La hall dell’hotel non può essere qualificata come privata dimora

Deve dunque essere esclusa la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3 in relazione ai fatti verificatisi ai danni del portiere addetto alla reception della sala di ricevimento di un albergo.

Lo ha affermato la Corte di legittimità con la sentenza n. 34454/19, depositata il 29 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Palermo confermava la condanna di un imputato, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato, per i reati uniti dalla continuazione di rapina pluriaggravata e lesioni personali aggravate. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, dolendosi, per quanto d’interesse, della violazione di legge in relazione all’aggravante del luogo di privata dimora in cui si era svolto il fatto, ovvero la reception di un albergo. Privata dimora. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa, nel caso di specie il portiere addetto alla reception. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624- bis c.p. solo i luoghi, anche se destinati all’attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, come ad esempio il retrobottega, i bagni privati o gli spogliatoi. Nella vicenda in esame, essendosi svolti i fatti nella sala di ricevimento di un albergo che, per definizione costituisce luogo aperto al pubblico dove non si svolgono abitualmente atti di vita privata, deve dunque escludersi la configurabilità dell’aggravante in parola. In conclusione, la Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, c.p. e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte d’Appello siciliana.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 novembre 2018 – 29 luglio 2019, n. 34454 Presidente Gallo – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 4/7/2017 la Corte di Appello di Palermo ha confermato il giudizio di penale responsabilità espresso il 27/6/2016 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Trapani, all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti di D.S.A. in relazione ai reati, unificati dalla continuazione, di rapina pluriaggravata, ai sensi dell’art. 628 c.p., commi 1 e 3, nn. 1 e 3 bis, e lesioni personali aggravate, con le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, fatta eccezione per quella di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3 bis , e la conseguente condanna alla pena ritenuta di giustizia. 2. Avverso la sentenza della Corte di Appello ricorre per cassazione il D.S. , deducendo quattro motivi di impugnazione 2.1. violazione di legge, in relazione alla configurazione dell’aggravante del luogo di privata dimora con riferimento alla reception di un albergo, non essendo sempre parificabile il luogo di lavoro ad una privata dimora. 2.2. violazione di legge, per essersi riconosciuta l’aggravante dell’uso dell’arma con riferimento ad un ombrello, di cui si sconoscono perfino le caratteristiche, che, però, si assume non potevano certo essere un manico lungo di legno o un terminale a punta, perché questi avrebbero determinato gravi lesioni e non già piccole escoriazioni. 2.3. violazione di legge per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 c.p., nn. 4 e 6, dovendo, ad avviso del ricorrente, essere identificato in entrambi i casi il danno - lieve e da risarcire - con quello economico patito dal soggetto offeso, da individuare nella struttura recettizia. 2.4. la violazione dell’art. 582 c.p., per essersi riconosciuto il reato di lesioni in presenza di mere escoriazioni, che si assume non avrebbero inciso nella funzionalità dell’organismo della persona offesa. Considerato in diritto 3. Il ricorso è meritevole di parziale accoglimento, in quanto è fondato il primo motivo di impugnazione. Premesso che il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Rv. 266617 , deve rilevarsi che, mentre la sentenza della Corte territoriale non specifica il luogo ove è stata realizzata la rapina di cui è stato riconosciuto responsabile il D.S. , la sentenza di primo grado riferiva che questo, dopo essere entrato nella hall dell’Albergo omissis , interpellato sul motivo della sua presenza, ne usciva, per rientrarvi immediatamente, colpire il portiere addetto alla reception con un ombrello ed intimare al predetto di consegnargli il denaro in suo possesso, minacciando di colpirlo anche con un tubo di ferro. Del resto, anche il capo di imputazione si riferisce espressamente alla sala ricevimento dell’Hotel con sede in . Ne consegue che non può ritenersi che il reato sia stato commesso in luogo equiparabile alla privata dimora questa Corte di Cassazione, anche a sezioni unite, infatti, sia pure con riferimento al reato previsto dall’art. 624 bis c.p., ha avuto modo di chiarire che