Il confine tra il delitto di diffamazione e il diritto di critica tra avvocati

Un avvocato invia una lettera al COA contenente critiche e perplessità piuttosto aspre circa l’operato di un altro legale non è integrato il delitto di diffamazione, sussistendo l’esimente dell’esercizio del diritto di critica, considerando che le espressioni utilizzate non oltrepassano i limiti del suo corretto esercizio.

Così si esprime la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 32407/19, depositata il 19 luglio. Il caso. Il Giudice di pace di Bari assolveva l’imputato, avvocato presso il foro di Bari, dall’accusa di diffamazione nei confronti di un altro avvocato mediante uno scritto trasmesso all’Ordine degli Avvocati, non avendo in esso rilevato alcun contenuto lesivo dell’onore altrui. Avverso tale decisione, la parte civile propone ricorso per cassazione, contestando la ritenuta non configurabilità del reato nelle espressioni oggetto dello scritto citato. Il delitto di diffamazione. La Suprema Corte dichiara infondato il ricorso, evidenziando comunque, in una parte della motivazione della pronuncia impugnata, l’applicazione di principi incongrui rispetto alla fattispecie in oggetto. La contestazione di reato contenuta nel capo d’imputazione, infatti, riferisce dell’invio dello scritto diffamatorio al Consiglio dell’Ordine e non al suo Presidente, giacché è inapplicabile nel caso di specie la giurisprudenza che ritiene non realizzato l’elemento necessario della diffusione dello scritto a più persone. Tuttavia, tale orientamento è rimasto isolato, essendo contraddetto da un’altra interpretazione secondo cui sussiste comunque il requisito indicato nella condotta di colui che invii una lettera denigratoria al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Dopo tale precisazione, la Corte rileva che in ogni caso lo scritto inviato non configura il reato contestato all’imputato per via delle espressioni in esso contenute, le quali si limitano a criticare, seppur in modo aspro, le capacità e la condotta professionale della persona offesa. A tal proposito, il Giudice ha richiamato la giurisprudenza di legittimità che afferma la configurabilità dell’esimente di cui all’art. 51 c.p., in base al quale rientra nel legittimo esercizio del diritto di critica la richiesta di controlli e verifiche circa l’operato di soggetti che hanno specifici poteri per via della professione esercitata, essendo necessario che nell’esposto non siano utilizzate espressioni direttamente e smodatamente offensive nei confronti della persona offesa”, come riscontrato nel caso concreto. Per questo motivo, gli Ermellini rigettano il ricorso, ribadendo il principio secondo cui il delitto di diffamazione ex art. 595 c.p., non è integrato dal comportamento di chi invia una lettera al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati avente ad oggetto dubbi e perplessità, anche aspre, riguardanti la correttezza professionale di un legale, ricorrendo in tal caso la generale causa di giustificazione contenuta nell’art. 51 c.p. dell’esercizio del diritto di critica, volto ad ottenere il controllo delle eventuali violazioni al Codice deontologico, sempre che le espressioni utilizzate non superino i limiti del corretto esercizio di tale diritto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 febbraio – 19 luglio 2019, n. 32407 Presidente Catena – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, datato 11.12.2017, il giudice di pace di Bari ha assolto con la formula perché il fatto non costituisce reato l’imputato R.D. , avvocato del foro di , dall’accusa di diffamazione in relazione ad uno scritto trasmesso all’Ordine degli avvocati di che coinvolgeva l’operato professionale dell’avv. C.S. , non avendo rilevato nel suo contenuto un nucleo lesivo dell’onore altrui. 2. Contro tale sentenza propone ricorso la parte civile, C.S. , tramite il suo difensore, sia agli effetti civili che agli effetti penali, deducendo, con un primo motivo, violazione di legge in relazione alla ritenuta inconfigurabilità del reato nelle espressioni contenute nello scritto indirizzato all’Ordine degli avvocati di Bari, in cui si tacciava la parte offesa di comportamento sleale, scorretto e spregiudicato , oltre che lesivo della dignità professionale dell’imputato. Le espressioni utilizzate, invece, si caratterizzano per avere una connotazione negativa per la persona nei cui confronti sono rivolte. 