L’omessa pronuncia in Cassazione sulle spese può essere emendata tramite la procedura di correzione dell’errore materiale

La procedura di correzione degli errori materiali prevista dall’art. 130 c.p.p. è applicabile alle pronunce della Corte di Cassazione che, dichiarata l’inammissibilità o il rigetto del ricorso dell’imputato, abbiano omesso la statuizione sulle spese giudiziali sostenute dalla parte civile in sede di legittimità, considerato che la relativa statuizione di emenda riveste natura accessoria e obbligatoria .

Questo, in sintesi, il principio espresso dalla Suprema Corte in un caso in cui - per errore - si era omesso di liquidare le spese della parte civile. Tale massima, all’atto pratico, può ritenersi ragionevole, ma come spesso accade per le pronunce della Cassazione bisogna essere sempre assolutamente attenti alla portata di sistema delle ragioni addotte per giustificare il principio di diritto in questione. Da un lato, infatti, la Corte ha correttamente affermato che spettano alla parte civile le spese sostenute per il giudizio di legittimità purché vi sia stata rilevante attività difensiva, ancorché il difensore non sia comparso in udienza o non abbia potuto parteciparvi in quanto si sia proceduto secondo le forme dell’art. 611 c.p.p. in tema di camera di consiglio. Dall’altro, per correggere l’errore non ha potuto non verificare l’effettività della difesa e quantificare l’ammontare della liquidazione in favore della parte civile. Se così è, è sicuramente evidente la natura accessoria della statuizione in questione, ma non anche la sua obbligatorietà. Infatti, per essere tale, il Giudice dovrebbe sempre statuire in favore della parte civile, sol che questo lo richieda o comunque svolga una qualunque attività, ma – come indicato - ciò non è vero, poiché bisogna sempre verificare ciò che è stato fatto e la rilevanza del tutto ai fini della decisione adottata in sede di legittimità. Ma anche a ritenere che ciò sia, ciò che non convince è l’idea secondo cui potrebbe emendarsi solo tramite la procedura in questione correzione dell’errore materiale ogni pronuncia omessa, ancorché in ipotesi dovuta, solo perché accessoria. Ciò, sinceramente, non può ammettersi sic et simpliciter. È ben vero che le Sezioni Unite, con la decisione n. 7945/2008 , hanno esteso anche all’errore omissivo la procedura di correzione materiale, ma nell’effettivo presupposto che il provvedimento omesso fosse da adottare necessariamente, in ragione della res iudicata , e soprattutto che il suo contenuto fosse in effetti predeterminato e, dunque, privo della necessità di valutazioni discrezionali al fine della sua concreta determinazione. Ciò era stato affermato con riferimento al caso, del tutto inequivocabile, secondo cui all’esito del patteggiamento il Giudice è sempre tenuto a liquidare le spese in favore della costituita parte civile, attesa altresì la giurisprudenza costituzionale in merito in tal caso, dunque, non vi era alcuna discrezionalità sull’ an ma al più sul quantum , fermo restando che nel caso de quo il giudice del merito aveva già proceduto alla definizione delle somme spettanti alla parte civile e, dunque, l’atto impugnato non conteneva alcuna omissione, poiché ad essere impugnato era stato appunto il solo provvedimento correttivo dell’omissione. Se così è, è evidente che l’omessa liquidazione delle spese della parte civile in sede di giudizio di cassazione, attesa la complessa giurisprudenza sul punto, non può essere certamente equiparata al caso valutato dalle Sezioni Unite. È però vero che se non vi fosse un qualche strumento per emendare una ingiusta omissione in materia, non essendo di regola impugnabile la decisione di legittimità, la parte civile subirebbe talvolta una ingiustificata compressione dei propri diritti. Dunque, si può ritenere – come indicato – accettabile l’ obiter dictum , purché venga strettamente collegato al giudizio di cassazione e non ci si accontenti” di ritenere, in via generale, come oggetto della correzione dell’errore materiale ogni statuizione accessoria