“Foglio di via”: elementi essenziali della fattispecie e conseguenze per la violazione delle imposizioni

La fattispecie legale tipica del foglio di via obbligatorio prevede la necessaria compresenza di entrambe le intimazioni, quella di non fare ritorno nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento e quella di fare rientro nel Comune di residenza. In presenza di entrambe le prescrizioni, previste dall’art. 2, d.lgs. n. 159/2011, invero, l’atto amministrativo è legittimo e, pertanto, la violazione di anche solo una delle imposizioni rappresenta elemento costitutivo del reato di cui all’art. 76, comma 3 del medesimo decreto.

Il caso. Avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza che assolveva, perché il fatto non sussiste, l’imputato dal reato di cui all’art. 76, comma 3, d.lgs. n. 159/2011 proponeva ricorso per saltum il Procuratore generale della Repubblica presso la medesima Corte d’Appello, deducendo violazione di legge, in primo luogo, attesa l’insindacabilità del provvedimento amministrativo da parte del giudice penale con riguardo al presunto rilievo di una nullità il cui accertamento rientra nelle competenze del giudice amministrativo. In secondo luogo, affermava che il foglio di via, in quanto atto amministrativo complesso, si perfeziona con la imposizione di uno solo dei due diversi tipi di ordine previsti dalla norma, dato che il semplice allontanamento senza l’obbligo di rimpatrio del proposto, sia sufficiente a garantire l’ordine pubblico. Di contro, il Tribunale aveva ritenuto che l’atto di che trattasi è a contenuto composito, e, dunque, deve contenere una duplice previsione da un lato l’ordine di rientro nel luogo di residenza del soggetto pericoloso, dall’altro il divieto di fare ritorno nel comune da cui è stato allontanato. Nel caso di specie, mancando la prima previsione, il provvedimento è illegittimo per carenza di uno dei due elementi prescritti dalla norma, con la conseguente insussistenza del reato contestato. La normativa di riferimento. L’art. 2 dispone che Qualora le persone indicate nell'articolo 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate . Sul provvedimento amministrativo di cui all’art. 2. La Corte, accogliendo le argomentazioni del Tribunale, rigetta il ricorso. Infatti, come rilevano i Giudici di legittimità, la norma di cui all’art. 2 individua un provvedimento amministrativo la cui inosservanza comporta il reato di cui all’art. 76 che dispone una misura di prevenzione di natura promiscua, che contiene sia effetti coercitivi che inibitori, l’obbligo di rimpatriare e il divieto di ritornare nel luogo da cui si è stati allontanati. Aderendo ad un orientamento giurisprudenziale, contrario a quello proposto dal Procuratore generale a sostegno del proprio ricorso, la Corte ha ritenuto che il decreto del questore che, nel concorso dei presupposti e delle condizioni di legge, si limiti a imporre il solo divieto di ritorno ovvero alternativamente disponga il rimpatrio senza il divieto de quo , non corrisponde al modello del provvedimento tipizzato dalla legge e, pertanto, sotto tale profilo, potrebbe considerarsi illegittimo . La correttezza di tale interpretazione la si ricava non solo da un dato testuale, che individua due distinti presupposti, ma anche da quanto precisato recentemente dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 24/19, che ha ribadito che le misure di prevenzione sono imperniate su un giudizio di persistente pericolosità sociale di un soggetto e hanno una finalità preventiva e non già punitiva. La loro funzione è quella di limitare la libertà di movimento del soggetto destinatario al fine di impedirgli di commettere ulteriori reati, o comunque di rendergli più difficoltosa la loro realizzazione, permettendo all’autorità di polizia un più facile controllo dello stesso. Se ciò è dunque lo scopo della misura di prevenzione, appare evidente come l’invio del soggetto presso il luogo di residenza comporta una minore difficoltà per le istituzioni di prevenire sue iniziative criminose oltre alla evenienza che il soggetto sia più propenso ad astenersi, nel luogo in cui vive, dal commettere condotte