2.1. Con un secondo motivo si argomenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che, da un lato, si basa sulla non certa riferibilità alla parte civile delle offese contenute nello scritto diffamatorio dall’altro, ritiene insussistente la stessa condotta delittuosa, citando giurisprudenza di legittimità dalla quale si evincerebbe la non configurabilità del reato di diffamazione in un caso come quello di specie. Il giudice di pace, in particolare, avrebbe erroneamente affermato che l’invio dell’esposto diffamatorio era stato effettuato al Presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, escludendo così la configurabilità dell’elemento del reato della comunicazione dei contenuti diffamatori di uno scritto a più persone, laddove invece pacificamente risulta che esso è stato inoltrato direttamente al consiglio dell’ordine predetto. Inoltre, mancherebbero i presupposti anche per ritenere l’esimente del diritto di critica, pure richiamata erroneamente nel provvedimento impugnato, in quanto, nel caso di specie, non si dibatte di una segnalazione al consiglio dell’ordine degli avvocati volta ad esporre legittime critiche sulla correttezza professionale di un aderente, bensì si è in presenza di una mirata denigrazione personale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. Anzitutto deve rilevarsi l’ammissibilità del ricorso, dal punto di vista procedurale. Ed infatti, ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 38, disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace , al ricorrente che abbia chiesto la citazione a giudizio dell’imputato, a norma dell’art. 21 del medesimo decreto legislativo, è consentito proporre impugnazione anche agli effetti penali contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l’impugnazione del pubblico ministero. È stato affermato che, nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace, la parte civile può proporre impugnazione agli effetti penali, avverso le sentenze di proscioglimento, limitatamente alle ipotesi in cui la citazione a giudizio dell’imputato sia stata chiesta dalla persona offesa con ricorso immediato ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 21, Sez. 5, n. 30535 del 26/6/2014, Uggini, Rv. 260036 Sez. 5, n. 48696 del 19/9/2014, Buffolino, Rv. 261283 Sez. 5, n. 48706 del 25/9/2014, Bersani, Rv. 261226 . Nel caso di specie, la parte civile ricorrente ha dato luogo al procedimento penale con ricorso immediato D.Lgs. n. 274 del 2000, ex art. 21, come risulta dal testo della sentenza impugnata, sicché è legittimata a proporre ricorso per cassazione anche agli effetti penali, ai sensi dell’art. 36, comma 2, e art. 38, del citato testo normativo è esatta la formulazione dell’impugnazione come ricorso per cassazione, trattandosi di fattispecie in cui vi è stata pronuncia di assoluzione da parte del giudice di pace - cfr. Sez. 4, n. 47995 del 18/9/2009, Di Loreto, Rv. 245741 - ed essendo stata proposta impugnazione anche agli effetti penali. Deve rammentarsi, infatti, che l’art. 36 cit., nel disciplinare il potere di impugnazione del pubblico ministero nel giudizio dinanzi al giudice di pace, limita l’appellabilità delle sentenze del giudice di pace alle sole pronunce di condanna che applicano una pena diversa da quella pecuniaria. Nei confronti di tutte le altre sentenze del giudice di pace, pertanto, è ammesso, da parte del pubblico ministero, solo il ricorso per cassazione i dubbi di costituzionalità in proposito sono stati dichiarati manifestamente infondati dal giudice delle leggi con le ordinanze n. 42 del 2009 e n. 298 del 2008 Corte Cost. . L’elaborazione giurisprudenziale ha inoltre chiarito che la parte civile è legittimata a proporre appello, ai soli effetti civili, avverso la sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice di pace, ferma restando la proponibilità del solo ricorso per cassazione, anche ai fini penali D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 38 , qualora il procedimento sia stato instaurato a seguito di ricorso immediato al giudice Sez. 5, n. 4695 del 5/12/2008, dep. 2009, Simoni, Rv. 242605 . 