che debba essere oggetto di definizione da parte del Giudice in ragione della decisione principale adottata sulla colpevolezza dell’imputato. Diversamente, come sarebbe facilmente intuibile, i diritti di sindacato da parte dell’accusato sarebbero concretamente ridotti ed il margine di arbitrarietà del giudice inutilmente estesi oltre ogni ragionevole misura. Dopo tutto, anche in questa decisione, la Corte si è affrettata a liquidare le spese di parte civile in una misura piuttosto modesta, ma non ha esplicitato le voci accessorie. Per cui nei complessivi € 500 liquidati, vanno considerati anche le spese generali, la Cassa avvocati e l’IVA? Come si vede, al di là di ogni buona volontà, pur ritenendo di aver riparato agli errori, non sempre terminano le domande, i quesiti e le perplessità.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 marzo – 12 luglio 2019, n. 30743 Presidente De Gregorio – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto Il ricorrente, E.T.M. , parte civile nel procedimento penale contro L.O. , concluso con la sentenza Sez. 5, n. 39795 del 13/5/2015 di rigetto del ricorso dell’imputato e condanna dello stesso, genericamente, al pagamento delle spese processuali, chiede - per il tramite del proprio difensore e procuratore speciale avv. Bartolomei - che sia corretto l’errore materiale relativo a detta sentenza e riferito alla mancata statuizione della condanna alle spese sostenute dalla suddetta parte civile ai sensi dell’art. 130 c.p.p., e art. 535 c.p.p., comma 4. Il ricorso rappresenta che la parte civile era intervenuta nel giudizio di legittimità, depositando una articolata memoria difensiva, pur non partecipando alla discussione in udienza del 13.5.2015, e che tale condizione determina, in ogni caso, il diritto della stessa parte civile alla liquidazione delle spese sostenute, secondo la giurisprudenza di legittimità maggioritaria, e, qualora la relativa statuizione sia stata omessa nella sentenza, la possibilità di porre rimedio a tale omissione procedendo alla correzione dell’errore materiale ai sensi dell’art. 130 c.p.p., secondo quanto statuito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 7945 del 2008, avvalorata, da ultimo, anche dalla decisione delle Sezioni Unite civili n. 16415 del 21/6/2018. Tale modifica meramente materiale, nel caso di specie, è praticabile, non avendo causato l’errore alcuna nullità poiché la sua correzione non comporta una modificazione essenziale del provvedimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e deve procedersi alla correzione dell’errore materiale nei termini di cui si dirà di qui a poco. 2. Anzitutto, devono premettersi alcune considerazioni sul tema del diritto della parte civile a vedersi riconosciuto il pagamento delle spese sostenute nel giudizio di legittimità, poiché, qualora non si ritenesse sussistente tale diritto nel caso del ricorso proposto al Collegio, non vi sarebbe alcuna questione di correzione di errore materiale. Ebbene, aderendo all’orientamento che trova solide basi anche nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 5466 del 28/1/2004, Gallo, Rv. 226716, deve in generale affermarsi che, nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile questo il caso espressamente previsto dalle Sezioni Unite, ma identico principio vale nel caso di rigetto del ricorso dell’imputato , ne va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché questa abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria conformi, su tale indicazione generale, Sez. 2, n. 38713 del 6/6/2014, Smiroldo, Rv. 260520 Sez. 7, ord. n. 7425 del 28/1/2016, Botta, Rv. 265974 Sez. 7, n. 44280 del 13/9/2016, C., Rv. 268139 . Tuttavia, partendo da tale affermazione di ordine generale, svolta per prima dalla sentenza delle Sezioni Unite Gallo citata, la giurisprudenza di legittimità successiva ha sviluppato due differenti soluzioni relative alla effettiva concretizzazione di tale contributo di contrasto della parte civile, ritenendo o meno decisivo il dato che essa sia o meno intervenuta in udienza