criminose. Appare evidente, di contro, che l’imposizione di un’unica limitazione frustrerebbe lo scopo della norma e non permetterebbe tutto quanto appena indicato, oltre a rendere illegittimo l’atto stesso. Sindacabilità dell’atto in sede penale. Attesa, dunque, l’illegittimità dell’atto amministrativo recante una sola imposizione, va risolto in maniera positiva il quesito circa la possibilità per il giudice penale di giudicare sul punto e, dunque, disapplicare il provvedimento nullo. Ed infatti, anche se il predetto provvedimento non comporta una lesione di diritti soggettivi, il potere del giudice penale di sindacare un provvedimento amministrativo può fondarsi su una specifica disposizione di legge ad esempio l’art. 650 c.p. oppure, nell’ambito della interpretazione della norma penale, quando la legittimità dell’atto amministrativo si presenti come elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice. Nel caso di specie, la conformità a legge del foglio di via, che deve essere vagliata dal giudice penale alla luce dei parametri imposti dall’art. 21- octies l. n. 241/1990, è elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art. 76 d.lgs. n. 159/2011. Pertanto, la carenza di un elemento essenziale del foglio di via comporta la sua nullità con la conseguente insussistenza del reato sopra indicato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 marzo – 23 luglio 2019, n. 33108 Presidente Iasillo – Relatore Cappuccio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28 maggio 2018 il Tribunale di Vicenza ha assolto B.F. , perché il fatto non sussiste, dal reato di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 76 comma 3, commesso il omissis e consistito nell’inottemperanza al provvedimento del Questore di allontanamento dal territorio del Comune di omissis per la durata di tre anni, emesso e notificato all’imputato il 21 marzo 2015. Il Tribunale ha preso le mosse dall’affermazione secondo la quale il foglio di via obbligatorio, previsto dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 2, costituisce un atto a contenuto composito che deve contenere una duplice previsione l’ordine di rientro nel luogo di residenza del soggetto pericoloso per la sicurezza pubblica, che appartenga a una delle categorie indicate dal medesimo decreto, ed il divieto - per la stessa persona - di fare ritorno senza previa autorizzazione o per un periodo non superiore a tre anni nel comune dal quale è stata allontanata. Ha, quindi, rilevato che il reato ascritto all’imputato implica, a sua volta, una condotta omissiva plurima, ripartita in due elementi tra loro interdipendenti, rappresentati, rispettivamente, dal mancato allontanamento del soggetto dal luogo dal quale è stato bandito e dall’inadempimento dell’obbligo di rientro nel luogo di abituale residenza. Ne discende che, costituendo la circostanza che il soggetto si trovi in luogo diverso da quello di sua residenza condizione di legittimità del provvedimento, l’ordine di rientro nella medesima residenza rappresenta il presupposto logico-giuridico dell’inibitoria a fare ritorno nel luogo dal quale è stato allontanato con l’ulteriore conseguenza che la mancanza di un luogo identificabile come residenza determina l’illegittimità del foglio di via per carenza di uno dei contenuti essenziali prescritti dalla norma di cui all’art. 2. Il Tribunale ha, in proposito, ritenuto che la nullità, ai sensi della L. 7 agosto 1990, art. 21 septies, e per carenza di un elemento essenziale dell’atto, n. 241, del provvedimento del Questore, privo nel caso di specie dell’ordine di rimpatrio di B. nel luogo di residenza essendo l’imputato senza fissa dimora , deve essere rilevata dal giudice ordinario in sede di accertamento della sussistenza degli elementi costitutivi del reato in contestazione. 