Oneri procedimentali in capo alla parte ricusante

In tema di istanza di ricusazione, di cui deve essere depositata copia presso la cancelleria del giudice interessato, non può configurarsi in capo alla parte ricusante l’onere di dimostrare tale adempimento a pena di inammissibilità dell’istanza stessa.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35416/19, depositata il 1° agosto. La vicenda. La Corte d’Appello di Cagliari dichiarava inammissibile per tardività la richiesta di ricusazione proposta nei confronti del Presidente del Collegio giudicante del Tribunale di Lanusei fondata sul rilievo per cui, nell’esercizio delle funzioni di GIP, il magistrato aveva provveduto sull’istanza di proroga delle intercettazioni richieste dal PM da cui era scaturito il processo in quel momento in fase dibattimentale. La pronuncia è stata impugnata con ricorso per cassazione. Deposito dell’istanza. Il Collegio ricorda che deve essere dichiarata inammissibile la dichiarazione di ricusazione di cui non sia stata depositata copia presso la cancelleria del giudice interessato. Inoltre, ai sensi dell’art. 41, comma 1, c.p.p., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza, la sanzione processuale dell’inammissibilità dell’istanza non è collegata alla mancata attestazione dell’avvenuto deposito, né tantomeno può configurarsi un siffatto onere in capo alla parte ricusante. La sentenza richiama dunque il principio secondo cui la prova dell’avvenuto deposito di copia dell’istanza di ricusazione nella cancelleria dell’ufficio al quale è addetto il giudice ricusato non rientra tra gli adempimento dei quali il ricusante è onerato a pena di inammissibilità dell’istanza di ricusazione d’altro canto, la Corte di appello può agevolmente, di sua iniziativa, compiere la necessaria verifica, poiché lo scambio di informazioni tra gli uffici giudiziari è abitualmente previsto per garantire il buon andamento dell’amministrazione della giustizia Cass. Pen. n. 42395/13 . Sottolineando infine che nel caso di specie correttamente il Giudice di merito ha ritenuto decorso il termine per l’istanza di ricusazione in quanto intervenuta ben oltre le tempistiche indicate dall’art. 491 c.p.p., la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 maggio – 1 agosto 2019, n. 35416 Presidente Cervadoro – Relatore Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18.2.2019 la Corte di Appello di Cagliari ha dichiarato inammissibile la istanza di ricusazione proposta nell’interesse di A.S. e depositata in data 14.2.2019 nei confronti del Presidente del Collegio Giudicante del Tribunale di sul rilievo secondo cui, nell’esercizio di funzioni di GIP, il magistrato aveva provveduto sulla istanza di proroga delle intercettazioni richieste ed ottenute dal PM nel procedimento penale da cui era scaturito il processo in quel momento in fase dibattimentale ed ha di conseguenza condannato il predetto A. al pagamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle Ammende 2. ricorre per Cassazione A.S. tramite il difensore Avv. Paolo Giuseppe Pilia lamentando 2.1 difetto, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato ed inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza premessa, nel merito, la irrilevanza della titolarità delle utenze intercettate oggetto della richiesta di proroga, rileva che analogamente irrilevante doveva ritenersi la mancanza di prova del deposito dell’istanza di ricusazione presso la Cancelleria del giudice ricusato comunque puntualmente nel caso di specie eseguito quanto alla ritenuta conoscibilità della causa di ricusazione al momento della discovery ricorda che, ai sensi dell’art. 38 c.p.p., comma 2, prima parte, ai fini della decorrenza del termine predetto rileva il momento in cui il giudicabile ne ha acquisito conoscenza personale, effettiva ed integrale richiamando, su tale profilo, la giurisprudenza di questa stessa Corte e l’opinione della dottrina sottolinea, à tal proposito, che egli è ristretto in carcere sin dal 2016 e che ogni attività difensiva all’interno dell’istituto penitenziario è stata possibile solo su autorizzazione delle competenti autorità rileva, dunque, che soltanto in data 12.2.2019, in vista della discussione finale del processo, egli aveva chiesto ed ottenuto per la prima volta l’autorizzazione a visionare la mole di atti investigativi contenuti nel fascicolo del pubblico ministero ed è solo in quel momento che egli aveva acquisito una conoscenza personale ed effettiva della causa di ricusazione tempestivamente dedotta, 3. in data 24.4.2019 è stata depositata la requisitoria a firma del sost. proc. gen. Dott. Sante Spinaci con cui il rappresentante della Procura Generale ha sollecitato il rigetto del ricorso quanto al primo dei due profili di inammissibilità su cui ha insistito la Corte di Appello ha invece ritenuto condivisibile il provvedimento impugnato laddove ha ritenuto che il termine per proporre la ricusazione doveva farsi coincidere con la completa conoscibilità degli atti, pacificamente conseguita alla piena discovery . Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Con l’ordinanza in verifica la Corte di Appello di Cagliari ha dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione proposta nell’interesse di A.S. nei confronti della Dott.ssa F.E. , presidente del Collegio giudicante del Tribunale di che, quale GIP, con decreto del 26.8.2016, aveva provveduto sulla richiesta di proroga delle intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito del procedimento penale dal quale era per l’appunto scaturito il processo in fase dibattimentale. In particolare, i giudici cagliaritani hanno segnalato la tardività della istanza che, infatti, avrebbe dovuto essere avanzata entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p. richiamato, a tal fine, dal comma 1 dell’art. 38 c.p.p Hanno rilevato, in particolare, che nella istanza proposta dal procuratore speciale di A.S. era stato dedotto che soltanto in data 12.2.2019 l’imputato aveva avuto effettiva contezza, analizzando il contenuto del supporto informatico contenente tutti gli atti depositati dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 415bis e 416 c.p.p., della circostanza secondo cui la Dott.ssa F.E. , presidente del collegio giudicante del Tribunale di di fronte al quale era pendente il processo che lo vedeva imputato, aveva provveduto nella veste di GIP disponendo la proroga delle intercettazioni richieste ed ottenute dal PM nell’ambito del procedimento penale n. 548/17 RNR/DDA. Richiamati i termini di cui all’art. 38 c.p.p., hanno segnalato che, nel caso di specie, è pacifico che gli atti relativi alle intercettazioni fossero stati integralmente depositati dal PM sia con l’avviso di conclusione delle indagini che con la richiesta di rinvio a giudizio, con la conseguenza per cui il termine entro il quale l’istanza di ricusazione avrebbe dovuto essere proposta era quello di cui all’art. 491 c.p.p., comma 1, atteso che, in mancanza di ogni rilievo circa la non integralità della discovery , nulla aveva dedotto o provato l’A. circa l’intervento di una conoscenza tardiva del loro contenuto ha aggiunto che, in ogni caso, siffatta evenienza sarebbe stata il frutto di una inescusabile negligenza che non poteva riflettersi sulla dilatazione dei tempi per avanzare la richiesta di ricusazione che, altrimenti, finirebbero per essere rimessi alla discrezione del giudicabile esponendo l’istituto ad una sua utilizzazione strumentale. La Corte di Appello aggiunto che un secondo profilo di inammissibilità della istanza di ricusazione è ravvisabile nella mancanza di prova circa l’avvenuto adempimento di cui all’art. 38 c.p.p., comma 3, sanzionato ai sensi dell’art. 41 c.p.p., comma 1. 2.1 Correttamente il rappresentante della Procura ha segnalato la fondatezza del rilievo difensivo concernente la rilevanza di quest’ultimo adempimento. Vero, infatti, che deve essere considerata inammissibile la dichiarazione di ricusazione della quale non sia depositata copia presso la cancelleria dell’ufficio cui è addetto il giudice ricusato cfr., Cass. Pen., 6, 18.11.2009 n. 48.560, Di Napoli Cass. Pen., 1, 17.10.2006 n. 35.719, PG in proc. Piras Cass. Pen., 2, 25.10.2005 n. 46.189, Abbruzzese Cass. Pen., 2, 5.12.2003 n. 3.123, Gallo . Ciò non di meno, va rilevato che l’art. 41 c.p.p., comma 1, nella interpretazione di questa Corte, non collega la sanzione processuale della inammissibilità della istanza di ricusazione alla mancata attestazione dell’avvenuto deposito né la sussistenza, in capo alla parte ricusante, di un siffatto onere risulta dal combinato disposto degli artt. 38 e 41 c.p.p. nemmeno evincibile in via interpretativa in quanto, in violazione del canone di cui all’art. 12 preleggi, finirebbe per introdurre una sanzione processuale testualmente non