Coltivazione di marijuana: basta l’idoneità della pianta a produrre droga per configurare il reato?

La Terza Sezione Penale della Cassazione, rimettendo la questione alle Sezioni Unite, ha domandato se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, è sufficiente che la pianta sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato .

Questa la questione sollevata dalla Cassazione con l’ordinanza n. 35436/19, depositata il 2 agosto. Coltivazione illecita di sostanze stupefacenti. Poiché la Corte d’Appello di Napoli condannava l’imputato alla pena di un anno di reclusione e al pagamento di 3.000 euro di multa per la coltivazione illecita di due piante di marijuana, questi ricorreva in Cassazione. Lamentava il ricorrente che l’offensività della propria condotta fosse stata affermata dalla Corte di Appello senza alcun accertamento circa l’idoneità della pianta a produrre effetto drogante, posto che gli arbusti non si trovavano in avanzato stato di crescita. Offensività della condotta. I Giudici rilevano che la Corte territoriale ha ritenuto offensiva la coltivazione delle due piante marijuana in considerazione della loro avanzata crescita. La decisione della Corte d’Appello, inoltre, ha citato il principio di diritto in base al quale, ai fini della punibilità della coltivazione illegale di piante da cui si ricavano sostante droganti, l’offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, anche ove non vi sia un principio attivo ricavabile nell’immediatezza, nel caso in cui gli arbusti siano in grado di rendere quantità significative di prodotto stupefacente, poiché il fatto di coltivare è un’attività che si riferisce all’intero ciclo evolutivo della pianta. Proprio in tema di coltivazione di marijuana, la Suprema Corte ricorda il principio consolidato secondo cui viene integrato il reato di cui all’art. 28 del d.p.r. n. 309/1990 a prescindere dalla finalità della condotta e dalla natura domestica o meno della coltivazione, poiché per integrare il reato conta il fatto che essa possa recare un nucleo minimo di offensività, anche solo potenziale. Due filoni giurisprudenziali. Proprio sul concetto di offensività in concreto” la giurisprudenza si è divisa in due indirizzi interpretativi. Il primo indirizzo ritiene che il reato si configuri non solo con la mera coltivazione della pianta ma anche con l’attività idonea a ledere a salute pubblica e a favorire la circolazione della droga. Il secondo indirizzo, invece, vede offensività nella mera coltivazione dalla quale si ricava la sostanza da consumare, rilevando solo la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a produrre la sostanza drogante. La parola alle Sezioni Unite. Nel caso concreto, il ricorrente ha fatto valere il primo indirizzo richiamato, mentre la Corte d’appello si è basata sul secondo filone. Constato ciò, trattandosi di una questione di diritto che costituisce motivo di contrasto in sede di legittimità, la Cassazione la sottopone alle Sezioni Unite formulando il seguente principio di diritto se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, è sufficiente che la pianta sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, ordinanza 11 giugno – 2 agosto 2019, n. 35436 Presidente Ramacci – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Il sig. C.G. ricorre per l’annullamento della sentenza del 28/02/2018 della Corte di appello di Napoli che, in riforma della sentenza del 13/03/2013 del GUP del Tribunale di Torre Annunziata, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, lo ha assolto dal reato di cui al capo B della rubrica detenzione, a fine di cessione a terzi, di 25 dosi di sostanza stupefacente del tipo marijuana perché il fatto non sussiste, ha dichiarato non doversi procedere per il reato di cui al capo D della rubrica illegale detenzione di armi comuni da sparo , perché estinto per prescrizione, e ha rideterminato la pena per i residui reati di cui ai capi A cessione gratuita di uno spinello ad un minorenne e C coltivazione illecita di due piante di marijuana nella misura di un anno di reclusione e 3.000,00 Euro di multa, confermando nel resto. 1.1. Con il primo motivo, relativo al reato di cui al capo A della rubrica, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e , il travisamento della relazione di servizio dei carabinieri operanti e dell’interrogatorio del correo, prove che smentiscono la ricostruzione del fatto operata dalla sentenza nella parte in cui sostiene che il minorenne acquirente aveva avuto un colloquio anche con il C. . 