È incostituzionale, in caso di condanna, l’automatica sospensione della responsabilità genitoriale?

E’ rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, comma 3, 30, 31, Cost. nonché all’art. 10 Cost. in relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 176/1991, la questione relativa alla conformità a Costituzione degli artt. 34 e 574-bis c.p., nella parte in cui impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla norma penale da ultimo citata commessi dal genitore in danno del figlio minore consegua, automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Sulla base di tali dubbi di costituzionalità, la Suprema Corte rimette gli atti alla Consulta, in quanto l’applicazione automatica della pena accessoria prevista dall’art. 574- bis , comma 3, c.p., esclude qualunque valutazione discrezionale da parte del giudice in ordine all’interesse del minorenne nel caso concreto, e quindi di bilanciare i diversi interessi in gioco, laddove assumono preminenza i diritti inviolabili del fanciullo di crescere con i genitori salvo che questi comporti un grave pregiudizio. La fattispecie concreta. Nel caso di specie una donna veniva condannata per aver eluso il provvedimento del Tribunale per i minorenni di Firenze sull’affidamento condiviso dei due figli minori art. 388, comma 2, c.p. e per aver sottratto i medesimi al padre, portandoli in Austria contro la volontà di quest’ultimo, impedendogli l’esercizio della potestà genitoriale 574-bis c.p. con conseguente automatica applicazione della sospensione della responsabilità genitoriale e, sempre automaticamente, l’art. 34, comma 2, c.p., determina la misura della sospensione per un periodo di tempo doppio della pena inflitta nel caso di delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale. Un passo indietro l’esigenza di incriminazione della sottrazione all’estero. Prima di addentrarci nel cuore della quaestio affrontata dagli Ermellini, preme rilevare come l’art. 574- bis c.p. punisce la sottrazione e/o trattamento all’estero dei figli minori. La forte esigenza di politica criminale di punite tali condotta è testimoniata anche dal fatto che esso è l’unico dei reati per cui si procede d’ufficio. La norma, che in effetti incrimina fatti che comunque avrebbero raggiunto la soglia della tipicità ai sensi delle precedenti disposizioni del codice penale, aggravandone la pena, sottolinea il maggior disvalore di un fenomeno sempre più frequente, soprattutto per l’aumento delle unioni miste e per la maggiore mobilità della popolazione. Non bastano i rimedi civilistici. Il problema dei bambini contesi, solitamente portati all’estero da un genitore di nazionalità straniera, in ambito civilistico è stato regolato dalla normativa sovrannazionale con la previsione di procedure di cooperazione e assistenza internazionale Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 Regolamento Cee 2001/2003 del 27 novembre 2003 in ambito regionale europeo, la Convenzione europea su riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori, elaborata dal Consiglio d’Europa e aperta alla firma il 20 maggio 1980 . La Cedu e il bilanciamento degli interessi in gioco. La copiosa e vasta giurisprudenza della Corte EDU riconosce, all’uopo, l’esistenza di un obbligo positivo per gli Stati, ai sensi dell’art. 8 Cedu, di adottare, sulla base della Convenzione dell’Aja del 1980, tutte le misure che possono essere ragionevolmente pretese, in un bilanciamento degli interessi in gioco, per riunire i genitori ai figli. In una prospettiva penalistica l’incriminazione della sottrazione internazionale di minori rappresenta comunque una scelta condivisa e diffusa di politica criminale europea che ruota intorno all’esigenza di tutelare i fondamentali diritti del fanciullo. Ed è sempre su tale bilanciamento che, come vedremo, si regge pure l’apparato sanzionatorio in ambito penale. Torniamo al ricorso il reato sussiste anche se c’è il consenso dei minorenni. Tutti i motivi di ricorso vengono dichiarati infondati. In particolare, anche quello che escludeva la configurabilità del reato dal consenso dei minorenni. Su quest’ultimo punto, per la costante giurisprudenza della Suprema Corte le fattispecie incriminatrici della mancata esecuzione di un provvedimento del Giudice civile che sia per la sottrazione di minore, l’unico motivo plausibile che può costituire valida esclusione della colpevolezza è quello che, pur senza configurare lo stato di necessità, è determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore, in situazioni transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla. Pertanto, il bilanciamento in ordine all’ an della punibilità non è dato dal consenso o meno dei figli minori ma all’esistenza di concrete e fondate situazioni di grave pregiudizio per gli stessi. L’automaticità della pena accessoria è a sospetto di costituzionalità. La Sesta Sezione di Cassazione ritiene invece fondata la questione di costituzionalità degli art. 574, comma 3 e 34, comma 2, c.p., laddove prevedono che alla condanna per il reato di sottrazione internazionale di minori venga automaticamente sospesa la responsabilità genitoriale, peraltro in misura fissa periodo doppio alla pena inflitta . Al Giudice non viene quindi lasciato alcun margine discrezionale né con riferimento all’ an dell’applicazione della pena accessoria, né con riferimento al quantum della stessa. Tale disciplina sembra porsi in contrasto con tutte i parametri costituzionali che riconoscono una tutela preminente dei diritti del minori art. 2 nel novero dei diritti fondamentali rientrano a fortiori quelli dei minorenni , 30, 31 della Cost., nonché attraverso l’interposizione dell’art. 10 Cost. con l’art. 