Trattamento degradante in carcere: quando può dirsi raggiunto il livello minimo di gravità?

La Suprema Corte riprende i principi oggetto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di trattamenti inumani o degradanti subiti durante il periodo di detenzione.

Questo il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 30469/19, depositata il 10 luglio. Il fatto. La sezione I della Corte di Cassazione annullava con rinvio l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, accogliendo il reclamo proposto da un detenuto e riconoscendo in suo favore il rimedio riparatorio di cui all’art. 35- ter , ord. pen., in relazione al periodo passato presso il carcere in condizioni degradanti. Il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, in sede di rinvio, accoglieva il reclamo negli stessi termini. A questo punto, Il Ministero della Giustizia propone ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 623 c.p.p. nonché il vizio di motivazione apparente. Trattamenti inumani o degradanti subiti in carcere. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso fondato, rilevando come il ricorso in oggetto denunci una violazione di legge con riguardo sia all’inosservanza dei parametri normativi che hanno indotto la sentenza di annullamento degli Ermellini a cogliere un deficit argomentativo nel provvedimento originario, sia nella prospettiva del carattere apparente della motivazione. Ciò affermato, la Corte osserva come il presupposto del rimedio di cui all’art. 35- ter , ord. pen., coincida con la sussistenza di condizioni detentive tali da violare l’art. 3 della CEDU, poiché riconducibili a trattamenti inumani ovvero degradanti, evidenziando che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha di recente ribadito che l’art. 3 proibisce tali trattamenti indipendentemente dalle circostanze e dal comportamento della vittima, a patto che raggiunga un livello minimo di gravità. La valutazione di tale livello dipende dalle circostanze della causa, come la durata del trattamento, i suoi effetti mentali e fisici, il sesso, l’età e le condizioni di salute della vittima, provocandole una vera e propria lesione personale o comunque una sofferenza fisica o mentale. La Corte di Strasburgo prosegue affermando che anche in assenza delle circostanze anzidette, un trattamento carcerario che umili o svilisca la persona, suscitando in essa condizione di paura o inferiorità, tali da vincere la sua resistenza fisica e morale, può definirsi degradante. Gli Ermellini osservano come in tale prospettiva si collocano anche le regole penitenziarie europee contenute nella Raccomandazione R 2006 2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa. Dopo aver delineato tale quadro normativo e giurisprudenziale, la Corte rileva che, nel caso di specie, la motivazione del provvedimento impugnato non consente di riscontrare nessun trattamento che sia idoneo a comportare una privazione di intensità superiore al livello di sofferenza che discende di per sé dalla detenzione, e nemmeno tale da ledere la dignità umana. Per questo motivo, gli Ermellini annullano il provvedimento impugnato e rinviano gli atti al Tribunale di sorveglianza dell’Aquila.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 marzo – 10 luglio 2019, n. 30469 Presidente Vessichelli – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 16545 del 13/03/2018 la I sezione di questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del 13/06/2017 del Tribunale di sorveglianza di L’Aquila, limitatamente al punto in cui, accogliendo il reclamo proposto da O.F. , aveva riconosciuto in suo favore il rimedio riparatorio di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35-ter l. ord. pen. , in relazione al periodo di detenzione subito presso il carcere di , in cella singola della superficie di 7,70 metri quadrati, con servizi igienici a vista, separati da una tenda plastificata scorrevole. 2. Il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila, con ordinanza del 09/10 02/11/2018, decidendo in sede di rinvio, ha accolto il reclamo negli stessi termini, rilevando che l’assenza di una reale separazione tra i due locali e di un sistema di areazione, aveva realizzato una condizione inumana e degradante. 3. Il Ministero della Giustizia propone ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’art. 623 c.p.p. e motivazione meramente apparente. È stata depositata memoria nell’interesse dell’O. , con la quale si contesta l’ammissibilità e comunque la fondatezza del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è ammissibile e fondato. È certamente esatto che il rimedio risarcitorio di cui all’art. 35-ter, commi 1 e 2, L. ord. pen. si esplica necessariamente mediante il modello procedimentale delineato dal precedente art. 35-bis Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017 - dep. 26/01/2018, Tuttolomondo, Rv. 271650 , con la conseguenza che il ricorso per cassazione è ammissibile solo per violazione di legge, ai sensi del comma 4-bis di quest’ultimo articolo. Ma l’atto di impugnazione denuncia appunto una violazione