2. Ricorre direttamente per cassazione, per saltum, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia, deducendo violazione di legge, innanzitutto sotto il profilo dell’insindacabilità del provvedimento amministrativo da parte del giudice penale, con riguardo al rilievo di una nullità il cui accertamento rientra nella competenza esclusiva del giudice amministrativo. Contesta, ulteriormente, che il foglio di via possa essere ritenuto atto amministrativo complesso, essendo sufficiente al suo perfezionamento l’imposizione di uno solo dei due diversi tipi di ordine così Sez. 1, n. 4702 del 12/12/2013, dep. 2014, Florian, Rv. 259018 , e ritiene, dunque, che l’assenza dell’obbligo di rimpatrio non infici la legittimità del provvedimento, risultando il solo allontanamento funzionale a garantire l’ordine pubblico. Rileva, ancora, che il contenuto primario del foglio di via si identifica nel divieto, rivolto al destinatario della misura, di ritornare senza autorizzazione in un determinato comune, ove egli non è residente e dal quale viene allontanato, secondo quanto confermato dalla giurisprudenza di legittimità Sez. 1, n. 32512 del 19 giugno 2013, Stejar, non massimata che indica come eventuale l’ordine di rientrare nel luogo di residenza, là dove lo suggeriscano ragioni di opportunità ed esso sia, naturalmente, esistente e noto. Dissente, pertanto, dalla valutazione del Tribunale, anche perché preclusiva dell’adozione del foglio di via obbligatorio nei confronti di quei soggetti, ritenuti motivatamente pericolosi per l’ordine pubblico, che siano privi di una fissa dimora. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato, e deve pertanto essere rigettato, per le ragioni di seguito esposte. 2. La condotta sanzionata dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 76, comma 3, consiste nella contravvenzione alle disposizioni di cui all’art. 2, del medesimo decreto legislativo, a tenore del quale Qualora le persone indicate nell’art. 1, siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate . La norma individua e descrive il contenuto del provvedimento amministrativo la cui inosservanza integra il reato e che ne costituisce il necessario antecedente logico-giuridico e lo configura come una misura di prevenzione di natura promiscua, che assomma effetti coercitivi e inibitori il rimpatrio, con il foglio di via obbligatorio, e il divieto di ritorno. La legittima emissione del provvedimento da parte del questore postula la sussistenza di una duplicità di condizioni, che devono ricorrere contestualmente come fatto palese dall’uso della congiunzione e , rappresentate, da un lato, dal giudizio di pericolosità formulato nei confronti della persona appartenente a una delle categorie indicate nel precedente art. 1, e, dall’altro, dal dato di fatto che la persona si trovi fuori del luogo di residenza. 3. Ritiene il Tribunale di Vicenza che l’atto amministrativo, per essere conforme alla fattispecie tipica descritta dalla legge, debba prevedere, quale presupposto necessario - e non già eventuale o alternativo - del divieto di rientro della persona in difetto di autorizzazione, o prima del termine imposto nel comune dal quale viene allontanata, l’ordine di fare ritorno nel luogo di residenza con foglio di via obbligatorio. Secondo questa prospettiva, l’accertamento che la persona si trova in un luogo diverso da quello di residenza e l’ordine conseguente di farvi immediato rientro costituiscono, dunque, condizioni imprescindibili - e inscindibili - della legittima emissione della contestuale inibitoria, rivolta al medesimo soggetto, di fare ritorno nel luogo dal quale viene allontanato. Da ciò discende che l’assenza nel provvedimento del questore del suddetto accertamento e/o del conseguente - necessario - ordine di rimpatrio rende l’atto amministrativo difforme dalla fattispecie tipica e carente di uno degli elementi essenziali previsti dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 2, la cui mancanza è idonea a produrre la nullità di natura strutturale dell’atto prevista dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 septies, sul procedimento amministrativo. 