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che impegna gli Stati parte ad impegnarsi a rispettare il diritto dei minori alla propria identità, comprese le relazioni familiari a cui fa il paio anche la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciullo adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 . Disciplina irragionevole per quanto riguarda l’an” della pena accessoria Da tale fonti emerge chiaramente come 1 in tutte le decisioni relative ai minorenni devono considerarsi il preminente interesse degli stessi 2 i provvedimenti che incidono sulla responsabilità genitoriale possono giustificarsi solo se non contrastano l’esigenza di tutelare i minori. La Suprema Corte dubita, sotto l’angolo visuale dell’art. 3 Cost., della ragionevolezza dell’automaticità dell’applicazione della pena accessoria della sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale, in quanto che ciò impedisce al giudice di valutare la corrispondenza tra tale sospensione e gli interessi dei minorenni, così negando la possibilità di effettuare un diverso bilanciamento tra i diritti di questi ultimi e le esigenze punitive dello Stato verso i genitori. Il precedente costituzionale il Giudice deve valutare in concreto il bilanciamento dei diversi interessi. Viene in merito citata la sentenza n. 31/2012 nella quale la Consulta dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 569 c.p. nella parte in cui stabilisce che in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il reato di alterazione di stato ex art. 567 c.p. consegua automaticamente la perdita della responsabilità genitoriale, perché preclude al giudice di valutare l’interesse del minorenne nel caso concreto non comportando tale delitto alcuna presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minorenne per cui il giudice deve poter valutare in concreto la inidoneità del genitore all’esercizio della responsabilità genitoriale. La questione odierna sembra essere legata dallo stesso filo conduttore l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione della potestà genitoriale prevista dall’art. 574, comma 3, c.p. esclude qualsivoglia valutazione discrezionale da parte del giudice in ordine all’interesse del minorenne nel caso concreto e, quindi, la possibilità di bilanciamento tra la tutela dei diritti inviolabili dei fanciulli di crescere con i propri genitori, salvo che ciò comporti un grave pregiudizio considerando che, come nel caso deciso dalla sentenza n. 31 del 2012, il delitto di sottrazione di minore all’estero non comporta una presunzione assoluto per gli interessi del minorenne tale valutazione viene esclusa invece a monte dal legislatore per quei reati nei quali si può presumere che tale pregiudizio sia in nuce, come ai delitti di violenza sessuale o maltrattamento commessi dal genitore ai danni dei minori stessi . ed in contrasto con la funzione rieducativa della pena per il quantum”. I Giudici di legittimità ribadiscono che le pene accessorie hanno una funzione rieducativa a condizione che non siano sproporzionate per eccesso al concreto disvalore del fatto di reato o scollegato a tale disvalore . Sul punto la Corte Costituzionale, superando il rigido self restraint , ha caducato norme che prevedevano applicazioni automatiche di pene accessorie, come la decadenza della potestà genitoriale sentenza nn. 7/2013 e 31/2012 o la revoca della patente di guida sentenza n. 22 del 2018 valorizzando i principi di proporzionalità e adeguatezza della pena ai fatti di reato. Se tutte queste decisioni hanno riguardato l’ an della pena accessoria, più di recente, la pronuncia n. 222/2018 si è soffermata solo sul quantum della stessa dichiarando la illegittimità costituzionale della normativa fallimentare che sanciva il carattere fisso della durata decennale delle pene previste, in quanto superato il limite della manifesta irragionevolezza delle scelte legislative laddove le pene risultano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del reato al quale sono agganciate. E la stessa intenzione del legislatore era cristallizzata nella legge Orlando laddove nei criteri della delega poi non esercitata rilasciata al Governo, si sottolineava di procedere alla revisione delle pene accessorie escludendo che durata possa essere superiore comunque alla durata della pena principale mentre il 574, comma 3, c.p., prevede il quantum fisso nel doppio della pena inflitta . Gli scenari dinanzi alla Consulta. Le questioni in ordine all’ an e al quantum sembrano destinate ad essere accolte dalla Corte Costituzionale. Con riguardo all’ an occorre una valutazione in concreto del Giudice prima di sospendere la potestà genitoriale che salvaguardi il preminente interesse del minore quindi l’automatismo dell’art. 574, comma 3, c.p. è destinato a cadere . Con riferimento al quantum , l’incostituzionalità riguarda un duplice profilo 1 sia quello della automaticità dell’ammontare fisso imposto al Giudice, anziché prevedere una cornice edittale della durata della pena accessoria tra un minimo ed un massimo all’interno del quale si innesta la