Sulla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza

La diversità del fatto accertato in giudizio da quello contestato viola i principi dell’immutabilità dell’accusa e del contraddittorio, nonché del diritto di difesa, obbligando il giudice a trasmettere gli atti al PM.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 28375/19, depositata il 1° luglio. Il caso. La Corte d’Appello dichiarava nulla la sentenza emessa in primo grado sostenendo che, a fronte della contestazione dei reati di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 per illecita detenzione di stupefacenti, l’imputato era stato invece condannato per il reato più grave di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990 in violazione dell’art. 521 c.p.p Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello ricorre avverso tale decisione argomentando che sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo quando tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza ricorra un rapporto di eterogeneità o incompatibilità sostanziale. Correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza. Secondo costante giurisprudenza di legittimità, la diversità tra fatto accertato in giudizio e quello contestato viola i principi dell’immutabilità dell’accusa e del contraddittorio, nonché del diritto di difesa, obbligando il giudice a trasmettere gli atti al PM. A ciò consegue che l’immutazione del fatto può essere dichiarata per la prima volta anche nel giudizio di appello. Nel caso in esame, dunque, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che tale immutazione dell’imputazione integrasse la violazione dell’art. 521 c.p.p., annullando la sentenza del Tribunale. A ciò consegue che il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, ex art. 521 c.p.p., è violato nell’ipotesi in cui l’imputato, chiamato in giudizio con l’accusa del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, venga condannato per il diverso reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990. E proprio perché ciò è avvenuto nel caso in esame, il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 aprile – 1 luglio 2019, n. 28375 Presidente Izzo – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25/06/2018, la Corte di appello di L’Aquila dichiarava la nullità, ai sensi dell’art. 604 c.p.p., della sentenza emessa in data 15.12.2016 dal Tribunale di Teramo. La ratio decidendi si fondava sul rilievo che, a fronte della contestazione dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per illecite detenzioni di sostanze stupefacenti, l’imputato era stato, invece, condannato per il più grave reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, in violazione dell’art. 521 c.p.p 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di L’Aquila, deducendo violazione di legge in relazione all’art. 521 c.p.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 argomentando che sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo quando tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale nella specie, non ricorreva il predetto presupposto in quanto nell’imputazione era stata contestata un’ipotesi non attenuata pur erroneamente rubricata quale ipotesi delittuosa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Deve osservarsi, in via preliminare, che, alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, la diversità del fatto accertato in giudizio da quello contestato viola i principi dell’immutabilità dell’accusa e del contraddittorio, quali espressione del più generale diritto di difesa, ed obbliga il giudice, a norma dell’art. 521 c.p.p. - e a pena di nullità ex art. 522 c.p.p. - a trasmettere gli atti al Pubblico ministero. Ne consegue che l’immutazione del fatto può essere riconosciuta e dichiarata per la prima volta anche nel giudizio di appello, poiché le due norme sono richiamate, implicitamente, dall’art. 598 c.p.p., che impone l’osservanza delle disposizioni relative al giudizio di primo grado, ed esplicitamente dall’art. 604 c.p.p., che postula la nullità della sentenza per violazione dell’art. 522 c.p.p. Sez. 5, n. 9431 del 17/5/1996, Rv. 205922 più di recente, v. Sez. 4, n. 18135 del 9/2/2010, Rv. 247533 . Nel ricorrere di tale evenienza, ovviamente, la sentenza ha natura meramente processuale, perché non si pronuncia sul fatto accertato, ed è soggetta a ricorso per cassazione, sempre che sussista un concreto interesse della parte ad impugnare Sez. 2, n. 38814 del 28/3/2017, Rv. 271034 Sez. Un., n. 29529 del 25/6/2009, Rv. 244108 . 3. Nella specie, a F.A. erano stati contestati i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, capi a e b ed il Tribunale, ritenuto il reato di cui al capo b assorbito nel reato di cui al capo a , affermava la penale responsabilità dell’imputato, riqualificando il reato di cui al capo a quale reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4. 4. La Corte territoriale, correttamente, riteneva che tale immutazione dell’imputazione integrasse la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. ed annullava la sentenza del Tribunale, in base al disposto dell’art. 604 c.p.p 5. Va osservato che la nuova ipotesi lieve di condotta illecita in tema di sostanze stupefacenti, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 come modificato dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 2 convertito nella L. 21 febbraio 2014, n. 10, si configura come ipotesi di reato autonomo, con una pena unica ed indifferenziata, quanto alla tipologia di stupefacente, rispetto a quella delineata dall’art. 73, comma 1 del medesimo decreto cfr Sez. 3, n. 11110 del 25/02/2014, Kiogwu, cit. Sez. 6, n. 5143 del 16/01/2014, Skiri Mourad, Rv. 258773 Sez. 6, n. 9892 del 28/01/2014, Bassetti, Rv. 259352 tra le più recenti Sez. 4, n. 36078 del 06/07/2017, Dubini, Rv. 270806 Sez. 4, n. 30238 del 10/05/2017, Tontini, Rv. 270190, e, da ultimo, Sez.0 n. 51063 del 27/09/2018, Rv.274076, che ha affermato che il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, così come riformulato dal D.L. 20 marzo 2014, n. 36, conv. con modificazioni dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, prevede un’unica figura di reato, alternativamente integrata dalla consumazione di una delle condotte tipizzate, quale che sia la classificazione tabellare dello stupefacente che ne costituisce l’oggetto . Le due fattispecie criminose differiscono tra loro per l’elemento della condotta, che, nell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, si caratterizza per la minima offensività penale, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione mezzi, modalità, circostanze dell’azione e l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione cfr Sez. U n. 51063 del 27/09/2018, Rv.274076, cit. . Orbene, il perimetro della difesa dell’imputato, tenuto conto dei connotati strutturali della condotta che qualificano il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, rispetto a quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, non si è potuto sviluppare integralmente, essendo stati i fatti riqualificati in termini ampliativi e non riduttivi rispetto agli elementi tipizzanti la condotta della originaria fattispecie e sulla quale l’imputato aveva apprestato le proprie difese né il passaggio da una ipotesi di fatto lieve a quella di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, costituiva una evenienza prevedibile. Ne consegue l’affermazione che il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui all’art. 521 c.p.p., è violato nel caso in cui l’imputato, tratto a giudizio con l’accusa del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, sia condannato per il diverso reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, come avvenuto nella fattispecie in esame. La sentenza impugnata, pertanto, è esente da censure. 6. Ne consegue, quindi, il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.