dinanzi alla Corte di cassazione. Secondo una prospettiva più restrittiva, il diritto alle spese spetterebbe unicamente nel caso in cui la parte civile abbia partecipato all’udienza di legittimità, tramite la rappresentanza giuridica e la presenza fisica del proprio difensore nominato in tal senso si esprimono Sez. 1, n. 41287 del 4/10/2012, Bouichou, Rv. 253613 Sez. 6, n. 17057 del 14/4/2011, Melis, Rv. 250062 Sez. 5, n. 34484 del 7/4/2014, Miglietta, Rv. 261302 Sez. 2, n. 38713 del 6/6/2014, Smiroldo, Rv. 260520 Sez. 5, n. 44396 del 18/6/2015, Benedetti, Rv. 266403 Sez. 5, n. 47553 del 18/9/2015, Giancola, Rv. 265918 Sez. 4, n. 30557 del 7/6/2016, Carfi, Rv. 267690 Sez. 2, n. 52800 del 25/11/2016, Rosati, Rv. 268768 Sez. 5, n. 29481 del 7/5/2018, Rv. 273332 . Una opposta opzione interpretativa, invece, ritiene che ha diritto ad ottenere la liquidazione delle spese sostenute la parte civile che, nel giudizio di legittimità, pur non intervenendo alla discussione in pubblica udienza, depositi memorie conclusive e relativa nota spese, sulla base di quanto disposto dall’art. 541 c.p.p., che prevede un obbligo generale di condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile - in caso di accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento dei danni - svincolato da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza, poiché il D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 12, attribuisce rilievo alla partecipazione in sé alla fase decisionale, senza distinguere tra difese orali e scritte Sez. 4, n. 38227 del 21/6/2018, Albergo, Rv. 273802 Sez. 5, n. 6052 del 30/9/2015, dep. 2016, Migliorini, Rv. 266021 Sez. 5, n. 36805 del 22/6/2015, Bonvissuto, Rv. 264906 . Una terza opzione, infine, che potremmo definire intermedia, ricollega la possibilità di ottenere il pagamento delle spese sostenute nel giudizio non già al dato formale dell’aver o meno presenziato in udienza, piuttosto alla ragione sostanziale di aver effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria Sez. 7, n. 7425 del 28/1/2016, Botta, Rv. 265974 Sez. 7, ord. n. 44280 del 13/9/2016, Rv. 268139 . Tale ultima tesi trova autorevole precedente anche in una decisione delle Sezioni Unite Sez. U, ord. n. 5466 del 28/1/2004, Gallo, Rv. 226716 , con la quale il massimo collegio nomofilattico ha affermato, nell’ambito del procedimento camerale ai sensi degli artt. 610 e 611 c.p.p., il diritto della parte civile a vedersi liquidate le spese sostenute nel giudizio di legittimità, purché la domanda di restituzione o risarcimento del danno sia stata accolta in sede di merito e, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi. Nella ancora attuale ricostruzione proposta dalla pronuncia richiamata, le Sezioni Unite hanno evidenziato come anche una situazione di confronto virtuale tra portatori di confliggenti interessi, che si svolga mediante un contraddittorio solo cartolare e non fisico , può essere rilevante ai fini della valutazione sul diritto o meno ad ottenere la rifusione delle spese sostenute dalla parte civile singole, specifiche operazioni, anch’esse peraltro costituite da attività materiali - quali la consultazione del fascicolo processuale, la redazione di memorie e contromemorie, istanze e simili - possono configurare senza dubbio lo svolgimento di un’attività espressamente diretta alla salvaguardia dalle singole posizioni soggettive in gioco si rammenti che le Sezioni Unite decidevano di un procedimento camerale ex art. 610 c.p.p. e, quindi, anche di quella della parte civile che, con le sue memorie, si contrapponga alle ragioni addotte dal ricorrente imputato, sopportando oneri che esigono un ragionevole ristoro, commisurato alla congruenza ed entità dell’impegno. È bene sottolineare subito l’altro necessario corollario di tale affermazione di principio, chiaramente proposto dalle Sezioni Unite e condiviso dal Collegio l’impegno cui si ricollega il diritto al ristoro delle spese sostenute non può esaurirsi nella pura e semplice presentazione delle richieste finali e della nota spese, ma deve