4. La ricostruzione ermeneutica avallata dal Tribunale di Vicenza incontra il dissenso del Procuratore generale ricorrente, il quale si riporta all’opposto indirizzo affermato, tra le altre, da Sez. 1, n. 4702 del 12/12/2013, dep. 2014, Florian, non massimata Sez. 1, n. 29694 del 07/06/2012, Gamba, Rv. 253069 Sez. 1, n. 46257 del 08/11/2012, Rapisarda, Rv. 253966 secondo il quale Ai fini della sussistenza del reato previsto dalla L. n. 1423 del 1956, art. 2, è sufficiente, alternativamente, la violazione del divieto di allontanamento da un certo territorio oppure quella del divieto di farvi ritorno per un certo periodo, non richiedendo la norma, quale presupposto del reato, un provvedimento amministrativo complesso che prescriva contemporaneamente entrambe le proibizioni , ma essendo, appunto, sufficiente ai fini della sua legittimità che contenga l’imposizione anche solo di uno dei due diversi tipi di ordine, funzionali a garantire l’ordine pubblico . A fondamento di tale interpretazione si indica, nella motivazione della citata sentenza n. 4702 del 12 dicembre 2013, il tenore letterale della norma penale, che facendo riferimento alle disposizioni di cui all’art. 2 mostra di attribuire autonomo rilievo ai distinti comportamenti antigiuridici, il cui presupposto è costituito dall’adozione del provvedimento amministrativo che trova la sua ragione d’essere nella pericolosità sociale manifestata dal soggetto in un determinato contesto territoriale e tale da imporre alternativamente o l’allontanamento c.d. foglio di via da un determinato territorio o il divieto di farvi ritorno per un prefissato periodo di tempo. Tesi, questa, che troverebbe ulteriore, indiretta, conferma nel pregresso riconoscimento, ad opera della stessa giurisprudenza di legittimità Sez. 1, n. 1366 del 2 ottobre 1997, dep. 1998, Giunta, Rv. 209690 , della diversa natura - istantanea, in un caso, permanente, nell’altro - dei reati connessi, rispettivamente, all’inosservanza dell’obbligo di presentarsi nel comune di rimpatrio entro il termine assegnato dall’autorità amministrativa ed al mancato rispetto del divieto di fare ritorno senza autorizzazione, prima di un termine predeterminato, anch’esso stabilito dall’autorità amministrativa, nel territorio da cui il soggetto è stato allontanato, in quanto ritenuto motivatamente pericoloso. Ulteriore censura mossa dal Procuratore generale ricorrente alla decisione impugnata afferisce alla possibilità, per il giudice penale, di vagliare, in via incidentale, la conformità a legge del foglio di via obbligatorio, compito che egli ritiene esclusivamente riservato all’autorità giurisdizionale amministrativa. 5. Ritiene il Collegio che i rilievi critici del Procuratore generale non colgano nel segno. 5.1. In proposito, va innanzitutto segnalato come l’orientamento che ritiene la legittimità del provvedimento impositivo di una sola delle prescrizioni indicate dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 2, sia tutt’altro che consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione che ha, in tempi relativamente recenti Sez. 1, n. 22687 del 26/03/2013, Varga, in motivazione , riaffermato - sia pure nel contesto di una decisione con la quale è stata ribadita, sotto un diverso profilo, che sarà vagliato più avanti, la rilevanza penale della condotta l’opposto convincimento secondo cui il decreto del questore che, nel concorso dei presupposti e delle condizioni di legge, si limiti a imporre il solo divieto di ritorno ovvero alternativamente disponga il rimpatrio senza il divieto de quo non corrisponde al modello del provvedimento tipizzato dalla legge e, pertanto, sotto tale profilo, potrebbe considerarsi illegittimo . 5.1.1. Che questa sia la più corretta lettura della disposizione è confermato, in primis, dal suo tenore testuale, che individua con chiarezza due distinti presupposti, costituiti, rispettivamente, dalla pericolosità per la sicurezza pubblica e dal trovarsi l’interessato fuori del luogo di residenza, ciò che, già sotto il profilo logico, presuppone l’esistenza di un luogo di residenza ove costui -come reso evidente dal prefisso iterativo ri , utilizzato dal legislatore anche con riferimento alla destinazione del soggetto allontanato, per la quale è stato scelto il verbo rimandare - ha fissato il centro dei propri interessi. Ciò influisce sul contenuto minimo ed imprescindibile del provvedimento, che ricollega l’allontanamento dal comune in cui si è manifestata la pericolosità sociale al rimpatrio in quello di residenza, con conseguente divieto di ritorno nel comune dal quale il destinatario del foglio di via è stato allontanato. Nella stessa direzione milita il precetto penale della cui trasgressione si discute, nella parte in cui dispone che Nella sentenza di condanna viene disposto che, scontata la pena, il contravventore sia tradotto al luogo del rimpatrio , in tal modo dando per scontata e presupposta l’esistenza e la pregressa indicazione, all’atto dell’adozione del foglio di via obbligatorio le cui prescrizioni sono state disattese, di un luogo di residenza verso il quale è stato ordinato il ritorno. 