Esclusa la punibilità per aver agito in presenza di un pericolo grave e inevitabile per la libertà ol’onere creato dallo stesso agente

La causa di non punibilità di cui all’art. 3847, comma 1, c.p. è applicabile anche laddove lo stato di pericolo per la libertà o l’onore sia stato cagionato volontariamente dall’agente.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 34543/19, depositata il 29 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello confermava la decisione del GUP di condanna, all’esito di giudizio abbreviato, di un imputato per i reati di falsa testimonianza e calunnia. In sede di convalida dell’arresto aveva infatti esibito una dichiarazione diretta alla Procura della Repubblica in cui sosteneva che le dichiarazioni precedentemente rese ai carabinieri gli erano state estorte sotto la minaccia di sequestro della auto. La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione. Esclusione della punibilità. Con riferimento al reato di falsa testimonianza, il Collegio sottolinea che la pronuncia impugnata ha erroneamente ritenuto inapplicabile la causa di non punibilità di cui al comma 1 dell’art. 384 c.p. per il solo fatto che il ricorrente, avendo precedentemente reso dichiarazioni calunniose, aveva generato lui stesso il pericolo di cui alla norma citata. La causa di non punibilità invocata dal ricorrente è invece applicabile, secondo la consolidata giurisprudenza, anche quando lo stato di pericolo per la libertà o l’onore sia stato cagionato volontariamente dall’agente. In accoglimento della doglianza, la sentenza impugnata viene annullata senza rinvio limitatamente all’art. 372 c.p., in quanto fatto non punibile ai sensi dell’art. 384 c.p La Cassazione ridetermina quindi la pena in relazione alla residua imputazione per calunnia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 maggio – 29 luglio 2019, n. 34543 Presidente Petruzzellis – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello confermava la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pistoia che aveva condannato, all’esito di giudizio abbreviato, G.G. per i reati di falsa testimonianza e calunnia alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione. Secondo quanto accertato in sede di merito, l’imputato, chiamato come testimone, aveva deposto il falso nel procedimento penale a carico di T.R. quanto all’acquisto di stupefacenti e alle indebite pressioni subite dagli operanti per fargli rilasciare sommarie informazioni il 21 marzo 2008 , incolpando, pur sapendoli innocenti, i carabinieri che lo avevano ascoltato, come già aveva dichiarato in una missiva del 19 novembre 2009. In particolare il T. , in sede di convalida del suo arresto, aveva esibito una dichiarazione a firma del G. diretta alla Procura della Repubblica, in cui aveva sostenuto che le dichiarazioni precedentemente rese ai carabinieri gli erano state estorte dai verbalizzanti con la minaccia di sequestrargli l’autovettura da lui guidata senza valida patente. In dibattimento, mentre il G. aveva confermato quanto contenuto in tale manoscritto, altri testi presenti al momento dell’assunzione delle informazioni di questi avevano escluso la veridicità delle accuse rivolte ai carabinieri. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p 2.1. Violazione di legge artt. 372 e 384 c.p. . La Corte di appello doveva escludere la punibilità dei reati contestati ai sensi dell’art. 384 c.p., in quanto la condotta era stata necessitata dal pericolo di una incriminazione per quanto già dichiarato a carico dei carabinieri dall’imputato con la missiva del 19 novembre 2009 in altri termini, nel confermare quanto indicato nella missiva, doveva tutelarsi dall’incriminazione di calunnia non rilevando a tal fine la causa del pericolo se volontaria o meno . L’imputato non era stato sentito con la procedura di cui all’art. 63 c.p.p 2.2. Violazione di legge art. 368 c.p. . La calunnia doveva ritenersi consumata il 19 novembre 2009, avendo con la deposizione dibattimentale ribadito quanto già dichiarato nella missiva. Peraltro al momento in cui ebbe a rilasciare la missiva non aveva lui stesso provveduto ad inviarla, avendola il T. esibita ai giudici in sede di convalida. Per entrambe le ipotesi non vi era la possibilità dell’inizio dell’azione penale. 2.3. Vizio di motivazione. La Corte di appello in modo illogico ha ritenuto provata la falsità delle sue dichiarazioni in ordine sia alla cessione dello stupefacente, basandosi su alcune captazioni compatibili con la tesi difensiva in esse si dava atto che l’imputato non aveva denaro e che intendeva andare a comparare qualcosa insieme al T. sia alle pressioni subite dai carabinieri, valorizzando le dichiarazioni rese dalla teste B. , ritenuta attendibile, pur risultando avere ricordi confusi e che la stessa il giorno omissis versava in uno stato di tossicodipendenza tale da non essere riuscita a sottoscrivere il verbale. 2.4. Vizio di motivazione per mancato rispetto del canone di cui all’art. 533 c.p.p., comma 1. La Corte di appello non avrebbe tenuto conto di circostanze pur ammesse dalla stessa Corte, ovvero che le dichiarazioni rese ai carabinieri dall’imputato erano state indotte e non spontanee e che la teste B. aveva ammesso che il G. le aveva raccontato che se non faceva qualche nome i carabinieri avrebbero potuto arrestarlo. 2.5. Vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva. La motivazione risponde in modo apparente al motivo di appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini che sono di seguito precisati. 