consistere nella prospettazione, a sostegno delle medesime, degli argomenti ritenuti idonei allo scopo di contrastare l’iniziativa dell’imputato, in guisa che risulti evidente la partecipazione non meramente formale, ma effettiva e feconda dell’interessato al processo dialettico in cui si articola anche il particolare rito in considerazione e ciò anche per evitare intenti emulativi. La verifica - secondo la stessa pronuncia delle Sezioni Unite - deve essere condotta in concreto, caso per caso. Le due sentenze della Settima Sezione penale già richiamate si rifanno al precedente delle Sezioni Unite e delibano sulla bontà del contributo difensivo svolto verificando in concreto la sua utilità e, di conseguenza, la possibilità di essere meritevole la parte civile della rifusione delle spese sostenute. Anche un dato normativo conferma la preferibilità della tesi che, senza individuare automatismi negativi o positivi, indica in astratto la sussistenza del diritto del difensore della parte civile a vedersi rifuse le spese sostenute nel giudizio di legittimità anche se non ha partecipato all’udienza sempre che, pur attraverso memorie solo scritte, egli abbia dimostrato un suo utile contributo al processo. E difatti, il D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 12, e le tabelle allegate , modificato dal D.M. 8 marzo 2018, n. 37, attribuisce rilievo, ai fini della determinazione del compenso spettante ai difensori, ad un numero consistente di fattori differenti, tutti concorrenti a ricostruire il contributo difensivo professionale e la partecipazione del patrocinatore di parte civile al procedimento, senza preclusioni di sorta. La norma richiamata stabilisce che il compenso si liquida per fasi distinte in fase di studio introduttiva del giudizio istruttoria o dibattimentale fase decisionale. Quest’ultima - rilevante nel giudizio di cassazione - ingloba in sé, citandole espressamente e non distinguendo in alcun modo tra loro, le difese orali o scritte e, accanto ad esse, elenca poi le repliche, l’assistenza alla discussione delle altre parti processuali sia in camera di consiglio che in udienza pubblica. Dunque, appare evidente che anche la disciplina positiva vada nel senso di una indifferenziazione del contributo difensivo quanto all’an della spettanza del compenso per l’impegno profuso e sempre che tale impegno sia effettivo e in concreto rilevabile, secondo l’impostazione qui preferita , mentre è il quantum a differenziarsi, in ragione della quantità e qualità delle attività svolte. Alcun compenso è dovuto, in tale prospettiva, al difensore della parte civile quando il suo contributo, rappresentato in memoria scritta, non sia stato di alcun ausilio alla tutela degli interessi della parte civile assistita. Nel caso dell’odierno ricorrente, la memoria presentata dalla parte civile ha svolto in modo utile il proprio compito, rappresentando elementi di dibattito centrati sulle questioni oggetto del ricorso ed offrendo una piattaforma argomentativa di contrasto alle ragioni di quest’ultima. L’adesione al secondo o, viepiù, al terzo dei citati orientamenti diviene, pertanto, essenziale al fine di configurare, anzitutto, la possibilità di ritenere sussistente il diritto alla condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile. Ebbene il Collegio ritiene sia effettivamente preferibile l’opzione interpretativa che vuole possibile tale condanna pur in presenza di una partecipazione attuatasi solo mediante la presentazione di memorie utili , le quali pur sempre rientrano in quelle attività dirette a contrastare la avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, alle quali le Sezioni Unite Gallo del 2004 ricollegano il presupposto della liquidazione. Deve affermarsi, quindi, che sussiste il diritto del difensore della parte civile a vedersi rifuse le spese sostenute nel giudizio di legittimità anche se non ha partecipato all’udienza sempre che, pur attraverso memorie solo scritte, egli abbia dimostrato un suo utile contributo al processo. 