prevista. Si è allora condivisibilmente affermato che la prova dell’avvenuto deposito di copia dell’istanza di ricusazione nella cancelleria dell’ufficio al quale è addetto il giudice ricusato non rientra, dunque, tra gli adempimenti dei quali il ricusante è onerato a pena di inammissibilità dell’istanza di ricusazione d’altro canto, la Corte di appello può agevolmente, di sua iniziativa, compiere la necessaria verifica, poiché lo scambio di informazioni tra gli uffici giudiziari è abitualmente previsto per garantire il buon andamento dell’amministrazione della giustizia cfr., così, in particolare, Cass. Pen., 6, 27.9.2013 n. 42.395, Di Napoli Cass. Pen., 5,12.2.2014 n. 13.380, Ibello Cass. Pen., 2, 16.4.2014 n. 31.212, D’Andrea . 2.2 Infondato è, al contrario, il rilievo difensivo circa la decorrenza del termine per proporre l’istanza di ricusazione. La Corte di Appello, infatti, ha deciso in coerenza con la interpretazione della norma di cui all’art. 38 c.p.p., comma 2, che il collegio ritiene di dover privilegiare, secondo cui, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della dichiarazione di ricusazione, occorre fare riferimento ad una situazione obiettiva di pubblicità, collegata non alla reale conoscenza del fatto, ma soltanto alla sua conoscibilità usando l’ordinaria diligenza cfr., in tal senso, ad esempio, Cass. Pen., 5, 15.1.2013 n. 36.886, Iannini conf., Cass. Pen., 2, 15.2.2002 n. 17.280, Addis M., nella quale si è chiarito che tale disposizione, nello stabilire che qualora la causa di ricusazione del giudice sia divenuta nota durante l’udienza la relativa dichiarazione dev’essere in ogni caso proposta prima che l’udienza medesima abbia termine, intende riferirsi, con l’espressione divenuta nota , ad una situazione obiettiva di pubblicità, collegata non alla reale conoscenza del fatto ma soltanto alla sua conoscibilità con l’ordinaria diligenza. Ne deriva che l’anzidetto termine di decadenza opera anche nei confronti dell’imputato il quale, per sua libera scelta, abbia rinunciato a presenziare all’udienza cfr., ancora, Cass. Pen., 5, 3.7.2014 n. 37.468, Santonastaso, con riferimento alle implicazioni derivanti dalla libera scelta dell’imputato di non presenziare all’udienza conf., sul punto, Cass. Pen., 6, 26.11.2003 n. 2.542, Previti, secondo cui l’assenza dell’imputato all’udienza, nel corso della quale sarebbe sorta o divenuta nota la causa di revocazione, è da ritenersi irrilevante ai fini del rispetto del termine perentorio di cui all’art. 38 c.p.p., comma 2, sia per la mancanza di una previsione normativa al riguardo sia perché il legislatore, nel prevedere l’ipotesi che la causa di ricusazione sia divenuta nota nel corso dell’udienza, ha inteso riferirsi ad una situazione obiettiva di pubblicità, collegata non alla reale conoscenza del fatto ma soltanto alla sua conoscibilità con l’ordinaria diligenza cfr., anche, Cass. Pen., 3, 15.5.2001 n. 26.222, Carlei . A questa interpretazione si contrappone quella secondo cui la decorrenza del termine di tre giorni per la proposizione della dichiarazione di ricusazione da parte dell’imputato, quando la causa addotta attiene ad eventi o atti giudiziari venuti in essere al di fuori dell’udienza dibattimentale, va individuata facendo riferimento al momento in cui il giudicabile ha acquisito una conoscenza personale, effettiva ed integrale, della stessa cfr., Cass. Pen., 6, 6.5.2014 n. 19.553, D’Urso Cass. Pen., 6, 18.9.2013 n. 41.110, D’Alessandro Cass. Pen., 6, 4.6.2013 n. 30.181, Berlusconi . Come accennato, tuttavia, il collegio ritiene di propendere per la prima soluzione in quanto, non soltanto aderente al dato letterale la locuzione sia divenuta nota allude ad una situazione oggettiva che prescinde dal soggetto al quale tale conoscenza si riferisce risulta la più adatta a contemperare il principio della immutabilità del giudice con quello della sua terzietà, entrambi di rilevanza costituzionale, ed impedire strumentali tardive proposizioni di istanze di ricusazione. E nel caso di specie è incontroverso che l’istanza di ricusazione sia intervenuta ben oltre il termine di cui all’art. 491 c.p.p., quando, a seguito della discovery , era ormai nota e conoscibile la situazione di incompatibilità del presidente del collegio che, pertanto, avrebbe dovuto in quella sede essere tempestivamente fatta rilevare. 3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.