valutazione del giudice, ancorata alla gravità del fatto di reato 2 sia con riferimento al tetto della pena fissa, troppo elevato già in astratto in quanto sproporzionato a monte e in contrasto con la riuscita della funzione rieducativa anche della pena accessoria. Scenari futuri agganciare la decadenza della responsabilità genitoriale solo alle condotte pregiudizievoli per i figli. Una riflessione di più ampio respiro porta a tacciare di illegittimità costituzionale quegli automatismi che prevedono la sospensione della responsabilità genitoriale in caso di delitti particolarmente gravi commessi contro la persona ovvero nel caso di delitti puniti con l’ergastolo. Occorre invece agganciare la pena accessoria al preminente interesse del minore e al suo grave e diretto” pregiudizio che, ove non presente, subirebbe una illegittima compressione dei propri diritti oltre che il diritto del genitore in stato di detenzione a partecipare alla vita del figlio. In tale direzione si segnala una recente pronuncia del Tribunale per i minorenni di Caltanissetta che con decreto del 18 gennaio 2019 occupandosi del passaggio successivo della decadenza della responsabilità genitoriale dopo che il padre era stato condannato in sede penale alla pena accessoria della stessa responsabilità genitoriale ha ritenuto che non vi fossero sussistenti condotte pregiudizievoli del padre in danno ai figli e, di conseguenza, non ha dichiarato il padre decaduto della potestà genitoriale sulla prole. Il Tribunale è arrivato a questa conclusione in quanto, dalla audizione dei minori, dalla relazione dei servizi sociali e dalla dichiarazione della madre dei minori, era emerso il legame positivo tra i minori e il padre il quale si era sempre occupato dei figli sin dalla loro nascita, intrattenendo anche durante la detenzione costanti contatti telefonici nonché rapporti personali diretti durante le frequenti visite in carcere. Nessuna decadenza automatica, dunque, neanche quando la condanna comporta la pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, se il detenuto è una brava madre o un bravo padre. Tale valutazione andrebbe anticipata, anche per armonizzare l’intero ordinamento giuridico, alla fase relativa all’applicazione o meno nel processo penale della sanzione accessoria sulla responsabilità genitoriale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ordinanza 22 gennaio – 21 giugno 2019, n. 27705 Presidente Fidelbo – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30 aprile 2016 il Tribunale di Grosseto condannava F.A. alla pena di due anni e un mese di reclusione, per avere eluso, in più occasioni, il provvedimento del Tribunale dei minorenni di Firenze in ordine all’affidamento condiviso dei figli minori N.E. e D. art. 81 c.p., comma 2, e art. 388 c.p., comma 2 e per avere sottratto i medesimi figli minori al padre, N.R. , portandoli in Austria contro la volontà di quest’ultimo, al quale veniva così impedito l’esercizio della potestà genitoriale art. 81 cpv. e 574-bis c.p. l’imputata, assolta da altri due reati, veniva condannata anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile e nei suoi confronti era applicata la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’imputata, confermando la sua responsabilità per i reati ritenuti dal primo giudice e, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, ha rideterminando la pena in complessivi due anni e sei mesi di reclusione, operando gli aumenti sia sul reato più grave art. 574 bis c.p. che sulla continuazione inoltre, ha parzialmente accolto l’appello della parte civile ponendo a carico della F. la somma di Euro 5.000,00 a titolo di provvisionale. 2. L’avvocato Cecilia Turco, nell’interesse dell’imputata, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito indicati. 2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c , art. 420 bis c.p.p., comma 2, e art. 169 c.p.p., perché le notifiche al difensore di ufficio del decreto di citazione diretta a giudizio, pur formalmente regolari, si sono rivelate inidonee al raggiungimento dello scopo l’assenza dell’imputata alla prima udienza del dibattimento non è stata dovuta a una opzione volontaria ma alla sua incolpevole ignoranza del decreto di citazione a giudizio comunicatole dal difensore di ufficio, anche perché le indicazioni e l’invito previsti dall’art. 169 c.p.p., non contengono le garanzie previste dall’art. 6 CEDU. Su questa base viene riproposta la questione di legittimità costituzionale, già ritenuta manifestamente infondata dalla Corte di appello, concernente l’art. 420 bis c.p.p., comma 2, nella parte in cui, affermando che la dichiarazione di assenza sia pronunciata quando risulti con certezza la conoscenza del procedimento , esaurisce la conoscenza del processo nella conoscenza del procedimento. Evidenzia la rilevanza della questione perché dal suo accoglimento deriverebbe la rimessione in termini dell’imputata con conseguente possibilità di accedere ai riti alternativi o di indicare testimoni. 2.2. Con il secondo motivo, si censura l’ordinanza con cui il Tribunale di Grosseto ha respinto la richiesta di remissione in termini ex art. 420 bis c.p.p., sul presupposto della mancata prova della non conoscenza del processo. 