Prostituzione: rileva l’attività di induzione e non il mutamento del luogo di svolgimento della stessa

Ai fini della condotta di reato, rileva l’induzione della prostituta a trasferirsi dal luogo di residenza abituale e non la modifica del luogo di svolgimento dell’attività.

Questa la decisione della Corte di Cassazione n. 28369/19, depositata il 1° luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Torino riformava parzialmente la pronuncia del GUP, riducendo la pena inflitta all’imputato per i reati di induzione di un numero imprecisato di donne a trasferirsi dal luogo di abituale residenza per esercitare la prostituzione nonché per i reati di favoreggiamento e sfruttamento della stessa. Avverso la suddetta decisione, l’imputato propone ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge penale, in quanto egli avrebbe semplicemente prospettato condizioni di migliore sistemazione alloggiativa alle donne, essendo in tale quadro il mutamento del luogo di prostituzione al di fuori del perimetro della norma incriminatrice, e deducendo la violazione del divieto di reformatio in pejus . L’induzione della prostituta a trasferirsi dal luogo di residenza abituale. Gli Ermellini dichiarano il primo motivo di ricorso inammissibile, osservando che ciò che rileva ai fini della condotta di reato è l’induzione della prostituta a trasferirsi dal luogo della residenza abituale e non la modifica del luogo di svolgimento dell’attività di prostituzione, poiché la ratio della norma è quella di reprimere la diffusione di questa attività, a nulla rilevando che il soggetto indotto a trasferirsi sia già dedito alla prostituzione. Ciò che conta, dunque, è che egli sia indotto” dal soggetto agente, circostanza non contestata nel caso concreto. Divieto di reformatio in pejus. La Suprema Corte accoglie, invece, il secondo motivo di ricorso, affermando che in tema di reformatio in pejus , a seguito di impugnazione proposta dall’imputato, il giudice dell’appello non può fissare la pena base in misura maggiore rispetto a quella determinata dal giudice di primo grado, anche qualora riconosca una circostanza attenuante e irroghi una sanzione complessivamente inferiore rispetto a quella già applicata. Nel caso di specie, il Giudice di primo grado partiva da una pena base di 8 anni di reclusione, il Giudice dell’Appello, dunque, ha violato il suddetto divieto laddove, avendo riconosciuto le circostanze di cui all’art. 62- bis c.p. in misura equivalente all’aggravante contestata, ha fissato la pena base in anni 5 di reclusione, misura superiore a quella inflitta in primo grado 4 anni di reclusione . Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 aprile – 1 luglio 2019, n. 28369 Presidente Lapalorcia – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Cuneo, appellata da T.P. , previa assoluzione dal reato di cui alla L. 75 del 1958, art. 3, n. 5 e 7, di cui ai capi 1 , H , I , perché il fatto non sussiste, e previa dichiarazione di non doversi procedere in relazione ai capi 2 , 4 , 5 , 6 , 7 , 8 , 9 , 10 , 11 , 12 , G , L ed N , nonché i reati di cui ai capi A , B , C , D , E ed F , previa qualificazione ai sensi degli artt. 624 e 625 c.p., perché estinti per prescrizione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza sulla circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, unificati i reati dal vincolo della continuazione e applicata la diminuente per il rito abbreviato, ha ridotto la pena inflitta al T. , in relazione alle residue imputazioni di cui ai capi 1 , H e I , nella misura di anni quattro di reclusione e Euro 4.000,00 di multa. La condanna dell’imputato, all’esito della pronuncia assolutoria e della dichiarazione di non doversi procedere per estinzioni dei reati, è stato confermata in relazione al reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2 e L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 6 e 8 e art. 4, n. 7, in relazione all’induzione di un numero imprecisato di donne a trasferirsi dal luogo di abituale residenza, al fine di esercitare la prostituzione, nonché della condotta di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di un numero imprecisato di donne, fatti contestati nel capi 1 , in e altrove in epoca prossima al omissis capo 3 , in omissis capo H , in omissis capo I , in omissis . La pena, per effetto delle riconosciute circostanze attenuanti generiche in misura equivalente, è stata così determinata pena base per il reato di cui al capo 1 , in anni cinque di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa, aumentata per la continuazione interna di mesi sei di reclusione e Euro 1.000,00 di multa, aumentata di mesi tre di reclusione e Euro 500,00 di multa per ciascuno dei capi H e I , e così pena finale, di anni sei dei reclusione e Euro 6.000,00 di multa, ridotta per effetto della diminuente per il rito abbreviato, alla pena di anni quattro di reclusione e Euro 4.000,00 di multa. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il difensore dell’imputato e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. - Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e in relazione all’erronea applicazione della legge penale e segnatamente della L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 6. L’imputato avrebbe unicamente prospettato condizioni di migliore sistemazione alloggiativa alle donne, e in tale ambito il mutamento del luogo di prostituzione sarebbe al di fuori dal perimetro della norma penale incriminatrice, dal momento che ciò che la norma penale mira ad evitare è la proliferazione dell’attività di prostituzione, ma non di reprimere il mutamento del luogo di svolgimento di questa. - Violazione dell’art. 598 c.p.p. e del divieto di reformatio in peius. La Corte d’appello, nella rideterminazione del trattamento sanzionatorio avrebbe determinato la pena base, per il reato più grave di cui al capo 1 , in anni cinque di reclusione, mentre il giudice di primo grado l’aveva individuata in quella di anni quattro di reclusione anni otto di reclusione comprensiva dell’aumento della circostanza di cui alla citata Legge, art. 4, n. 7 che è determinato in misura fissa della metà la pena è raddoppiata . 