Vessa la moglie portando l’amante a vivere a casa e poi in un appartamento collegato alla casa familiare: scatta il reato

Il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, quali ad esempio, come nel caso de quo, la costrizione della moglie a sopportare la presenza di una concubina.

Questo il principio di diritto sancito dalla Sesta sezione di legittimità nella sentenza n. 35677 del 2019 nella quale la Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso presentato dall’imputato, approfitta per compiere un ripasso della sua giurisprudenza del delitto di maltrattamenti in famiglia, sia sul versante processuale in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, sul piano oggettivo e soggettivo , sia su quello processuale del valore probatorio delle dichiarazioni della vittima e delle coordinate alla critica in sede di gravame all’apparato motivazionale della pronuncia di condanna . Quando finisce la contestazione del reato abituale ad oggi”? Un uomo viene condannato in prime e seconde cure con riduzione della pena inflitta nel giudizio di secondo grado per aver maltrattato la moglie, umiliandola e costringendola a tollerare una convivenza more uxorio sotto lo stesso tetto con altra donna, minacciandola, percuotendola e chiudendo quasi sempre i rubinetti del denaro, così rendendole la vita particolarmente penosa e dolorosa. In ordine al tempus commissi delicti , gli ermellini specificano che poiché i fatti venivano ascritti dal 2009 ad oggi”, il momento finale della contestazione del reato abituale a condotta plurima coincide con la richiesta di rinvio a giudizio del P.M, quindi nel 2012. Termine di prescrizione raddoppiato Tale precisazione del momento finale di contestazione della consumazione del reato non incide comunque sui termini prescrizionali in quanto la legge n. 172 del 2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote del 25 ottobre 2007 ha raddoppiato il termine di prescrizione del reato del delitto di maltrattamenti in famiglia, attraverso l’aggiunta, nel testo dell’art. 157, comma 6, c.p., del delitto ex art. 572 c.p oltra petitum della Convenzione di Lanzerote. Tale modifica è in qualche modo condivisibile in relazione alle lungaggini e alla complessità procedimentale dell’accertamento del reato, anche se la Convenzione di Lanzerote si riferiva ai soli reati commessi in danno di minori Invece, il surplus di tutela approntato dalla novella legislativa che recepisce lo strumento pattizio, nell’incrementare i termini di prescrizione, non distingue a seconda delle possibili categorie di vittime e, quindi, non considera che i destinatari della tutela aggiuntiva accordata dalla Convenzione, anche con riferimento alla prescrizione, sono pur sempre i soli soggetti minorenni. Le coordinate di gravame. Tornando al caso portato dinanzi alla Suprema Corte, l’imputato interponeva ricorso per Cassazione lungo tre direttive una sostanziale della mancanza degli elementi idonei ad integrare i maltrattamenti in quanto, oltre a non aver la persona offesa riferito alcun specifico episodio maltrattante, l’agente era andato a vivere in autonomo appartamento con l’amante, chiedendo la separazione alla moglie che si era però rifiutata , e due processuali legate alla violazione dell’art. 192, comma 3, c.p.p. per assenza dei riscontri esterni alla dichiarazioni della vittima, avendo peraltro la Corte territoriale confermato le emergenze processuali in primo grado senza vagliare l’appello e alla mancata correlazione tra accusa e sentenza perché la pronuncia impugnata avrebbe posto a fondamento della condanna fatti che esulano dall’imputazione come la convivenza con una donna di nazionalità marocchina . Ricorso non specifico se non si confronta con la sentenza gravata. La Sesta sezione di legittimità ricorda che il ricorso è inammissibile se come nel caso di specie le censure costituiscano mera replica delle doglianze già dedotte in appello e non si confrontino con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale in merito alle specifiche doglianze mosse con l’atto di appello. In tal caso i motivi di ricorso sono inammissibili per difetto di specificità. Nessuna incursione nelle risultanze processuali. Parimenti inammissibile è il ricorso che attiene ad argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, invece che riguardare il difetto di motivazione sulla ricostruzione dei fatti del giudice di merito. Pertanto, a fronte di una plausibile ricostruzione della vicenda, sui precisi riferimenti probatori operati in sede di merito, in Cassazione non è ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti. Il Giudice di legittimità, infatti, si limita a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu loculi percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza delle motivazioni alle acquisizioni processuali. Pertanto, in sede di redazione di ricorso, occorre aggredire la motivazione e non le prove. Tranne ipotesi di un travisamento della prova che, in