5.1.2. In chiave teleologica, poi, deve segnalarsi il saldo ancoraggio delle disposizioni in esame alla necessità di prevenire le manifestazioni della pericolosità sociale - recte per la sicurezza pubblica - della quale il destinatario del foglio di via ha dimostrato di essere portatore, ovvero alla finalità di controllo che orienta l’intero settore delle misure di prevenzione personale. A quest’ultimo proposito, soccorre la recente pronunzia della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che - nell’escludere che le misure di prevenzione personale abbiano nella sostanza carattere sanzionatorio-punitivo e, quindi, chiamino in causa necessariamente le garanzie che la CEDU, e la stessa Costituzione, sanciscono per la materia penale - ha ribadito che esse, imperniate come sono su un giudizio di persistente pericolosità del soggetto, hanno una chiara finalità preventiva anziché punitiva, mirando a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati, o quanto meno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione, consentendo al tempo stesso all’autorità di pubblica sicurezza di esercitare un più efficace controllo sulle possibili iniziative criminose del soggetto. Il giudice delle leggi ha tratto argomento dalla precedente considerazione per notare come l’indubbia dimensione afflittiva delle misure di prevenzione personale non sia, in quest’ottica, che una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato non già la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato . 5.1.3. Acclarato, allora, che scopo del foglio di via obbligatorio, così come di ogni altra misura di prevenzione personale, è quello di arginare il pericolo di commissione di future condotte illecite, appare evidente che la fruttuosità del provvedimento è legata, quantomeno in via concorrente, all’invio del soggetto presso il luogo ove, avendo egli fissato la propria residenza, sono minori le difficoltà per le istituzioni preposte di esercitare la vigilanza e porre in essere le ulteriori iniziative intese a prevenire eventuali iniziative criminose, mentre, per converso ed in parallelo, più consistenti sono le chances che il destinatario del foglio di via si astenga, in un ambiente in cui egli è meglio inserito, da comportamenti devianti. L’obiettivo della norma risulterebbe, invece, sostanzialmente frustrato, almeno sotto l’angolo prospettico considerato, qualora si ammettesse la legittimità di un provvedimento dal contenuto circoscritto all’allontanamento dal luogo di manifestazione della pericolosità sociale ed al divieto di reingresso, in quanto tale non funzionale alle immanenti e preminenti esigenze di controllo. Tanto autorizza ad affermare che il foglio di via obbligatorio privo dell’ordine di rimpatrio verso il luogo di residenza per non avere il destinatario una residenza, ovvero un luogo in cui egli ha fissato, in modo più o meno stabile, il centro dei propri interessi, sarebbe inidoneo a soddisfare le finalità preventive sottese alla norma in esame. 