uomo era deceduto durante il viaggio .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 febbraio – 21 agosto 2019, n. 36276 Presidente Andreazza – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 2.11.2017 la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza in data 14.3.2012 del Tribunale di Civitavecchia, ha assolto l'imputata dal reato del capo b per non aver commesso il fatto ed ha rideterminato la pena per il reato di cui al capo a , art. 110 cod. pen. e 73 comma 1-bis D.P.R. n. 309/1990, per aver illecitamente importato in concorso con soggetti specificamente indicati nel capo d'imputazione circa g. 1.285 lordi di cocaina, racchiusi in 97 involucri precedentemente ingeriti dal corriere che era deceduto in aereo proprio per lo scoppio di questi, in Fiumicino l'8.2.2009 2. Con il primo motivo di ricorso l'imputata deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c , con riferimento agli art. 271, 268, comma 7, cod. proc. pen. e 89 disp. att. cod. proc. pen., 195 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost. La Corte territoriale aveva omesso di rilevare che il teste, operante della polizia giudiziaria, aveva reso dichiarazioni in ordine ad intercettazioni telefoniche di conversazioni in lingua spagnola senza precisare chi avesse provveduto a tale traduzione. Ricorda l'incompatibilità con l'ufficio d'interprete per il soggetto che, nello stesso procedimento, aveva eseguito la captazione e la trascrizione delle registrazioni delle comunicazioni intercettate, con conseguente inutilizzabilità delle fonti di prova. Lamenta la mancata indicazione nel verbale di esecuzione delle operazioni d'intercettazione delle generalità dell'interprete di lingua spagnola che aveva proceduto all'ascolto delle conversazioni intercettate ed alla loro traduzione e trascrizione, nonché la mancata indicazione del nominativo dell'interprete, entrambi causa d'inutilizzabilità delle intercettazioni. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e e c , cod. proc. pen., in relazione all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. La decisione aveva fondato la colpevolezza sulle deposizioni degli esponenti della polizia giudiziaria, prescindendo dalla relativa valutazione. In tal modo, risultava inficiato il procedimento logico della decisione che trascurava il contenuto della fonte di prova, comunque cristallizzata nei brogliacci acquisiti agli atti del dibattimento. Nella specie, le conversazioni risultavano indecifrabili. Inoltre, il correo Ma. l'aveva scagionata, donde l'esclusione della sua responsabilità. Il teste aveva riferito che ella era solo l'acquirente finale dello stupefacente. Del resto la stessa sentenza, nel pronunciare l'assoluzione dal reato del capo b , aveva evidenziato che non era stata raggiunta la prova della conoscenza delle modalità d'importazione dello stupefacente. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., in relazione agli art. 73 comma 1 e 1-bis D.P.R. n. 309/1990 e degli art. 1 e 42 cod. pen. Il coimputato aveva escluso la sua colpevolezza. D'altra parte, la Corte territoriale aveva già escluso l'elemento psicologico rispetto al capo b . Sostiene che, al limite, poteva ritenersi configurata ma non era stata contestata la fattispecie del mero tentativo d'acquisto ma non quello d'importazione. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato perché si risolve in generiche censure di fatto non idonee a disarticolare il ragionamento logico e razionale che ha portato i Giudici di merito alla pronuncia di responsabilità. 3.1. Il primo motivo è stato formulato per la prima volta con il ricorso per cassazione e quindi è inammissibile. Peraltro, è formulato in modo generico e si appalesa pretestuoso per il riferimento a profili solo formali e non inerenti al contenuto delle intercettazioni. Il Giudice di primo grado aveva dato atto che all'udienza del 25 maggio 2011 era stato conferito incarico al perito traduttore ed al perito fonico. La Corte territoriale ha dato atto che il perito incaricato della trascrizione delle conversazioni intercettate aveva constatato che i file erano danneggiati e non leggibili in alcuni punti, in particolare quelli riguardanti le conversazioni dell'imputata. Osserva il Collegio che i Giudici di merito hanno correttamente applicato il principio di diritto affermato in plurime occasioni dalla Corte di cassazione secondo cui in tema di intercettazioni telefoniche o ambientali, il deterioramento del supporto magnetico contenente la registrazione delle comunicazioni captate non comporta alcuna inutilizzabilità, in quanto, essendo stata rispettata la formalità della registrazione voluta dalla legge, la prova del colloquio e del suo contenuto può essere documentata aliunde , utilizzando gli ordinari mezzi probatori e, principalmente, la lettura del brogliaccio di cui all'art. 268, comma 2, cod. proc. pen., fermo restando che il giudice deve esercitare la massima prudenza nella valutazione dei mezzi di prova da assumere per la ricostruzione del contenuto delle intercettazioni, escluso ogni automatismo surrogatorio Cass., Sez. 4, n. 45809 del 27/06/2017, Romano, Rv. 271054 . Ed invero, la sentenza di primo grado ha utilizzato le predette conversazioni, il contenuto delle quali è stato tratto, nel rispetto del contraddittorio delle parti, dalla deposizione dell'operante Vi. Ga. e dall'esame ex art. 210 cod. proc. pen. reso da Al. Ma 3.2. E' emerso che il Ma., saputo del decesso dell'uomo che trasportava gli ovuli, aveva chiamato l'imputata. Dal tenore della conversazione e dalla reazione di quest'ultima alla comunicazione della notizia del mancato arrivo dello stupefacente non ci aveva creduto, ipotizzando che si fosse volontariamente allontanato con la droga era chiaro che era destinataria della droga e che quindi aveva consapevolmente partecipato alla sua importazione nel territorio dello Stato. Nelle conversazioni intercettate la Re. era appellata madre , mentre il Ma. padre ed il trasportatore bambino . Il Ma. aveva dichiarato che la donna, badante di suo padre, era stata da lui coinvolta nell'importazione di cocaina dal Venezuela e dalla Colombia, perché aveva utili conoscenze per piazzare la droga. La donna non ha negato la conoscenza del Ma. e l'accordo con questi per vendere la droga in Italia, mettendolo in contatto con terzi acquirenti, ma aveva escluso di aver partecipato ad episodi d'importazione di cocaina successivi al gennaio 2009. I Giudici di merito con motivazione logica e razionale hanno affermato che le suddette dichiarazioni erano state smentite dalle prove d'accusa, non spiegandosi in alcun modo la ragione per la quale, se l'imputata fosse stata del tutto estranea al fatto, il Ma. l'avrebbe dovuta avvisare del mancato arrivo della cocaina e del decesso del trasportatore. Hanno poi motivatamente escluso la fattispecie tentata perché v'era stato l'imbarco sul volo per Fiumicino e l'uomo era deceduto durante il viaggio. Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa nel secondo motivo di ricorso il Ma. non ha scagionato l'imputata. Dal complesso degli atti i Giudici di merito hanno tratto il convincimento che la donna fosse destinataria dell'ingente quantitativo di stupefacente che poi avrebbe provveduto a cedere e fosse al corrente della relativa organizzazione, sebbene non in tutti i dettagli, sicché è stata assolta dall'omicidio preterintenzionale in concorso, non essendo stata raggiunta la prova che sapesse delle modalità di trasporto. La motivazione della sentenza impugnata è del pari solida con riferimento al terzo motivo poiché, come detto, sono stati adeguatamente delineati sia l'elemento oggettivo della fattispecie consumata sia quello soggettivo della consapevole partecipazione all'operazione. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.