2.3. Con il terzo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 574 bis c.p., per non avere considerato il consenso dei figli minorenni al trasferimento in Austria, rilevante ai fini della sussistenza del reato si sostiene, inoltre, che il consenso dei due minorenni avrebbe giustificato anche l’esclusione della sussistenza del reato di cui all’art. 388 c.p., avendo l’imputata eluso il provvedimento del giudice civile in quanto ritenuto in contrasto con l’interesse dei minori. 2.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce contraddittorietà della motivazione mediante travisamento per omissione da parte di entrambi i giudici di merito in relazione agli artt. 574 bis, 388, 54 e 59 c.p., per avere disconosciuto la scriminante dello stato di necessità, anche solo putativo, con il trascurare le testimonianze che mostrano come il rifiuto dei figli di incontrare il padre precedette e non seguì il loro trasferimento in Austria, i documenti, prodotti dall’imputata, relativi ai provvedimenti giurisdizionali austriaci ritenuti privi di efficacia nel nostro ordinamento e inidonei nell’escludere la vigenza degli obblighi nascenti da decreti adottati dal giudice e la consulenza tecnica di ufficio svolta nel procedimento di modifica della regolazione dei rapporti con i figli ex art. 337 bis c.c. e ss., instaurato davanti al Tribunale di Grosseto. 2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione degli art. 570, 581 e 593 c.p.p., per non aver ritenuto l’inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, in cui si è sostenuta l’incongruità della pena senza chiarire perché quella determinata dal Tribunale dovesse considerarsi inadeguata. 2.6. Con il sesto motivo di ricorso, si deduce violazione dell’art. 133 c.p., per avere innalzato la pena-base senza adeguata motivazione. 2.7. Con il settimo motivo di ricorso, si deduce violazione dell’art. 62 bis c.p., per avere disconosciuto le circostanze attenuanti generiche pur non avendo mai l’imputata negato alla parte civile le informazioni relative alla località in cui i figli si erano trasferiti e la possibilità di contattarli. 2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, si deduce omessa motivazione nell’applicazione dell’art. 34 c.p., assumendo che la norma esclude un automatismo fra il diniego della sospensione condizionale della pena e la sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale e perché è stato trascurato di considerare l’interesse del minorenne, tanto più che nel caso in esame le sentenze del giudice civile hanno statuito l’affido condiviso del minorenne. Su questa base, nel caso di rigetto del motivo di ricorso, viene richiesto di sollevare questione di costituzionalità dell’art. 34 c.p., comma 2, e degli artt. 388 e 574 bis c.p., per contrasto con gli artt. 2, 3, 10, 27, 30 e 117 Cost., in relazione all’art. 3, della convenzione di New York del 20 novembre 1989 e all’art. 24 par. 2 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dovendosi considerare la legittimità della norma non solo dall’angolazione di chi subisce la pena accessoria, ma anche da quella di coloro i figli minorenni su cui si irradiano le conseguenze delle restrizioni imposte al condannato. 3. Nella memoria depositata dal difensore di N.R. si chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato. Considerato in diritto 1. Il primo e il secondo di ricorso, che possono essere esaminati preliminarmente e trattati unitariamente, sono infondati. Nella sentenza impugnata si precisa p. 4 . che l’imputata ha ricevuto personalmente la raccomandata con avviso di ricevimento inviatale, come previsto dall’art. 169 c.p.p., comma 1, notificazioni all’imputato all’estero , per informarla dell’esistenza di un procedimento nei suoi confronti, dell’autorità procedente, del titolo, della data e del luogo del reato e con l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio italiano. Poiché la F. non ha, nel termine di trenta giorni previsto dalla norma, dichiarato o eletto domicilio, le notificazioni sono state eseguite presso il difensore. L’art. 169 c.p.p., dispiega i suoi effetti per tutto il processo, dal momento che la sua ratio e il contenuto del suo testo non comportano che la sua portata sia circoscritta alla fase procedimentale. Nella fattispecie l’imputata, dopo essersi disinteressata del procedimento penale in corso, ha nominato un difensore di fiducia che ha partecipato al processo e ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale. Correttamente la Corte di appello ha considerato che la volontaria rinuncia dell’imputata a presenziare al processo costituisce una sua libera scelta difensiva Corte Cost., n. 301 del 1994 e ha osservato che il successivo mancato attivarsi è manifestazione di disinteresse, che ha correttamente condotto ad applicare l’art. 420-bis c.p.p., dichiarandone l’assenza e nominandole un difensore di ufficio, senza che questo violi l’art. 6 CEDU, poiché la mancata previsione della notifica personale all’imputato dell’atto introduttivo del giudizio penale non rende dubbia la costituzionalità dell’art. 420 bis c.p.p., comma 2 infatti, la norma comunque richiede che risulti con certezza che - come è avvenuto nella fattispecie - l’imputato sia a conoscenza del procedimento. Né dalla giurisprudenza della Corte EDU discende l’obbligo della notifica personale della vocatio in iudicium, ma soltanto la necessità che gli Stati membri predispongano regole alla cui stregua stabilire che l’assenza dell’imputato al processo possa ritenersi espressione di una consapevole rinuncia a parteciparvi, per cui l’individuazione degli strumenti attraverso cui consentire al giudice tale verifica resta affidata alla discrezionalità del legislatore, comportando scelte che investono la disciplina degli istituti processuali Corte Cost., n. 31 del 2017 . Su queste basi, condivisibilmente, la Corte di appello ha ritenuto manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell’art. 420 bis c.p.p., comma 2, posta con il primo motivo di ricorso e ha coerentemente osservato che mancano i presupposti per una rimessione in termini ex art. 420 bis c.p.p., comma 4, perché l’imputata non ha provato che la sua assenza sia stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. 