5.1.4. Sono queste, del resto, le indicazioni che la stessa Corte costituzionale fornì, già nel 1964, con la sentenza n. 68, con la quale confermò la compatibilità dell’istituto con i precetti della Carta fondamentale, e segnatamente con gli artt. 3 e 16, art. 25, comma 3, e art. 102, comma 1, sulla scorta, tra l’altro, di argomentazioni che appaiono perfettamente coerenti con la soluzione qui adottata in ordine alla ineludibile necessità che il foglio di via obbligatorio contenga tanto l’ordine di rimpatrio verso un luogo determinato quanto il divieto, entro una data cornice temporale, di ritorno in quello dal quale il destinatario è stato allontanato. Scrisse, in proposito, il giudice delle leggi L’obbligo di portarsi, almeno inizialmente, nel Comune di residenza risponde ad una esigenza logica, fondata sulla realtà senza la indicazione di una destinazione il foglio di via avrebbe l’aspetto di un bando, non di un ordine di trasferimento da un Comune ad un altro. D’altra parte, poiché tra Comuni e Comuni della Repubblica italiana non ci sono barriere, non sarebbe materialmente possibile né per l’autorità di pubblica sicurezza né per la stessa persona munita di foglio di via obbligatorio accertare e fare accertare se tale persona si sia effettivamente allontanata dal territorio di un Comune. Ora, siffatto accertamento non è soltanto richiesto da esigenze di buon funzionamento degli uffici di polizia ai fini di un efficace controllo, che può essere unicamente effettuato presso gli uffici esistenti in un determinato Comune ma l’ordine di raggiungere il Comune di residenza offre anche una garanzia per la stessa persona munita del foglio di via, al cui interesse giova che la destinazione sia fissata dalla legge. Difatti, più gravi limitazioni della libertà di soggiorno e di circolazione e maggiori disagi si sarebbero avuti se la scelta fosse stata devoluta all’autorità di pubblica sicurezza. Né la scelta poteva essere lasciata allo stesso interessato, dovendosi ragionevolmente presumere che egli nel luogo della sua dimora abituale abbia le maggiori possibilità di reinserirsi in un ambiente più confacente ad un sistema di vita meno esposto ai pericoli ed ai turbamenti del luogo di non abituale dimora . 5.1.5. Stando così le cose, non pare assumere significativa rilevanza, in direzione contraria a quella sin qui indicata, la previsione, nell’ambito della normativa in materia di anagrafe cfr., in specie, la L. 24 dicembre 1954, n. 1228, art. 2, recante Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente , e l’art. 7 del Regolamento anagrafico della popolazione residente , approvato con D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, e modificato dal D.P.R. n. 17 luglio 2015, n. 126 , dell’iscrizione d’ufficio delle persone senza fissa dimora né domicilio nei registri anagrafici del comune di nascita, disposizione che, ispirata da tangibili ragioni burocratiche e statistiche, non risponde alle finalità di controllo che si è detto essere sottese alla normativa sul foglio di via obbligatorio né garantisce la fruizione di quei presidi che rendono meno probabile la commissione di ulteriori reati. 5.2. Una volta acclarata l’illegittimità del provvedimento amministrativo che, nell’imporre l’allontanamento del soggetto socialmente pericoloso da un dato luogo ed il divieto di farvi ritorno per un certo torno di tempo, non gli prescriva di portarsi nel luogo di residenza, va positivamente risolto il dilemma in ordine alla sindacabilità dell’atto in sede penale, in bonam partem ed in vista della disapplicazione del provvedimento illegittimo alle cui disposizioni imperative l’imputato non abbia ottemperato. 5.2.1. Sostiene, al riguardo, il Procuratore generale ricorrente che l’illegittimità dell’atto non sarebbe, comunque, rilevabile dal giudice ordinario ai fini della sua disapplicazione, trattandosi di sindacato di legittimità riservato alla giurisdizione amministrativa in relazione a provvedimento che, anche qualora ritenuto illegittimo, non comporta una lesione dei diritti soggettivi in capo al suo destinatario, secondo quanto statuito da risalente indirizzo ermeneutico sul punto, cfr. Sez. U, n. 3 del 31/01/1987, Giordano, Rv. 176304 , mutuato, in epoca più prossima, dalla giurisprudenza di legittimità Sez. 1, n. 22687 del 26/03/2013, Varga, Rv. 256482 . L’impossibilità giuridica di sindacare e disapplicare il provvedimento amministrativo in sede penale renderebbe, pertanto, irrilevante il profilo di illegittimità dell’atto amministrativo e non pregiudicherebbe la configurabilità del reato nell’ipotesi in cui il soggetto attivo contravvenga all’unico divieto imposto. 