3. Sciolto tale essenziale presupposto logico, possono essere esaminate le possibilità che alla omessa statuizione dovuta relativa al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile si ponga rimedio mediante la procedura della correzione dell’errore materiale prevista dall’art. 130 c.p.p Ebbene, anche su tale punto si registrano prospettive non univoche nella giurisprudenza di legittimità, nonostante sia intervenuta una pronuncia delle Sezioni Unite nel 2008 orientata ad affermare detta possibilità. Ed infatti, è innegabile che con la sentenza Sez. U, n. 7945 del 31/1/2008, Boccia, Rv. 238426 le Sezioni Unite abbiano ricostruito - dopo una pregevole analisi delle opzioni sul tema presenti sia in dottrina che in giurisprudenza - una nozione di errore materiale nel processo penale molto ampia, secondo cui, la stessa lettera dell’art. 130 c.p.p., lascia intendere che il presupposto essenziale per ammettere la procedura di correzione sia quello che dall’errore non derivi la nullità dell’atto e che la sua rimozione non ne determini una modificazione essenziale, prescindendosi da valutazioni collegate al fatto che esso sia o meno oggetto della effettiva volontà cosciente del giudice. In tal modo, le Sezioni Unite ricollegano la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p., al fatto che tutte le situazioni analizzate siano accomunate dalla realizzabilità dell’integrazione dell’atto mediante operazioni meccaniche di carattere obbligatorio e conseguenziale. Analizzando più nel dettaglio la motivazione delle Sezioni Unite, si percepisce chiaramente che, al di là del caso specifico in cui il principio viene applicato - la sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. - il massimo collegio nomofilattico adotta una chiara posizione interpretativa di ordine generale in favore di una nozione estensiva del concetto stesso di errore materiale emendabile ex art. 130 c.p.p La pronuncia del 2008 ritiene, infatti, che dall’analisi compiuta sulla dottrina e la giurisprudenza in tema, emerga con chiarezza come tale errore venga anzitutto unanimemente ravvisato nell’ipotesi di divergenza manifesta e casuale tra la volontà del giudice e il correlativo mezzo di espressione, che si risolve in una mera irregolarità formale i casi classici dell’errore linguistico e dell’errore evidenziabile immediatamente dal contesto interno dell’atto , da cui non deriva alcuna nullità e la cui emenda non determina una modificazione essenziale dell’atto, con ciò rispettandosi pienamente i parametri dell’art. 130 c.p.p Altra ipotesi che non presenta problemi di applicabilità della procedura di correzione dell’errore materiale è quella in cui la correzione si basi su atti diversi da quello da correggere. Ma la cd. variante qualitativa cui le Sezioni Unite danno maggior valore è proprio quella che ritiene nel novero degli errori emendabili con la procedura correttiva ex art. 130 c.p.p., anche quegli errori omissivi i quali coincidano con una volontà del giudice che, per quanto non esplicitata, tuttavia esprima una statuizione che avrebbe dovuto univocamente formare oggetto della sua volontà decisionale in forza di un obbligo normativo. Tale ipotesi ricorre quando, appunto, si colga la necessità e automaticità dell’intervento correttivo, diretto a esplicitare un comando giudiziale tradito dalla concreta realizzazione espressiva utilizzata dal giudice. In tal caso, secondo le Sezioni Unite, quello che si ricostruisce non è la volontà soggettiva del giudice emergente dallo stesso atto o da atti allo stesso collegati , bensì la sua volontà oggettiva, da considerarsi necessariamente immanente nell’atto per dettato ordinamentale ed è per questo che tale errore rientra senza dubbio nell’area di quello materiale in relazione al quale può procedersi ex art. 130 c.p.p A tale categoria appartengono, come già sottolineato, tutte quelle irregolarità del provvedimento cui sia possibile porre rimedio mediante operazioni meccaniche di carattere obbligatorio e consequenziale e, tra queste oltre che le omissioni previste come specificamente rimediabili dal giudice