2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il contenuto dei dati normativi non permette di assumere che la sussistenza dei reati ascritti ex artt. 388 e 574 bis c.p., sia esclusa dalla presenza di un consenso dei figli minorenni alla condotta addebitata all’imputata. Nel caso di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile, concernente l’affidamento di un figlio minore, il motivo plausibile e giustificato che può costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, è solo quello che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessità, è stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla Sez. 6, n. 7611 del 11/12/2014, dep. 2015, Rv. 262494 Sez. 6, n. 27613 del 19/06/2006, Rv. 235130 Sez. 6, n. 17691 del 09/01/2004, Rv. 228490 . 3. Il quarto motivo di ricorso è anch’esso manifestamente infondato. La Corte di appello ha considerato i documenti prodotti dalla difesa della ricorrente, rilevando che questi provano al più che la F. , in totale spregio di quanto disposto dal Tribunale per i minorenni di Firenze ha adito l’autorità giudiziaria straniera, i cui provvedimenti non valgono a escludere la vigenza dei provvedimenti adottati dal giudice italiano, peraltro disattesi dalla F. prima ancora che si pronunciasse l’autorità giudiziaria austriaca. Ha rimarcato che non è stato contestato quanto dichiarato da N.R. circa le condotte con cui l’imputata ostacolò i suoi rapporti con i figli, mentre non è provato che questi abbiano voluto interrompere i rapporti con il padre, così mancando ogni base per la configurabilità della scriminate putativa richiamata nell’atto di appello. 4. Il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente e sono manifestamente infondati. La Corte ha disconosciuto le circostanze attenuanti generiche non ravvisando elementi di valutazione favorevoli e rimarcando, per altro verso, la intensità del dolo che ha sorretto l’azione dell’imputata, preordinata nel suo disegno criminoso, perdurante nel tempo , così adeguatamente chiarendo la sua valutazione discrezionale circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737 Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, Rv. 230591 . Per le stesse ragioni la Corte ha rigettato la richiesta di riduzione della pena e, correlativamente, ha accolto la richiesta di aumento della pena avanzata dal pubblico ministero. Ha determinato, comunque, in misura contenuta due anni di reclusione nell’arco edittale che va da uno a quattro la pena-base e in proporzione a questa gli aumenti per i quattro reati-satellite complessivi 6 mesi . 5. Sulla base delle conclusioni raggiunte in relazione agli altri motivi di ricorso, le questioni poste con l’ottavo motivo di ricorso risultano rilevanti perché l’art. 574 bis c.p., comma 3, prevede che, nel caso in cui il delitto sia stato commesso da un genitore in danno del figlio minore sia automatica l’applicazione della sospensione dalla responsabilità genitoriale e, sempre automaticamente, l’art. 34 c.p., comma 2, determina la misura della sospensione per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta nel caso di delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale . Pertanto, il presente giudizio non può essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione concernente la legittimità costituzionale dell’applicazione automatica della pena accessoria costituita dalla sospensione della responsabilità genitoriale prevista dalla normativa vigente e della determinazione automatica della sua misura. Infatti, se la questione che viene sollevata dovesse risultare non fondata, l’ottavo motivo del ricorso in esame andrebbe respinto e la pena accessoria verrebbe determinata nella specie e nella misura indicata dalla legge. 6. Quanto alla non manifesta infondatezza, deve anzitutto considerarsi che non compete al giudice remittente stabilire se la questione sia fondata o infondata, ma unicamente verificare se essa sia o meno manifestamente infondata, limitandosi ad una valutazione sommaria, per rilevare se esista un dubbio di costituzionalità che la renda non meramente plausibile, ma seria e meritevole di vaglio da parte dell’organo giurisdizionale al quale compete il giudizio sulla costituzionalità delle leggi. Posto questo, risulta non manifestamente infondata - in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, artt. 30 e 31 Cost., nonché all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176 - la questione relativa alla conformità a Costituzione degli artt. 34 e 574 bis c.p., nella parte in cui impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla norma penale da ultimo citata, commessi dal genitore in danno del figlio minore, consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale. Analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 574 bis c.p., nella parte in cui prevede l’applicazione automatica della pena accessoria, è già stata prospettata e ritenuta inammissibile da questa Corte Sez. 6, n. 17679 del 31/03/2016, Rv. 267315 , per difetto di rilevanza in quanto, risultando sospesa anche la pena accessoria, vi era una carenza di interesse condizioni che non ricorrono nella presente fattispecie . 