5.2.2. Il ragionamento sotteso alla doglianza del ricorrente non convince in quanto trascura che - come già chiarito dalle Sezioni Unite nella pronunzia sopra indicata - il potere di sindacato e di disapplicazione da parte del giudice penale dell’atto amministrativo, anche nel caso in cui esso non comporti una lesione di diritti soggettivi, può trovare fondamento e giustificazione in una esplicita previsione legislativa come ad esempio avviene con il disposto dell’art. 650 c.p. ovvero nell’ambito di interpretazione della norma penale, qualora la legittimità dell’atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa. Nel caso in esame, l’accertamento della rispondenza della misura di prevenzione disciplinata dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 2, al modello tipico previsto dalla legge costituisce adempimento doveroso, avente ad oggetto proprio la validità dell’atto integrante il presupposto del reato, e tanto più ineludibile allorché l’invalidità discenda dal difetto di uno degli elementi essenziali del provvedimento, integrante la forma più grave di patologia, rappresentata dalla nullità e non dall’annullabilità. Questa Corte, invero, ha avuto modo di affermare che la conformità a legge del provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio deve essere accertata dal giudice penale alla luce dei parametri - indicati nella L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, - dell’incompetenza, della violazione di legge e dell’eccesso di potere, con la precisazione, per quanto riguarda quest’ultimo, che esso è suscettibile di cognizione da parte del giudice ordinario non solo nella classica configurazione dello sviamento di potere, ma anche nelle varie figure sintomatiche elaborate dalla giurisprudenza amministrativa Sez. 1 n. 28549 del 18/06/2008, Rv. 241084 . Non vi è ragione, dunque, di limitare o circoscrivere l’ambito e la portata del sindacato di legittimità del giudice penale, quando esso investa addirittura l’accertamento della presenza degli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, la cui mancanza sia idonea a comportare la più grave sanzione della nullità in conformità, del resto, all’indirizzo risalente a Sez. 3 n. 6537 del 30/03/1992, Rv. 190458 , avuto ulteriormente riguardo al rango della situazione giuridica soggettiva lesa per effetto della imposizione, al di fuori delle condizioni previste dalla legge, dei limiti alla libertà di circolazione connessi alla emissione di foglio di via obbligatorio. 6. Acclarato da un canto, sul piano oggettivo, che la fattispecie legale tipica del foglio di via obbligatorio prevede la necessaria compresenza di entrambe le intimazioni, quella di fare rientro nel comune di residenza e quella di non fare ritorno nel comune oggetto dell’ordine di allontanamento, la prima delle quali costituisce condizione e antecedente logico della seconda, e, dall’altro, che la corretta formazione dell’atto costituisce il presupposto del reato, integrato dall’inosservanza anche di una sola delle sue prescrizioni, deve giocoforza concludersi che la mancanza dell’una o dell’altra prescrizione, determinando la carenza di un elemento essenziale, come tale incidente sulla validità e legittimità del provvedimento, comporta il venir meno dello stesso presupposto giuridico della condotta incriminata, costituita dalla violazione della disposizione di un provvedimento validamente e legittimamente formato. In linea di continuità con quanto stabilito da altra recente pronunzia Sez. 1, n. 4074 del 09/01/2019, Pipis, Rv. 275159 , deve, quindi, essere superato l’orientamento espresso al riguardo in passato dalla giurisprudenza di legittimità. 7. Poiché nel caso di specie è pacifico che il provvedimento del questore che ha ordinato l’allontanamento dell’imputato dal territorio del Comune di omissis per la durata di anni tre non è stato accompagnato da contestuale intimazione rivolta a B. di fare rientro nel luogo di residenza, la decisione della sentenza impugnata di ritenere insussistente il reato derivante dall’inottemperanza di un ordine di allontanamento contenuto in un provvedimento affetto da nullità, perché privo di uno dei suoi elementi essenziali, risulta corretta e non merita censura. P.Q.M. Rigetta il ricorso.