di legge, sia con riguardo all’inosservanza delle coordinate normative che hanno indotto la sentenza di annullamento di questa Corte a cogliere un palese deficit argomentativo nell’originario provvedimento, sia nella prospettiva del carattere meramente apparente della motivazione. Ciò posto, il ricorso è fondato. L’art. 35-ter L. ord. pen. individua come presupposto del rimedio delineato l’esistenza di condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in quanto riconducibili a trattamenti inumani o degradanti. Tenuto conto della centralità che, nella lettura della portata della Convenzione, assume la giurisprudenza della Corte di Strasburgo v., a puro titolo esemplificativo, Corte Cost. 26/04/2015, n. 49 , occorre considerare che, come anche di recente ribadito Corte Europea dei diritti dell’uomo, 12/03/2015, Muri c. Croazia , l’art. 3 proibisce, in termini assoluti, la tortura o le pene o i trattamenti inumani o degradanti, indipendentemente dalle circostanze e dal comportamento della vittima, fermo restando che il maltrattamento, per assumere rilievo ai fini della previsione convenzionale, deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale livello minimo è relativa dipende da tutte le circostanze della causa, quali la durata del trattamento, i suoi effetti fisici e mentali e, in alcuni casi, il sesso, l’età e le condizioni di salute della vittima. La Corte, nella sentenza appena citata, ha aggiunto par. 49 che il maltrattamento che raggiunge tale livello minimo di gravità comporta generalmente una effettiva lesione personale o un’intensa sofferenza fisica o mentale. Tuttavia, anche in assenza di tali circostanze, un trattamento che umili o svilisca la persona, mostrando mancanza di rispetto o sminuendo la sua dignità umana, o che susciti sensazioni di paura, angoscia, o inferiorità, tali da vincere la sua resistenza morale e fisica, può essere definito degradante e rientrare anch’esso nell’ambito della proibizione prevista dall’art. 3. Ancora, si è sottolineato che la sofferenza e l’umiliazione in questione devono in ogni caso eccedere l’inevitabile componente di sofferenza e umiliazione connessa alla detenzione. Lo Stato deve assicurare che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità e il metodo di esecuzione della pena non sottopongano la persona a dolori o privazioni d’intensità superiore al livello di sofferenza che discende, inevitabilmente, dalla detenzione, e che, date le esigenze di ordine pratico della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente garantiti. In tale contesto, si collocano le regole penitenziarie Europee European Prison Rules , oggetto della Raccomandazione R 2006 2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa, che, anche nella versione più recente, circoscrive nei termini seguenti le regole igieniche da osservare nei luoghi di detenzione art. 19 Tutti i locali di ciascun carcere devono essere mantenuti in perfetto stato e sempre puliti. 2. Le celle e gli altri locali assegnati ad un detenuto al momento della sua incarcerazione devono essere puliti. 3. I detenuti devono disporre di un accesso immediato ai servizi igienici che siano salubri e rispettino la loro intimità. 4. Devono essere previste strutture adeguate affinché ciascun detenuto possa usufruire di bagni e docce a temperatura adattata al clima, se possibile giornalmente, ma almeno due volte alla settimana o più frequentemente se necessario , conformemente ai principi generali di igiene. 5. I detenuti devono occuparsi dell’igiene personale, della pulizia dei loro abiti e della cella. 6. Le autorità penitenziarie devono fornire loro i mezzi necessari, segnatamente gli articoli da toilette, gli utensili e i prodotti di pulizia. 7. Speciali provvedimenti devono essere adottati per rispondere alle necessità igieniche delle donne . Anche in una dimensione più ampia, si osserva che le United Nations Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners the Mandela Rules , A/C.3/70/L.3, 29 September 2015, nella regola n. 15, si limitano a prevedere che le installazioni sanitarie siano adeguate a garantire il soddisfacimento delle esigenze naturali, quando necessario, in condizioni di pulizia e di decenza. In siffatto contesto di riferimento, la motivazione del provvedimento impugnato che valorizza la mera esistenza di una separazione mobile tra l’area occupata dai servizi igienici e il resto di una cella singola di oltre sette metri quadri e pur in difetto di un autonomo impianto di areazione, non consente di ravvisare alcun trattamento idoneo a comportare privazioni d’intensità superiore al livello di sofferenza che discende, inevitabilmente, dalla detenzione e a ledere la dignità dell’individuo. In altri termini, essa reitera le stesse carenze argomentative, rispetto al quadro normativo sopra ricordato, che già avevano indotto questa Corte a disporre il ricordato annullamento con rinvio v., per il principio, Sez. 2, n. 1726 del 05/12/2017 - dep. 16/01/2018, Liverani, Rv. 271696 . Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di L’Aquila per nuovo esame.