ogni caso, occorre agganciare al passaggio motivazione viziato proprio a causa del travisamento comunque il castello argomentativo residuo non deve superare la prova di resistenza, sbriciolandosi e cadendo nell’orbita della lettera e del 606 c.p.p. della motivazione manifestamente illogica o contraddittoria. Non occorrono i riscontri esterni alla testimonianza della persona offesa. In ogni caso, la Suprema Corte respinge il motivo sull’assenza di riscontri esterni a quanto dichiarato dalla vittima in quanto le regole del 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica della motivazione in ordine alla credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve essere più rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e a fortiori quanto la persona offesa si sia costituita parte civile . La corretta valutazione della regola probatoria in tema di maltrattamenti è quindi quella che consente di appoggiare la condanna alla sola testimonianza della vittima, senza che siano necessari riscontri esterni alle sue dichiarazioni. Sentenze di merito come unico complessivo corpo argomentativo. Anche per rispondere all’imputato il quale sosteneva che la sentenza della Corte territoriale non si era pronunciata sui motivi di appello , la Suprema Corte ricorda anche che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio della motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, formando un unico corpus, qualora i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione. Diverso è il discorso in tema di travisamento della prova che se compiuto dal giudice di prime cure e ripetuto da quello di appello può essere portato all’attenzione della Cassazione aggredendo l’ordito motivazionale che finisce per essere viziato. Elementi costitutivi dei maltrattamenti in famiglia. Passando al versante sostanziale, la Suprema Corte ribadisce la sua consolidata giurisprudenza tassativizzante dell’art. 572 c.p. ricordando che il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, quali ad esempio, come nel caso de quo la costrizione della moglie a sopportare la presenza di una concubina. Non è necessaria la convivenza. Vero è che in questo caso risulta dimostrato che – come sostenuto dall’imputato – che la convivenza era cessata tra l’agente e la persona offesa quando il primo era andato a vivere sotto altro tetto, sia pure in appartamento attaccato a quello della casa familiare. Ma – risponde la Cassazione – la convivenza non rappresenta un presupposto della figura criminosa dei maltrattamenti, in quanto la separazione legale, e soprattutto quella di fatto, lasciano integri i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale, nonché di collaborazione. Soprattutto nei casi, come quello in esame, ove la vittima è in una posizione subordinata o dipendente sotto il piano economico rispetto al marito quale unico percettore di redditi. In verità, dopo l’introduzione del reato di stalking ex art. 612-bis c.p., altro orientamento di legittimità ritiene che nel solo caso di convivenza more uxorio e non di matrimonio , il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile soltanto per le condotte tenute fino a quando la convivenza non sia cessata, mentre le azioni violente o persecutorie compiute in epoca successiva possono integrare il delitto di atti persecutori Sez. II, n. 10222/2019 . Basta una relazione sentimentale. La Cassazione ha precisato che l’art. 572 c.p. si applica anche nell'ipotesi in cui esista una relazione sentimentale, caratterizzata da vincoli affettivi e aspettative assistenziali assimilabili a quelli che caratterizzano una famiglia e una convivenza abituali Sez. VI, n. 19922/2019 . Il reato sussiste pure se le condotte maltrattanti sono intervallate e contrastate dalla vittima. Inoltre, il reato deve ritenersi sussistente, sotto l'aspetto materiale, tutte le volte in cui, lungi dal rappresentare espressione di episodiche manifestazione di atteggiamenti prevaricatori, le condotte di uno dei componenti del nucleo familiare, pur se intervallate nel tempo ed anche in un limitato arco temporale e persino se contrastate, ma infruttuosamente, dalla vittima, abbiano finito per concretare una stabile alterazione di quelle relazioni e, così, per comportare una sostanziale compromissione della dignità morale e fisica della persona offesa Sez. VI, n. 8312/2019 . Dolo unitario. Sul piano dell’elemento psicologico del reato, si ribadisce che il dolo dei maltrattamenti non richiede la programmazione di una pluralità di atti basta la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria, già attuata in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima in altri termini, la sussistenza del dolo unitario non richiede l'intenzione di sottoporre la persona offesa, in modo continuo e abituale, a una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria. Non occorre in altre parole che l'agente deliberi una volta per tutte di imporre ai familiari un penoso regime di vita e concepisca