2. È fondato il primo motivo con riferimento al reato di falsa testimonianza. La Corte di appello ha ritenuto infatti inapplicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p., comma 1, sol perché l’imputato, avendo reso le precedenti dichiarazioni calunniose, aveva generato lui stesso il pericolo invocato a sua difesa. Nella specie, l’imputato dopo aver rilasciato le dichiarazioni accusatorie nei confronti di colui dal quale aveva acquistato stupefacente, aveva consegnato a quest’ultimo una dichiarazione scritta in suo favore indirizzata alla Procura della Repubblica nella quale affermava di aver rilasciato quelle dichiarazioni perché costretto da minacce dei carabinieri. Tale condotta integrava già il reato di calunnia, come si evince dal capo di imputazione. Pertanto, anche a voler tacere delle modalità con cui è stato chiamato a rilasciare in dibattimento le dichiarazioni, l’imputato in ogni caso, a fronte della sua pregressa condotta calunniosa, non poteva che ribadire quelle dichiarazioni, per non autoaccusarsi. Come si è già affermato in sede di legittimità, la causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p., comma 1, è applicabile anche quando lo stato di pericolo - per la libertà o per l’onore - sia stato cagionato volontariamente dall’agente Sez. 6, n. 15327 del 14/02/2019, Quaranta, Rv. 275320 Sez. 6, n. 20454 del 04/03/2009, Marianelli, Rv. 244389 . Il Collegio, pur consapevole di un diverso e più risalente orientamento Sez. 6, n. 10654 del 20/02/2009, Ranieri, Rv. 243076 , ritiene di aderire al predetto filone esegetico, secondo cui l’art. 384 c.p., comma 1, integra una causa di esclusione della colpevolezza basata sul principio di inesigibilità di contegni giuridici autolesivi. Per tali considerazioni doveva essere applicata al ricorrente per il reato di cui all’art. 372 c.p., la causa di non punibilità di cui all’art. 384 c.p., in quanto egli ha posto in essere le attività addebitategli essendo stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo da un grave e inevitabile nocumento nella libertà. Per quanto, il ricorrente invochi, se pur in modo del tutto generico, l’applicazione della causa di non punibilità anche agli altri reati, va ribadito che l’esimente prevista dall’art. 384 c.p., non è applicabile alle dichiarazioni calunniose tra tante, Sez. 6, n. 10290 del 22/01/2014, Fortunato, Rv. 259446 . 3. Il secondo motivo formula invece censure inammissibili, in quanto prive di interesse e manifestamente infondate. Quanto all’assorbimento delle condotte di calunnia contestate, il ricorrente non tiene in conto che i giudici di merito non hanno operato alcun aumento per la continuazione interna al capo di imputazione, quindi considerando una sola condotta, e applicando il minimo edittale. In ordine alla idoneità della condotta, oltre a doversi rilevare la genericità della censura, è sufficiente richiamare il pacifico principio, secondo cui il delitto di calunnia si configura come reato di pericolo e, quindi, è sufficiente ad integrare l’elemento oggettivo una falsa accusa che, essendo astrattamente configurabile come notitia criminis in quanto a prima vista non manifestamente inverosimile, sia pertanto idonea all’apertura delle indagini preliminari tra tante, Sez. 6, n. 48525 del 05/11/2003, Grimaldi, Rv. 228542 . Parimenti consolidato è il principio, secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di calunnia non occorre una denuncia in senso formale, essendo sufficiente che taluno, rivolgendosi in qualsiasi forma all’autorità giudiziaria ovvero ad altra autorità avente l’obbligo di riferire alla prima, esponga fatti concretanti gli estremi di un reato, addebitandoli a carico di persona di cui conosce l’innocenza Sez. 6, n. 10160 del 29/01/2016, Fasano, Rv. 266956 Sez. 6, n. 44594 del 08/10/2008, De Barbieri, Rv. 241654 . Pertanto, il fatto di aver predisposto uno scritto calunnioso espressamente rivolto all’autorità giudiziaria e confezionato per il suo uso in giudizio da parte del T. veniva a configurare il reato di calunnia. 4. Le censure sulla motivazione versati nel terzo e quarto motivo sono inammissibili in quanto in definitiva rivolte ad entrare nel merito delle valutazioni rese dai giudici di merito, che non risultano manifestamente illogiche. Secondo l’incontrastata giurisprudenza di legittimità, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata e convincente, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello . La Corte di appello ha ritenuto calunniose le dichiarazioni del ricorrente, posto che risultava provata dal tenore delle captazioni la cessione dello stupefacente ad opera del T. . La stessa Corte territoriale ha poi esaminato le dichiarazioni rese dalla teste B. , affrontando espressamente e ampiamente il tema - qui meramente riproposto - della attendibilità della stessa e della rilevanza della frase sulla quale aveva insistito la difesa. 5. Anche per la recidiva, le censure non superano la soglia di ammissibilità. La motivazione sul punto della sentenza impugnata non appare affatto di stile, avendo la Corte di appello espresso un giudizio non astratto ma calzante con la vicenda processuale e il percorso delittuoso del ricorrente. 6. Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 372 c.p., trattandosi di fatto non punibile ai sensi dell’art. 384 c.p Va quindi eliminata la relativa pena, residuando per l’effetto quella individuata dai giudici di merito per il reato di calunnia, con l’aumento della recidiva, alla quale va poi operata la riduzione per il rito così da pervenire alla pena finale di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione . Per il resto il ricorso va dichiarato inammissibile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 372 c.p., in quanto non punibile ai sensi dell’art. 384 c.p., e ridetermina la pena per la residua imputazione in anni due, mesi due e giorni venti di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.