L’inesatto adempimento del patrocinio non realizza un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore

In tema di mancata impugnazione della sentenza, l’ignoranza o la negligenza del difensore di fiducia non possono costituire un’ipotesi di forza maggiore o caso fortuito idoneo a consentire la restituzione nel termine per proporre impugnazione.

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35175/19, depositata il 31 luglio. Il fatto. La Corte d’Appello di Lecce, nelle vesti di Giudice dell’esecuzione, rigettava le richieste del condannato di restituzione nel termine per proporre appello avverso le due sentenze pronunciate nei suoi confronti dal Tribunale di Taranto, divenute irrevocabili, la prima per mancata impugnazione e la seconda per impugnazione tardiva , avendo escluso la ricorrenza del caso fortuito e della forza maggiore nei casi di negligenza o malattia del difensore di fiducia. Contro tale decisione, il condannato propone ricorso per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, l’affermazione del Giudice di aver ritenuto che egli non avesse fatto uso dell’ordinaria diligenza nell’affidarsi pienamente al difensore, oltre ad avere sostenuto che la negligenza di quest’ultimo non costituisse caso fortuito o forza maggiore. L’adempimento della prestazione professionale. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, evidenziando che l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo, dunque avrebbe potuto diligentemente rendersi conto del deposito tempestivo della motivazione, mentre la negligenza ovvero l’ignoranza del difensore non può rappresentare un caso fortuito. Ciò è confermato dal consolidato orientamento della Corte, in base al quale l’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione nel termine, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione né può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo . Ribadito tale principio, correttamente applicato dal Giudice di merito nel caso di specie, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 giugno – 31 luglio 2019, n. 35175 Presidente Cammino – Relatore Perrotti Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza in data 8 febbraio2019, la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in funzione di giudice della esecuzione, ai sensi dell’art. 666 c.p.p.,rigettava le richieste direstituzione nel termine per proporre appello avverso le sentenze n. 842/2017, del 27/3/2017 e 2442/2017, del 15/11/2017 emesse nei suoi confronti dal tribunale di Taranto, divenute irrevocabili, la prima per mancata impugnazione, la seconda per impugnazione tardiva. La Corte, in particolare, motivava il duplice rigetto escludendo la ricorrenza del caso fortuito e della forza maggiore nelle ipotesi di negligenza o malattia del difensore di fiducia, riteneva altresì che quanto alla sentenza n. 2442/2017 la richiesta di restituzione nel termine fosse tardiva, giacché prodotta in data 18 gennaio 2019, oltre trenta giorni dopo l’appello proposto – tardivamente - nell’aprile 2018 e, dunque, sul presupposto della sicura conoscenza della sentenza di primo grado. 1.1 Avverso tale ordinanza ricorre per Cassazione il condannato,deducendo, a ministero del difensore, le violazioni della legge processuale e di motivazione di seguito enunciate, ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, nei limiti strettamente necessari alla motivazione 1.2 vizio esiziale di motivazione, per aver ritenuto che l’istante non avesse fatto uso della ordinaria diligenza nell’affidarsi totalmente al difensore nominato e per aver ritenuto che la negligenza del difensore non costituisca caso fortuito o forza maggiore 1.3 violazione della legge processuale art. 175 c.p.p. , per non aver ritenuto che l’ignoranza del difensore sulle disposizioni di legge processuale, previste a pena di decadenza, costituisca caso fortuito, rilevante ai sensi dell’art. 175, comma 1, del codice di rito. 2. In data 21 maggio 2019, il Procuratore generale presso questa Corte chiedeva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, giacché manifestamente infondato. 1.1 La Corte di appello, adita con istanza di restituzione nel termine per proporre impugnazione di merito, ha accertato che la sentenza di primo grado n. 842/2917 è stata emessa dal tribunale di Taranto nei confronti dell’imputato assente , assistito dal difensore di fiducia, con riserva di 90 giorni, ai sensi dell’art. 544 c.p.p., comma 3, per il deposito della motivazione. La motivazione fu depositata entro il termine assegnato. La parte, alla quale alcun avviso spettava, godeva di 45 giorni per proporre impugnazione nel merito gravame che non fu mai proposto, per la asserita negligenza del difensore. Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto insussistente la causa esterna impeditiva, peraltro solo dedotta, ma non dimostrata. L’imputato infatti, conoscendo della pendenza del processo, poteva facilmente rendersi diligentemente edotto del deposito tempestivo della motivazione mentre la negligenza o l’ignoranza del difensore non può essere dedotta quale caso fortuito negli esatti termini l’orientamento consolidato di questa Corte, Sez. 2, n. 48737, del 27/1/2016, Rv. 268438, che si richiama anche per i precedenti conformi citati L’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti vincibili, le quali legittimano la restituzione nel termine, poiché consistono in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione né può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo. Nella specie, la S.C. ha escluso la possibilità di restituzione in termini per proporre impugnazione, non ravvisando caso fortuito o forza maggiore nell’omesso controllo del deposito della sentenza da parte del difensore di fiducia, e nella conseguente mancata verifica del decorso del termine per impugnare seguita da Sez. 4, n. 55106, del 18/10/2017, Rv. 271660 . Ed invero, in virtù delle modifiche apportate al testo dell’art. 175 c.p.p., con L. 28 aprile 2014, n. 67, la norma in esame risente - in tutta evidenza - del riassetto dovuto alla introduzione dell’istituto dell’assenza, in luogo del giudizio contumaciale. Come è noto, il legislatore ha agito in prevenzione sull’annosa questione della certezza delle forme di coinvolgimento dell’imputato nel processo attraverso la introduzione degli artt. 420 bis e 420 quinquies c.p.p. , sì da pervenire, in sintesi, ad una biforcazione degli esiti di verifica a sospensione del procedimento lì dove non possa ritenersi esistente una effettiva conoscenza dei termini fattuali dell’addebito e il soggetto imputato sia esente da colpa b assenza per tutte le ipotesi in cui la scelta di mancata partecipazione possa ritenersi consapevole e volontaria, frutto di rinunzia meditata, espressa o tacita, all’esercizio del diritto di presenziare al giudizio. In tale quadro, qui solo accennato, è del tutto evidente come la funzione vicaria dei principi del giusto processo attribuita - nel corso degli anni e specie dal 2005 in avanti D.L. n. 17 del 2005 - all’istituto della restituzione nel termine si sia rarefatta, in diretta proporzione con l’abolizione del giudizio contumaciale, posto che da un lato si è rafforzata la verifica preventiva circa l’effettiva conoscenza dell’addebito come presupposto per la dichiarazione di assenza, dall’altro si è introdotto, a valle, un diverso e più articolato strumento di denunzia e constatazione di eventuali vizi di tale segmento processuale la intervenuta dichiarazione di assenza rappresentato dal rimedio straordinario della rescissione del giudicato art. 625 ter, del codice di rito, norma pure introdotta dal legislatore del 2014 . Residua pertanto una funzione di riequilibrio” della condizione di incolpevole mancata conoscenza dell’addebito solo nel procedimento monitorio decreto penale di condanna , caratterizzato da altissimo rischio di divergenza dai parametri convenzionali di effettività del contraddittorio e di giustizia” del processo. Essendo, in tale sequenza procedimentale, l’atto di instaurazione del contraddittorio rappresentato dal decreto emesso inaudita altra parte, atto avente contestuale vocazione decisoria e - solo una volta conosciuto - opponibile, è del tutto evidente come la verifica di effettività della conoscenza del provvedimento” rappresenta, in tale contesto, l’unico strumento per ritenere non avulsa dal nuovo sistema dell’assenza l’intera disciplina del procedimento per decreto. Questa è la ragione per cui l’attuale versione dell’art. 175 c.p.p., continua a mantenere, solo per il procedimento per decreto, la biforcazione tra le ipotesi classiche” di mancato adempimento nel termine dovuto a fattori impeditivi esterni caso fortuito/forza maggiore, ai sensi del comma 1, con termine di decadenza pari a giorni dieci decorrente dal momento in cui il fattore impeditivo sia venuto meno e la particolare ipotesi del vizio di conoscenza dell’atto teso ad instaurare il contraddittorio nel - solo procedimento per decreto ipotesi del comma 2, nel cui ambito rileva la prova del momento in cui l’istante risulti aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento, con decorrenza del più ampio termine di giorni trenta, a pena di decadenza . Nella fattispecie, trattandosi di processo celebrato con rito ordinario ed imputato scientemente assente , la Corte ha quindi correttamente applicato i principi di diritto vigenti, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza di legittimità. 1.2 La sentenza n. 2442 del 2017 fu invece oggetto di impugnazione tardiva da parte del difensore, dichiarata inammissibile dalla Corte di appello, cui seguì medesima dichiarazione preclusiva da parte di questa Corte. Anche nella fattispecie devono ritenersi applicabili, come correttamente divisato dalla Corte di merito, i medesimi principi di diritto, con l’ulteriore profilo, acutamente evidenziato dalla Corte territoriale, che rispetto alla intervenuta sia pura tardiva impugnazione il condannato non deduce alcuna causa personale impeditiva, di talché l’istanza di restituzione nel termine prodotta il 18 gennaio 2019, deve ritenersi prodotta oltre il termine di dieci giorni di cui all’art. 175 c.p.p., comma 1. 2. Il ricorso si palesa pertanto inammissibile sotto entrambi i profili dedotti. 2.1. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.