i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624 bis c.p., pertanto, esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare , quali, ad esempio, il retrobottega, i bagni privati o spogliatoi, l’area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017 - dep. 22/06/2017, D’Amico, Rv. 270076 nella specie la Corte ha escluso l’ipotesi prevista dall’art. 624 bis c.p., in relazione ad un furto commesso all’interno di un ristorante in orario di chiusura . La conferma che i luoghi di lavoro, di per sé, non costituiscano privata dimora è stata desunta anche dall’art. 52 c.p., comma 3, aggiunto dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59, art. 1 , nel quale si afferma che la disposizione di cui al comma 2, si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Nel richiamato comma 2, si fa riferimento, ai fini della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, ai luoghi previsti dall’art. 614 c.p. vale a dire a quelli di privata dimora . Se, dunque, la nozione di privata dimora comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere l’art. 52, comma 3, per estendere l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Evidentemente tale precisazione è stata ritenuta necessaria perché, secondo il legislatore, la nozione di privata dimora non è, in generale, comprensiva dei luoghi di lavoro. Essendosi svolti i fatti nella sala di ricevimento dell’albergo, luogo per definizione aperto al pubblico e nei quali non si svolgono abitualmente atti della vita privata, pertanto, deve escludersi la configurabilità dell’aggravante di cui si parla. 4. Gli altri motivi di ricorso sono privi di fondamento. 4.1. In particolare, il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che, come riconosciuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, per arma impropria deve intendersi qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, che sia in concreto utilizzato per procurare lesioni personali, giacché il porto dell’oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma Sez. 5, n. 46482 del 20/06/2014, Rv. 261017 Sez. 5, n. 49517 del 21/11/2013, Rv. 257758 Sez. 5, n. 27768 del 15/04/2010, Rv. 247888 , tanto che si è specificamente riconosciuta la circostanza aggravante del fatto commesso con armi quando il soggetto agente utilizzi un manico di scopa ed un - ombrello, trattandosi di armi improprie, ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, per il quale rientra in questa categoria, oltre agli strumenti da punta e taglio e gli altri oggetti specificamente indicati, anche qualsiasi strumento, che, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui sia portato, sia potenzialmente utilizzabile per l’offesa della persona Sez. 5, n. 27768 del 15/04/2010, Rv. 247888 . 4.2. Anche il terzo motivo di ricorso è privo di fondamento, in quanto ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, così come dell’attenuante del risarcimento del danno, non è sufficiente la considerazione del valore economico del bene sottratto, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo , il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto, nel caso di specie il portiere addetto alla reception G.V. . Ne consegue che, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante, sulla base di un apprezzamento riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logico-giuridici cfr. Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Rv. 265685 Sez. 2, n. 19308 del 20/01/2010, Rv. 247363 alla luce di tali principi, deve ritenersi priva di vizi logici o giuridici la valutazione della Corte territoriale secondo cui, nonostante la modesta entità della somma sottratta, l’uso di armi improprie, quali un ombrello ed un tubo di ferro, comunque idoneo a suscitare dolore e timore nella vittima, non consente, nel caso specifico, di ritenere lieve il danno arrecato alla persona aggredita, né questo reintegrato dalla sola restituzione della somma sottratta. 4.3. Anche l’ultimo motivo di ricorso è infondato, in quanto è indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice secondo cui, in tema di lesioni personali volontarie, costituisce malattia qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando è in atto il suddetto processo di alterazione cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 43763 del 29/09/2010, Rv. 248778, in tema di escoriazioni sez. 2, n. 40428 dell’11/6/2009, Rv. 245 378 Sez. 7, n. 29786 del 31/05/2016, Rv. 268034 . 5. Conseguentemente, in coerenza con l’accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, che va eliminata, con conseguente rinvio per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, che elimina, e rinvia per la rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.