dell’esecuzione , le ipotesi di correggibilità di cui all’art. 535 c.p.p., comma 4, ed al coordinato disposto dell’art. 546, comma 3, e art. 547 del codice di rito, ovverossia quelle relative a statuizioni che abbiano natura accessoria, rispetto al thema decidendum, della obbligatoria statuizione omessa. Le Sezioni Unite stabiliscono un principio di ordine generale, quindi, che il Collegio ribadisce, in base al quale la omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria ed a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell’atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p. . Del resto, la decisione delle Sezioni Unite del 2008 si ispira ad un orientamento ancor più risalente che dimostra il radicamento della nozione generale di errore materiale emendabile ex art. 130 c.p.p., estesa alle statuizioni accessorie quali sono quelle relative alle spese processuali, espresso dalla sentenza Sez. U, n. 15 del 31/5/2000, Radulovic, Rv. 216705, secondo cui può farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all’art. 130 c.p.p., per emendare la sentenza che abbia erroneamente statuito in tema di condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria per l’inammissibilità, trattandosi di rettifica che non incide sul contenuto intrinseco della decisione ma su una pronuncia consequenziale ed accessoria ad essa, non implicante alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice in tal modo, infatti, si elimina semplicemente una disarmonia tra la manifestazione esteriore del pensiero del giudice costituita dal documento-sentenza e quanto poteva e doveva essere statuito, senza incidere sui suoi processi volitivi o valutativi. 4. Detta impostazione è pienamente condivisa anche da una parte significativa della successiva giurisprudenza di legittimità, in tema di correzione della sentenza della Corte di cassazione che abbia omesso di statuire in merito alle spese sostenute dalla parte civile. Si è affermato, infatti, che la procedura di correzione degli errori materiali art. 130 c.p.p. è applicabile nel caso in cui la Corte di cassazione abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso omettendo la statuizione sulle spese giudiziali sostenute dalla parte civile in sede di legittimità, considerato che detta omissione si concreta in un nocumento ingiusto e non altrimenti emendabile e che la relativa statuizione riveste natura accessoria e obbligatoria e, nella specie, anche consequenziale, nel senso che essa consegue dalle statuizioni principali adottate, in termini agevolmente determinabili sulla base delle stesse Sez. 2, n. 6809 del 2/3/2009, Gottuso, Rv. 233422 Sez. 2, n. 17326 del 24/1/2013, Ciarrapico, Rv. 255534 . Il Collegio intende dar seguito a tale orientamento affermando il seguente principio la procedura di correzione degli errori materiali prevista dall’art. 130 c.p.p., è applicabile alla pronunce della Corte di cassazione che, dichiarata l’inammissibilità o il rigetto del ricorso dell’imputato, abbiano omesso la statuizione sulle spese giudiziali sostenute dalla parte civile in sede di legittimità, considerato che la relativa statuizione di emenda riveste natura accessoria e obbligatoria. La tesi ha trovato condivisibile conferma, sotto un diverso ma speculare profilo, nella sentenza Sez. 5, n. 50066 del 12/10/2016, Leoncino, Rv. 268627 che, con ampia motivazione, rifacendosi alle Sezioni Unite Boccia del 2008, ha spiegato come non sia ricorribile per cassazione la sentenza di patteggiamento che abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, poiché a tale omissione può porsi rimedio mediante la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p., in quanto la condanna alla spese della parte civile ha natura di statuizione accessoria a contenuto predeterminato, in quanto la liquidazione si risolve in una mera operazione tecnico-esecutiva, ancorata a precisi presupposti e parametri oggettivi. Anche con riferimento alle sentenze di merito, si è più volte affermata l’emendabilità mediante procedura di correzione di errore materiale