1.2. Con il secondo motivo, relativo al reato di cui al capo B della rubrica, deducendo che l’offensività della condotta è stata affermata dalla Corte di appello in mancanza di accertamento sull’idoneità della pianta a produrre un effetto drogante, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b ed e , l’erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e il travisamento della prova, non corrispondendo a verità che le piante fossero in avanzato stato di crescita e con parecchie ramificazioni. 1.3. Con il terzo ed il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b , l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 163 c.p. perché le circostanze attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena sono state negate in base a reati commessi successivamente ai fatti contestati. Considerato in diritto 2. Il ricorso deve essere rimesso alle Sezioni unite penali lo impone l’argomento di diritto devoluto con il secondo motivo. 3. La Corte di appello ha ritenuto offensiva la condotta di coltivazione delle due piante di marijuana l’una alta un metro e con diciotto rami, l’altra, alta 1,15 mt., con venti rami in considerazione della loro avanzata fase di crescita. A tal fine la sentenza cita il principio di diritto secondo il quale ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l’assenza di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all’esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il coltivare è attività che si riferisce all’intero ciclo evolutivo dell’organismo biologico Sez. 6, n. 10931 del 01/02/2017, Rv. 270495 . 3.1. Il ricorrente deduce il travisamento della prova sul rilievo che non risulta che le piante fossero in stato di avanzata fase di crescita con parecchie ramificazioni ma non allega il verbale della prova travisata sul punto, con conseguente impossibilità di porre ulteriormente in discussione il dato di fatto posto dalla Corte di appello a fondamento della propria decisione. 3.2. Resta, dunque, la questione di diritto. 3.3. Costituisce principio consolidato quello secondo il quale la coltivazione di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti integra il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 28, a prescindere dalla finalità della condotta e dalla natura domestica o meno della coltivazione. Quel che conta, ai fini dell’integrazione del reato, è che la condotta rechi in sé un nucleo minimo di offensività, anche potenziale cfr., sul punto, Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 23992, secondo cui ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile . 3.4. Sulla declinazione del concetto di offensività in concreto , però, la giurisprudenza di questa Corte si è divisa seguendo due diversi filoni interpretativi pur gemmati dalla comune premessa che la pianta sia quantomeno conforme al modello botanico vietato. 3.5. In sintesi, secondo un primo indirizzo, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato Sez. 3, n. 36037 del 22/02/2017, Compagnini, Rv. 271805 Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168 Sez. 6, n. 5254 del 10/11/2015, Pezzato, Rv. 265641 Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014, Piredda, Rv. 260170 . 3.6. Secondo un diverso orientamento, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, nell’obiettivo di scongiurare il rischio di diffusione futura della sostanza stupefacente Sez. 6, n. 35654 del 28/04/2017, Nerini, Rv. 270544 Sez. 53337 del 23/11/2016, Trabanelli, Rv. 268695 Sez. 6, n. 52547 del 22/11/2016, Losi, Rv. 268938 Sez. 6, n. 25057 del 10/05/2016, Iaffaldano, Rv. 266974 Sez. 3, n. 23881 del 23/02/2016, Damioli, Rv. 267382 . 3.7. Premesso che la conformità della pianta al tipo botanico non è in contestazione, la Corte di appello, munendosi del principio di diritto affermato dal secondo degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, ha ritenuto l’offensività in concreto della condotta in base al grado di maturazione delle due piante. Il ricorrente contesta la correttezza giuridica di tale conclusione invocando l’applicazione dell’opposto indirizzo ermeneutico che non si accontenta della mera conformità al tipo botanico ma pretende l’accertamento in concreto della idoneità della piantina a produrre effetto drogante. La questione, del resto, era stata devoluta in appello in termini sostanzialmente sovrapponibili, avendo l’imputato dedotto a la totale mancanza di infiorescenze, sintomo di assenza di principio attivo b il mancato accertamento della idoneità in concreto delle piantine a produrre un effetto drogante. 3.8. Trattandosi di questione di diritto che ancora oggi costituisce motivo di contrasto in sede di legittimità, il Collegio reputa necessario sottoporla alle Sezioni unite formulando il seguente quesito di diritto se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, è sufficiente che la pianta sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni unite.