unitariamente le proprie condotte in senso strumentale alla realizzazione di quest'obiettivo, essendo piuttosto sufficiente che le condotte vessatorie siano tenute nella consapevolezza del loro carattere ripetuto, e della loro idoneità a creare una stabile e dolorosa patologia della vita familiare. L’applicazione dei principi al caso di specie. La Suprema Corte conferma che l’imputato abbia sottoposto ad un regime penoso e avvilente la persona offesa dal 2009 essendo irrilevanti i riferimenti a titolo esemplificativo a condotte precedenti concretizzatisi nell’iniziale imposizione della convivenza con altra donna, le continue privazioni economiche imposte alla moglie e al figlio, costrette a recarsi alla Caritas per mangiare a fronte dell’agiatezza economica del marito , la sottrazione di 175 mila euro derivanti dalla vendita da parte della vittima di un immobile di sua proprietà. Condotte tutte avvinte nel dolo unitario, in quanto la Corte territoriale ha sottolineato la sussistenza di una precisa determinazione del ricorrente a sottoporre la moglie a vessazione morali e talvolta fisiche. Risultando del tutto irrilevante, ai fini di abbracciare gli episodi maltrattanti nel dolo pressoché programmatico, che l’imputato all’epoca dei fatti non versasse in adeguate condizioni economiche, circostanza irrilevante sotto il profilo del dolo dei maltrattamenti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 maggio – 6 agosto 2019, n. 35677 Presidente Petitti – Relatore Vigna Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Enna il 17/02/2015, ha ridotto la pena inflitta a G.G. per il reato di maltrattamenti ai danni della moglie ad anni due e mesi tre di reclusione. Si contesta all’imputato di avere maltrattato la moglie Gu.Ca.Ma. , umiliandola e costringendola a tollerare una convivenza more uxorio sotto lo stesso tetto con altra donna, minacciandola, percuotendola e lesinandole il denaro per fare fronte ad esigenze primarie così rendendole la vita particolarmente penosa e dolorosa. I fatti sono contestati dal 2009 ad oggi e quindi al momento della richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico ministero nel 2012. 2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione G.G. , a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di cui all’art. 572 c.p La persona offesa non è stata in grado di riferire alcun episodio specifico di ingiurie, minacce o violenza, limitandosi ad affermare di essere stata trattata male in alcune occasioni e di avere ricevuto qualche schiaffo. L’imputato era andato a vivere con altra donna in autonomo appartamento chiedendo anche la separazione dalla moglie, la quale però aveva opposto un netto rifiuto. Il figlio ha riferito che all’interno dell’immobile vi erano appartamenti con accessi autonomi, cioè porte diverse collegate da una scala comune tale specificazione rende insostenibile l’accusa relativa alla umiliazione nascente da una convivenza more uxorio sotto lo stesso tetto. G. viveva in una condizione di estremo disagio e in tale situazione faceva vivere la famiglia ma non ha posto in essere comportamenti idonei a imporre alla moglie un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile. 2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. e violazione del principio del al di là di ogni ragionevole dubbio . La Corte di appello non ha fatto altro che confermare le risultanze acquisite in primo grado senza vagliare i motivi di appello. 2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 516, 519, 521 e 522 c.p.p. per avere la Corte di appello posto a base della condanna fatti e circostanze che esulano dal periodo in contestazione come la convivenza con una donna di nazionalità marocchina . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate. 2. Il tre motivi articolati dal ricorrente - con i quali il predetto eccepisce sostanzialmente la violazione di legge ed il vizio di motivazione in punto di valutazione della sussistenza degli estremi del reato di maltrattamenti - possono essere esaminati congiuntamente, posto che nessuno di essi sfugge alla censura di inammissibilità. 2.1. In primo luogo, va posto in evidenza come tali censure costituiscano mera replica delle doglianze già dedotte in appello e non si confrontino con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale in merito alle specifiche doglianze mosse con l’atto d’appello. Secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, ciò rende inammissibili i motivi per difetto di specificità, risultando soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso Cass. Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838 . 