ex art. 130 c.p.p. Sez. 5, n. 51169 del 6/11/2013, De Benedictis, Rv. 257656 Sez. 5, n. 42899 del 24/6/2014, Vizzardi, Rv. 260788 . L’orientamento trova conferma anche in relazione al diverso problema della omessa condanna alle spese sostenute in sede di legittimità, da rifondersi all’imputato dalla parte civile il cui ricorso venga dichiarato inammissibile cfr. Sez. 6, n. 8668 del 5/2/2014, Ambrogiani, Rv. 258812 e Sez. 4, n. 23529 del 8/3/2016, Silvestri, Rv. 266968, nonché con riferimento al principio generale della possibilità di correggere ex art. 130 c.p.p., omesse statuizioni di natura accessoria ed obbligatoria in Sez. 3, n. 39081 del 17/5/2017, De Giudice, Rv. 270793, secondo cui la procedura di correzione degli errori materiali è applicabile alla sentenza di patteggiamento per reati tributari in cui il giudice abbia omesso di disporre la confisca obbligatoria per equivalente ai sensi dell’art. 322 ter c.p Si colloca su un piano, invece, parzialmente differente l’orientamento sinora espresso la recente pronuncia Sez. 5, n. 57028 del 22/10/2018, Aliani, Rv. 274378, secondo cui, nell’ipotesi in cui il giudice di appello condanni la parte civile al pagamento delle spese di costituzione e difesa in giudizio in favore dell’imputato, ma ometta la corrispondente liquidazione, può provvedervi la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l , annullando senza rinvio la sentenza impugnata, atteso che tale attività non comporta l’esame degli atti e la formulazione di giudizi di merito, sulla base dei nuovi poteri conseguenti all’ampliamento della citata disposizione ad opera della L. n. 103 del 2017. Risulta, altresì, una opzione difforme di alcune pronunce, anche di questa stessa Sezione, le cui affermazioni, a volte pur molto argomentate, non possono essere condivise cfr. Sez. 5, n. 13111 del 26/01/2016, Pellegrino, Rv. 267624 - che parte da una visione analoga a quella poi seguita dalla citata Sez. 5, n. 57028 del 2018 - nonché Sez. 4, n. 9579 del 23/4/2015, Carta, Rv. 266175 e Sez. 1, n. 45238 del 28/5/2013, Foggetti, Rv. 257721 Sez. 3, n. 37194 del 2/7/2010, Vignali, Rv. 248562 Sez. 1, n. 41571 del 1/10/2009, Saraceni, Rv. 245053 , poiché limitano l’ottica dell’intervento interpretativo delle Sezioni Unite sulla nozione di errore materiale emendabile ex art. 130 c.p.p., al tema specifico del caso concreto sottoposto alla decisione Sez. U Boccia del 2008, riferito alla sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p., dimenticando l’evidente, inequivoco ragionamento di ordine generale a cui si è fatto ampiamente riferimento. Rappresenta, invece, una linea interpretativa intermedia l’affermazione, contenuta in una pronuncia non recente Sez. 6, n. 18756 del 16/4/2008, Ferrari, Rv. 239938 , ma resa immediatamente dopo la sentenza delle Sezioni Unite Boccia del 2008 - e che tiene conto delle affermazioni del massimo collegio di legittimità - secondo cui non è rimediabile, in sede di legittimità, con la procedura di correzione degli errori materiali la mancata condanna, da parte del giudice di appello, dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, mentre nel caso in cui detta omissione sia incorsa in una sentenza della Corte di cassazione, la correzione dell’errore materiale può essere disposta dalla Corte medesima, nell’osservanza della regola dettata dall’art. 130 c.p.p Anche tale decisione, invero, può senza dubbio inscriversi tra quelle che, quanto meno nel caso di specie, ricollega l’errore materiale emendabile ex art. 130 c.p.p., alle ipotesi in cui, come è nel caso sottoposto al Collegio, la Corte di cassazione abbia omesso la statuizione relativa alla condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in caso di inammissibilità del ricorso dell’imputato. Infine, effettivamente, così come sostenuto dall’istante, anche le Sezioni Unite civili, recentemente, hanno affermato che, dinanzi alla mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza anche emessa ex art. 429 c.p.c. - sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente - la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 c.p.c. e ss., per ottenerne la quantificazione e non agli ordinari mezzi di impugnazione Sez. U, n. 16415 del 21/6/2018, Rv. 649295 . Le Sezioni Unite civili, con una analisi di estrema importanza per dare sostegno alla tesi che il Collegio ritiene preferibile, non a caso si sono richiamate alla giurisprudenza della Cassazione penale ed alla sentenza delle Sezioni Unite n. 7945 del 2008, già ampiamente citata. Le Sezioni Unite civili hanno ripercorso sostanzialmente l’evoluzione dei caratteri identificativi dell’errore materiale già tracciata dalle Sezioni Unite penali e, citato anche la propria sentenza Sez. U, n. 16037 del 2010 che ha ritenuto ammissibile, in materia di omessa statuizione della distrazione delle spese in favore del difensore antistatario, la correzione quando l’omissione investa il solo dispositivo, considerandola più una mancanza materiale che non un vizio di attività o di giudizio da parte del giudice proprio perché la decisione positiva sulla stessa è essenzialmente obbligata, a condizione che nella fattispecie interessata il difensore avesse dichiarato l’anticipazione e formulato la relativa richiesta, e la relativa declaratoria necessaria accedesse nel decisum complessivo della controversia, senza assumere una propria autonomia formale . Su tali basi, anche le Sezioni Unite civili nel 2018 ritengono che la liquidazione delle spese processuali senza dubbio ha natura accessoria nell’economia della decisione, non incidendo sul contenuto sostanziale della stessa, in quanto totalmente estranea al merito del giudizio ed alla pronunzia principale, se non per il rilievo della soccombenza. Essa è necessaria ed obbligatoria, in quanto prevista per legge, dato che l’art. 91 c.p.c., comma 1, prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese in favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare tanto che la condanna al pagamento delle spese processuali deve essere emessa d’ufficio dal giudice, anche in mancanza di un’esplicita richiesta della parte vittoriosa. Si precisa, come detto, che la parte motiva della sentenza deve contenere la statuizione che pone le spese a carico del soccombente, perché solo in tal caso la divergenza fra la motivazione, che regola il carico delle spese fra le parti, ed il dispositivo, in cui è stata omessa la liquidazione delle stesse, rientra nella statuizione principale, e la divergenza non dà luogo a contrasto insanabile fra motivazione e dispositivo, che escluderebbe la procedura di correzione di errore materiale. Secondo le Sezioni Unite civili, una volta che nella motivazione della sentenza il giudice abbia provveduto col porre le spese a carico del soccombente, l’omissione degli importi contenuta nel dispositivo della sentenza deve essere integrata con il procedimento di correzione degli errori materiali, anche perché tale possibilità è funzionale alla realizzazione dei principi costituzionali della ragionevole durata del processo e del giusto processo, che impone al giudice, anche nell’interpretazione dei rimedi processuali, di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della causa, evitando l’inutile dispendio di attività processuali, non giustificate né dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, né da effettive garanzie di difesa. 5. Deve, pertanto, alla luce di quanto sinora esposto, procedersi alla correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza n. 39795 del 13/5/2015 della Quinta Sezione penale della Corte di cassazione apponendovi la seguente frase prima del punto finale nonché alla rifusione in favore della parte civile E.T.M. delle spese sostenute dalla stessa, liquidate in complessivi Euro 500. P.Q.M. Dispone procedersi alla correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza n. 39795 del 13/5/2015 della Quinta Sezione penale della Corte di cassazione, apponendovi la seguente frase prima del punto finale nonché alla rifusione in favore della parte civile E.T.M. delle spese sostenute dalla stessa, liquidate in complessivi Euro 500.