6.1. La questione in esame va valutata non solo dall’angolazione di chi subisce la pena accessoria ma anche da quella di coloro i figli minorenni su cui si irradiano le conseguenze delle restrizioni imposte al condannato. Vale considerare che tali conseguenze non si producono semplicemente de facto come può avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario - ma de jure, perché la applicazione della sospensione della responsabilità genitoriale incide, per sua natura, immediatamente sulla sfera giuridica dei figli del condannato. Dall’art. 2 Cost., che riconoscendo e tutelando i diritti fondamentali dell’individuo, costituisce fondamento anche per la tutela dei diritti dei minorenni artt. 3, 29 e 30 Cost., nonché dall’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo che impegna gli Stati parti di essa a rispettare il diritto dei minori alla propria identità, compresi la nazionalità, il nome, le relazioni familiari , è desumibile il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minorenni deve considerarsi il preminente interesse degli stessi. Inoltre, nella Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77 , è riconosciuto il diritto dei fanciulli di essere rappresentati e ascoltati nei procedimenti che toccano i loro interessi giuridicamente tutelati. Su queste basi, i provvedimenti che incidono sulla responsabilità genitoriale possono giustificarsi solo se non contrastano l’esigenza di tutelare i minorenni. I provvedimenti di sospensione o decadenza dalla potestà genitoriale ex artt. 330 e 333 c.c., sono adottati all’esito di una adeguata analisi della situazione che ne vagli l’opportunità in relazione alla fattispecie concreta e sono dall’art. 38 disp. att. c.c., come modificato dalla L. 10 dicembre 2012, n. 219 ordinariamente attribuiti alla competenza di giudici specializzati la competenza appartiene in via generale al tribunale per i minorenni, ma, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c. - anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato - e le azioni siano proposte successivamente e richieste con un unico atto introduttivo dalle parti, in deroga a tale attribuzione, spetta al giudice del conflitto familiare , ovvero al Tribunale ordinario e Corte d’Appello Cass. civ. Sez. 6, ord. n. 1349 del 26/01/2015, Rv. 633988 Cass. civ. Sez. 6, ord. n. 2833 del 12/02/2015, Rv. 634420 . Pertanto, può dubitarsi della ragionevolezza dell’automaticità della applicazione della pena accessoria della sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale prevista dalle norme penali in oggetto, se si considera che ciò impedisce al giudice di valutare la corrispondenza tra la sospensione della responsabilità genitoriale e i diritti e gli interessi dei minorenni, così negando la possibilità di effettuare un diverso bilanciamento tra i diritti di quest’ultimi e le esigenze punitive dello Stato verso i genitori. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 31 del 2012, ha giudicato costituzionalmente illegittimo l’art. 569 c.p., nella parte in cui stabilisce che, alla condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato previsto dall’art. 567 c.p., comma 2, consegua automaticamente la perdita della responsabilità genitoriale, perché preclude al giudice la possibilità di valutare l’interesse del minorenne nel caso concreto. Ha ravvisato un contrasto con l’art. 3 Cost., perché l’automatismo non consente di effettuare alcun bilanciamento degli interessi rilevanti nella situazione quello dello Stato all’esercizio della potestà punitiva e quello dei minorenni a crescere nella propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, da loro ricevendo educazione e cura. Ha rimarcato che sia nell’ordinamento internazionale che in quello interno, è principio acquisito che in ogni atto, comunque riguardante un minorenne, deve considerarsi il suo preminente interesse morale e materiale, il che contrasta con ogni automatismo che precluda al giudice di valutare e bilanciare nel caso concreto tale interesse per la necessità di applicare una pena accessoria. Soprattutto, ha evidenziato che la violazione del principio di ragionevolezza connessa all’automatismo previsto dalla norma censurata, emerge anche alla luce dei caratteri propri del delitto di cui all’art. 567 c.p., comma 2, che, diversamente da altre fattispecie criminose, non comporta una presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minorenne, per cui è ragionevole che il giudice debba potere valutare, in relazione al caso concreto, la inidoneità del genitore all’esercizio della responsabilità genitoriale. 