2.2. In secondo luogo, deve essere rilevato come detti motivi si traducano in una confutazione delle argomentate valutazioni agi giudici di merito e quindi nella prospettazione di una delibazione alternativa delle emergenze dell’istruttoria dibattimentale. Il che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibile il ricorso per cassazione, in quanto fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E , riguardanti la motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, P.C., Basile e altri, Rv. 258153 . Ed invero, a fronte di una plausibile ricostruzione della vicenda, come descritta in narrativa, sui precisi riferimenti probatori operati dai giudici di merito, in questa sede, non è ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi, come detto, la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali ex plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . 2.3. Ad ogni buon conto, i giudici di merito hanno fornito un’adeguata risposta in ordine a tutti i profili oggetto di censura, dovendosi a tal fine valutare unitariamente il compendio motivazionale della sentenza in verifica e di quella appellata cui la prima fa espresso richiamo, in linea con i consolidati principi espressi da questa Corte secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione Cass. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 . 2.4. Deve osservarsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, quali ad esempio, come nel caso de quo la costrizione della moglie a sopportare la presenza di una concubina Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P, Rv. 256962 . 2.5. Va, inoltre, sottolineato che il delitto di cui all’art. 572 c.p., è configurabile anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla affiliazione Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017 Rv. 272134 Sez. 6, n. 33882 dell’08/07/2014 Rv. 262078 Sez. 2, n. 30934 del 23/04/2015, Rv. 264661 . La separazione legale e a maggior ragione la separazione di fatto lasciano, infatti, integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonché di collaborazione. Pertanto, poiché la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie in questione, la separazione non esclude il reato di maltrattamenti, quando l’attività persecutoria incida su quei vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario o della separazione di fatto, pongono, come nel caso in esame, la parte offesa in posizione psicologica subordinata o comunque dipendente Sez. 6, n. 282 del 26/01/1998, Rv. 210838 . 2.6. Nel caso in esame la Corte distrettuale, con motivazione immune da vizi logici, ha sottolineato che dal 2009 - è irrilevante che i giudici di merito a titolo esemplificativo abbiano fatto riferimento anche a condotte relative a periodi antecedenti - gli atti di offesa alla dignità della parte offesa, di disprezzo nei confronti della stessa, nonché le violenze fisiche e le minacce sono stati abituali. Vengono correttamente indicati dai giudici di merito l’iniziale imposizione della convivenza con altra donna, le continue privazioni economiche imposte alla moglie e al figlio, costretti a recarsi alla XXXXXXX per mangiare, a fronte della agiatezza in cui viveva l’imputato con l’amante, la sottrazione di 175.000 Euro derivanti dalla vendita da parte della parte offesa di un immobile di sua proprietà, gli atti di violenza fisica e verbale. 2.7. I giudici di merito hanno puntualmente esplicitato le ragioni per le quali le dichiarazioni di Gu.Ca.Ma. si debbano ritenere credibili, in quanto intrinsecamente attendibili e confortate da riscontri esterni quali le dichiarazioni del figlio. Le considerazioni svolte sul punto si accordano perfettamente all’insegnamento espresso da questo giudice di legittimità a Sezioni Unite, secondo cui le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Cass. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214 . 2.8. Quanto al dolo, deve osservarsi che la giurisprudenza è costante nel ritenere che per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 572 c.p. non è necessario che l’agente abbia perseguito particolari finalità nè il proposito di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo, essendo invece sufficiente il dolo generico cioè la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale Sez. 6, n. 1067 del 3 luglio 1990, Rv. 186275, Soru non è, quindi, richiesto un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto essendo l’elemento unificatore dei singoli episodi costituito da un dolo unitario, e pressoché programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni esso consiste nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte Sez. 6, n. 468 del 06/11/1991 dep. 20/01/1992 Rv. 188931, Faranda esso è, perciò costituito da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. Di tali principi la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione sottolineando la sussistenza di una precisa determinazione del ricorrente a sottoporre la moglie a vessazioni morali - e talvolta fisiche - di accertata offensività. La circostanza che l’imputato, all’epoca dei fatti, non versasse in adeguate condizioni economiche viene correttamente ritenuta del tutto irrilevante sotto il profilo del dolo del reato di maltrattamenti. 3. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.