3. Nel merito, quanto alla fondatezza dell’impugnazione, deve evidenziarsi che effettivamente la sentenza impugnata applica, per una parte di motivazione, principi di diritto incongrui rispetto alla fattispecie esaminata. La stessa contestazione di reato contenuta nel capo d’imputazione, infatti, riferisce dell’invio dell’esposto ipotizzato diffamatorio al Consiglio dell’Ordine e non già al Presidente di tale organismo, sicché è inapplicabile, nel caso concreto, la giurisprudenza che ritiene, in tale ultima ipotesi, non realizzato l’elemento necessario della propalazione dello scritto a più persone Sez. 5, n. 19396 del 23/1/2009, Eshete, Rv. 243606 . Deve, peraltro, segnalarsi che il citato orientamento è rimasto pressoché isolato e, successivamente, è stato contraddetto da altra ed opposta opzione secondo cui Sez. 5, n. 23222 del 6/4/2011, Saccucci Rv. 250458 sussiste comunque il requisito della comunicazione con più persone, atto ad integrare il delitto di diffamazione art. 595 c.p. , nella condotta di colui che invii una lettera denigratoria al Presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati. Tuttavia, la ragione difensiva poc’anzi esposta è assorbita dalla valutazione di insussistenza del reato per mancanza delle sue condizioni di configurabilità oggettive quanto allo stesso tenore diffamatorio delle espressioni utilizzate dall’imputato nel suo scritto, indirizzato all’organo competente per la verifica della correttezza professionale degli avvocati. Ed infatti, corrisponde alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità la negata riconducibilità del contenuto dello scritto attribuito all’imputato al reato di diffamazione. Le espressioni utilizzate nell’esposto inviato al Consiglio dell’Ordine dal R. si limitano ad una critica, seppur aspra, alle capacità ed alla condotta professionale della persona offesa e non appaiono esorbitanti da essa, né volte ad un indiscriminato spregio nei suoi confronti. La giurisprudenza di legittimità citata dal giudice di pace nel provvedimento impugnato Sez. 5, n. 33994 del 5/7/2010, Cernoia, Rv. 248422 afferma la configurabilità dell’esimente di cui all’art. 51 c.p., e rileva come sia sempre espressione del legittimo diritto di critica richiedere controlli e verifiche sull’operato di soggetti che hanno peculiari poteri in ragione della professione esercitata in motivazione, si specifica che è sempre necessario, al fine di ritenere l’esimente ed escludere il reato di diffamazione, che nell’esposto non vengano utilizzate espressioni direttamente e smodatamente offensive nei confronti della persona offesa , ma solo, appunto, dubbi e perplessità, che, seppur dovessero poi manifestarsi infondati, non travalicano il confine di un corretto esercizio del diritto di critica. Successivamente, si è espressa in conformità con tali approdi anche Sez. 5, n. 42576 del 20/7/2016, Crimaldi, Rv. 268044 che ha evidenziato come la condotta dell’imputato rientra nell’esercizio del diritto di critica di cui all’art. 51 c.p., qualora questi non abbia inteso divulgare a chicchessia fatti attinenti alla persona offesa oggetto delle proprie censure l’ma solo investire l’organo a ciò deputato della valutazione della correttezza dell’operato del legale. La sentenza citata ribadisce, pertanto, il principio che il Collegio condivide secondo cui non integra il delitto di diffamazione art. 595 c.p. la condotta di chi invii un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessità, sia pur espressi in forma aspra e vibrata, sulla correttezza professionale di un legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., sub specie di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche e sempre che dette espressioni non travalichino i limiti del corretto esercizio di tale diritto. Il principio appare rispettato nel caso di specie, in ragione del fatto che le espressioni utilizzate non travalicano il limite costituito da una sia pur vibrata richiesta di verifica di correttezza professionale all’organo competente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.