6.2. Analogo ordine di considerazioni può valere anche per l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione della potestà genitoriale prevista dall’art. 574 bis c.p., comma 3, perché, escludendosi qualsiasi valutazione discrezionale da parte del giudice in ordine all’interesse del minorenne nel caso concreto e, quindi, la possibilità del bilanciamento dei diversi interessi implicati nel processo può compromettere la tutela del diritti inviolabili dei fanciulli, quale sarebbe quello di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che ciò comporti un grave pregiudizio Questo esito appare in contrasto con gli artt. 2, 30 e 31 Cost., e con l’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176 per il quale in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente . In linea con questo principio la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77 disciplina il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minorenne, detta le modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi prima di giungere a qualunque decisione , stabilendo che essa deve acquisire informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore . Allo stesso modo, anche nell’ordinamento interno l’interesse morale e materiale del minore ha assunto valore preminente dopo la riforma attuata con L. 19 maggio 1975, n. 151, Riforma del diritto di famiglia , e dopo la riforma dell’adozione realizzata con la L. 4 maggio 1983, n. 184 Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori , come modificata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, alle quali sono seguite diverse leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minorenne. Questo insieme di dati normativi - posteriore al codice penale e aderente ai principi veicolati dalle norme costituzionali richiamate oltre che, nella sua componente di origine internazionale, rilevante in relazione all’art. 10 Cost. suscita la questione se il legislatore penale, nel perseguire le sue finalità possa stabilendo una pena accessoria automatica nell’an e nel quantum accantonare ogni forma di bilanciamento con un interesse costituzionalmente rilevante quale quello superiore del minorenne, considerando che come nel caso deciso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 31 del 2012 prima ricordata il delitto ex art. 574 bis c.p., non comporta una presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minorenne, per cui è ragionevole che il giudice debba potere valutare, in relazione al caso concreto, la inidoneità del genitore all’esercizio della responsabilità genitoriale. 7. Le pene accessorie hanno una funzione orientata alla prevenzione speciale che risulta compatibile con l’art. 27 Cost., comma 3, a condizione che esse non siano sproporzionate per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto di reato Corte Cost., n. 222 del 2018 o, comunque, non scollegate da tale disvalore. Pertanto, l’applicazione automatica di una pena accessoria contrasta con il menzionato art. 27 Cost. - per il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato - nei casi in cui il delitto ex art. 574 bis c.p., sia stato motivato dalla finalità di preservare il figlio da pregiudizi che potrebbero essergli arrecati dall’altro genitore infatti, in tale situazione il condannato non potrebbe ricavare una rieducazione dalla sospensione della sua potestà genitoriale. 7.1. Già in altri casi la Corte costituzionale ha corretto o eliminato automatismi sanzionatori in considerazione della funzione rieducativa della pena. Con la sentenza n. 186 del 1995, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la previsione, contenuta nella L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, comma 3, della automatica revoca della liberazione anticipata in caso di condanna per delitto non colposo commesso successivamente alla concessione del benefico, perché eclissa la funzione di stimolo a collaborare nel trattamento rieducativo insita nell’istituto. Con le sentenze n. 504 del 1995 e n. 445 del 1997, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio della semilibertà possa concedersi ai condannati che prima della vigenza del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 15, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356 abbiano raggiunto un adeguato grado di rieducazione e per i quali non siano accertati collegamenti attuali con la criminalità organizzata - perché lede il principio di uguaglianza e, al contempo, frustra la funzione rieducativa della pena se il condannato è inserito in un valido programma di rieducazione - e nella parte in cui prevede che ulteriori permessi-premio siano negati ai condannati per i delitti indicati nel primo periodo del comma 1, dello stesso articolo, i quali, non avendo collaborato con l’autorità giudiziaria, non si trovino nelle condizioni per l’applicazione della L. n. 354 del 1975, art. 58 ter, anche se hanno precedentemente fruito di permessi-premio e non siano accertati collegamenti attuali con la criminalità organizzata, perché il permesso-premio è strumento essenziale per rieducazione del condannato. In altri casi la Corte costituzionale ha caducato norme che prevedevano automatiche applicazioni di pene accessorie, come la decadenza dalla potestà genitoriale sentenze n. 7 del 2013 e n. 31 del 2012 o la revoca della patente di guida sentenza n. 22 del 2018 , valorizzando i principi di adeguatezza e proporzionalità della pene ai fatti di reato, della loro individualizzazione in rapporto alla personalità del reo, della loro funzionalizzazione anche a finalità rieducative, oltre che di prevenzione speciale. Nella medesima direzione si muove la giurisprudenza della Corte EDU, che ha più