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato con limitato riguardo al secondo motivo. Nel resto è manifestamente infondato e va, pertanto, dichiarato inammissibile. 5. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso con cui il ricorrente denuncia la violazione della legge penale in relazione all’erronea applicazione della L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 6, che punisce la condotta di induzione a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque in luogo diverso da quello della sua abituale residenza, al fine di esercitarvi la prostituzione, ovvero si intrometta per agevolarne la partenza . Come osservato dalla pronuncia Sez. 6 n. 81 del 23/11/2004, Tahiri, Rv. 230776 - 01 , la norma è esclusivamente finalizzata ad impedire l’induzione e la diffusione della prostituzione e sanziona la condotta di colui che induce taluno a recarsi nel territorio di altro Stato, o comunque in luogo diverso da quello della residenza abituale, per esercitarvi la prostituzione in precedenza Sez. 3, n. 8358 del 10/05/2000, Consoli, Rv. 217082 - 01 . Dunque, la condotta attiene non all’induzione alla prostituzione, che è punita dall’art. 3, n. 5 cit., ma al trasferimento della prostituta nel territorio dello Stato o, come nel caso di specie, dal luogo ove risiede, ad altro luogo ove la persona eserciterà la prostituzione. In tale ambito, ciò che rileva, ai fini dell’integrazione della condotta di reato, è l’induzione della prostituta a trasferirsi dal luogo della residenza abituale e non il mutamento del luogo di svolgimento dell’attività di prostituzione, e ciò in correlazione con la ratio della norma che è quella di reprimere la diffusione sul territorio dell’attività di prostituzione sempre indotta da terzi e non liberamente svolta , poiché dal trasferimento dal luogo di residenza deriva una diffusione della prostituzione, a nulla rilevando, come sostiene il ricorrente, l’ulteriore fine migliore situazione alloggiativa , né, parimenti, rileva che il soggetto indotto a trasferirsi dalla residenza abituale, ad un luogo diverso, sia già dedito alla prostituzione, purché il trasferimento sia indotto dal soggetto agente, circostanza che, qui, non viene contestata. Dunque, si deve affermare che la condotta della L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 6, punisce l’induzione di taluno a recarsi nel territorio di altro Stato, o comunque in luogo diverso da quello della residenza abituale, per esercitarvi la prostituzione, restando fuori dal perimetro della norma il mutamento del luogo di svolgimento della prostituzione. A corretta decisione sono giunti i giudici del merito che, sulla scorta dell’accertamento di fatto, insindacabile in questa sede in presenza di una motivazione congrua e non contestata, hanno ritenuto l’imputato responsabile del reato in questione avendo arruolato donne brasiliane alle quali forniva sistemazione alloggiativa in Torino capo 1 , Torino e Cuneo capo H e Cuneo capo I , ove si trasferivano dal luogo di abituale residenza, hanno ritenuto integrato il reato contestato sul rilevo del trasferimento della prostituta dal luogo di abituale residenza pag. 19 , a diverso luogo ove la stessa avrebbe esercitato la prostituzione. 6. È fondato il secondo motivo di ricorso. La corte territoriale è pervenuta alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio, per effetto delle pronunce assolutorie e di prescrizione, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla circostanza aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7, in violazione del divieto di reformatio in peius con riguardo alla pena base, determinata in anni cinque di reclusione per il reato di cui al capo A , in misura superiore a quella inflitta in primo grado, nella misura di anni quattro di reclusione la pena era determinata, dal primo giudice, in anni otto di reclusione comprensiva dell’aumento dell’aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7, che prevede un’aggravante nella misura della metà , sicché la pena base era di anni quattro di reclusione . È pacifico che, in tema di divieto di reformatio in peius, a seguito di impugnativa proposta dal solo imputato, il giudice dell’appello, anche quando riconosca una circostanza attenuante e di conseguenza irroghi una sanzione complessiva inferiore rispetto a quella già applicata, non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata dal giudice di primo grado Sez. 3, n. 17731 del 15/02/2018, Balzano, Rv. 272779 - 01 Sez. 3, n. 3903 del 13/05/2014, Tufano, Rv. 263193 - 01 . E ciò in quanto, il divieto di reformatio in peius in appello, in assenza di gravame proposto dalla parte pubblica, riguarda non soltanto il risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena, sicché, in caso di accoglimento dell’appello dell’imputato in ordine al mancato riconoscimento di circostanze attenuanti discende non solo l’obbligatoria diminuzione della pena complessiva, ma anche l’impossibilità di elevare la pena riferita ai singoli elementi presi in considerazione per la sua determinazione Sez. 5, n. 14991, del 18/05/2012, Strisciuglio, Rv. 252326 - 01 S.U. n. 40910 del 27/09/2005, William Morales, Rv. 232066 . Poiché nel caso che ora interessa, il giudice di primo grado era partito da una pena base - già comprensiva dell’aumento per la circostanza aggravante ex L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7, che ha misura fissa della metà - di anni otto di reclusione, è evidente che il giudice di appello ha violato il divieto di reformatio in peius, laddove, previo riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62-bis c.p. in misura equivalente alla contestata aggravante, ha determinato la pena base nella misura di anni cinque di reclusione, pena superiore a quella inflitta in primo grado di anni quattro di reclusione. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino che si atterrà all’esposto principio di diritto. Nel resto il ricorso è inammissibile e, ai sensi dell’art. 624 c.p.p., deve essere affermata l’irrevocabilità della pronuncia di affermazione della responsabilità penale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino per nuovo esame sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.