volte dichiarato contrarie alla CEDU sanzioni accessorie o comunque misure limitative di diritti che discendono automaticamente da una condanna penale, senza una verifica giurisdizionale nel caso concreto sull’effettiva necessità di tali sanzioni o misure. La sentenza della Corte costituzionale n. 134 del 2012 - pur affermando che l’addizione normativa richiesta dai giudici a quibus eccede i poteri di intervento della Corte, perché comporta scelte affidate alla discrezionalità del legislatore - ha sollecitato il legislatore a riformare il sistema delle pene accessorie per renderlo pienamente compatibile con i principi della Costituzione e, in particolare, con l’art. 27 Cost., comma 3. Da ultimo, la sentenza n. 222 del 2018 della Corte costituzionale ha ribadito che la durata fissa delle pene accessorie previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, u.c. Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa non appare, in linea di principio, compatibile con i principi costituzionali in materia di pena, e segnatamente con i principi di proporzionalità e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio, osservando che, la discrezionalità del legislatore incontra il proprio limite nella manifesta irragionevolezza delle scelte legislative, limite che viene superato quando le pene inflitte risultino manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto come reato. Infatti, in questo caso sono violati congiuntamente gli artt. 3 e 27 Cost., perché una pena non proporzionata alla gravità del fatto e non percepita come tale dal condannato si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa ex multis, Corte Cost. nn. 236 del 2016, 68 del 2012 e 341 del 1994 , mentre, ordinariamente, il legislatore stabilisce che la pena va commisurata tra un minimo e un massimo per proporzionarla alla concreta gravità del fatto, valutando, in particolare, le circostanze indicate negli artt. 133 e 133 bis c.p., e personalizzarla nel rispetto dell’art. 27 Cost., comma 1, Corte Cost. nn. 67 del 1963, 104 del 1968, 50 del 1980 . La Corte costituzionale dopo avere sottolineato che la delega rilasciata al Governo con la L. 23 giugno 2017, n. 103 art. 5, comma 85, lett. u - delega non esercitata - di procedere alla revisione del sistema delle pene accessorie improntata al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato , conteneva tra i criteri quello di escludere che la durata della pena accessoria fosse superiore alla durata della pena principale , ha rivisitato il principio seguito nella sentenza n. 134 del 2012, tenendo conto anche dell’evoluzione in atto nella sua stessa giurisprudenza in materia di sindacato sulla misura delle pene, e ha ricordato che la sentenza n. 236 del 2016 della Corte costituzionale ha stabilito che, quando una sanzione si rivela manifestamente irragionevole, un intervento correttivo della Corte costituzionale è possibile se essa può essere sostituita ancorandosi a precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo , anche se il sistema non offre un’unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima senza provocare vuoti di tutela degli interessi toccati dalla norma oggetto della pronuncia ferma restando la possibilità che il legislatore intervenga introducendo, nell’ambito della propria discrezionalità, altra soluzione purché compatibile con i principi costituzionali . 7.2. Anche la previsione di una durata fissa della pena accessoria presenta profili di dubbia costituzionalità perché contrasta con il principio di proporzionalità della pena - come riaffermato dalla sentenza n. 236 del 2016 della Corte costituzionale - e con il principio di necessaria individualizzazione della pene, che esige che le sanzioni siano adeguate ai casi concreti e non rigide, a meno che la rigidità risulti ragionevolmente proporzionata rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato Corte Cost., n. 50 del 1980 . Né pare trascurabile che nel caso in esame la automaticità nell’an e nel quantum della sospensione della responsabilità genitoriale incide su un diritto che, sebbene non possieda il valore preminente assegnato all’interesse del minorenne, costituisce, comunque, un diritto costituzionalmente riconosciuto art. 30 Cost., comma 1 , ordinariamente comprimibile o elidibile solo mediante specifiche procedure. Pertanto, l’esigenza di una adeguata calibrazione della applicazione e della durata di una pena accessoria produttiva di un tale esito richiede il rispetto del limite della non irragionevolezza della scelta legislativa in conformità agli artt. 3 e 27 Cost., secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, ultimamente ribadita dalla sua sentenza n. 222/2018. P.Q.M. Visto la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., art. 27 Cost., comma 3, artt. 30 e 31 Cost., nonché all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata a resa esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176, la questione relativa alla conformità a Costituzione degli artt. 34 e 574 bis c.p., nella parte in cui impongono che alla condanna per i fatti previsti dalla norma penale da ultimo citata commessi dal genitore in danno del figlio minore consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale sospende il giudizio in corso sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico ministero nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.