Regime detentivo differenziato: i detenuti al 41-bis e la corrispondenza con il difensore

Sono legittime le circolari del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria che prevedono specifici controlli sulla corrispondenza tra detenuti in regime differenziato e i rispettivi difensori, finalizzati a verificare che le missive siano funzionali all'esercizio del diritto di difesa in determinati procedimenti penali.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 27571 depositata il giorno 21 giugno 2019. La corrispondenza col difensore dei detenuti in regime di carcere duro”. Un detenuto sottoposto al regime del 41- bis ” si iscrive all'università. Per questo motivo si fa autorizzare dal Tribunale di Sorveglianza all'uso di un computer e di un masterizzatore CD per ragioni di studio anche dei procedimenti penali che lo riguardano e nei quali ha nominato un difensore. Sulla base di questo presupposto, il detenuto chiede di inviare due CD mediante raccomandata ai propri difensori e, correlativamente, domanda di essere autorizzato a riceverne altrettanti da parte dei legali. A questo punto, nonostante ogni cosa sembri in regola, sorge l'inghippo la Direzione della Casa Circondariale blocca tutto e rimane in attesa di una autorizzazione specifica per dare corso allo scambio epistolar-elettronico. Le circolari del DAP una fonte normativa legittima? Comincia la solita trafila reclamo al Magistrato di sorveglianza, che dal canto suo emette un bel provvedimento di non luogo a provvedere il detenuto risulta infatti già autorizzato ad inviare i CD ai propri difensori. Secondo reclamo questa volta il Tribunale di Sorveglianza della Capitale accoglie le doglianze sollevate dal detenuto e, però, dispone la restituzione delle missive alla Direzione della Casa Circondariale affinché il detenuto si faccia autorizzare per inviare i plichi ai propri avvocati. Sostanzialmente, un nulla di fatto non rimane che la strada del ricorso per cassazione, col quale si contesta che il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza, concretamente, non ha risolto il problema lamentato dal ricorrente perché ha rimesso tutto nelle mani dell'Amministrazione penitenziaria e dei suoi regolamenti interni. Proprio questi ultimi finiscono nel mirino della censura di legittimità la Costituzione, per limitare il diritto alla corrispondenza, pone una duplice riserva, di legge e di giurisdizione e non fa alcun cenno alla possibilità che essa avvenga, invece, mediante fonti di rango secondario come le circolari. La Cassazione sul diritto alla corrispondenza il contemperamento dei contrapposti interessi. Gli Ermellini risolvono la questione sostanzialmente salvando l'efficacia normativa delle circolari del DAP esse possono perfettamente contribuire a rendere operativi i limiti alla corrispondenza dei detenuti anche con i difensori, posto che detti limiti già esistono e sono sparpagliati anche nel codice di rito penale. Vero è che proprio quest'ultimo prevede che agli scambi epistolari tra detenuto e difensore non si applicano le norme dell'ordinamento penitenziario dettate in tema di controllo della corrispondenza, ma è anche vero che le stesse disposizioni di attuazione del codice prevedono espressamente una serie di accorgimenti, finalizzati a non aggirare la normativa di favore” di cui stiamo parlando. Non ci addentriamo nei burocratici dettagli che la corrispondenza tra detenuto al 41- bis e difensore deve possedere per non incorrere nella censura penitenziaria basterà dire, intanto, che da essa deve risultare chiaro ed inequivocabile il riferimento ad uno specifico procedimento penale. Insomma, se è vero che nessuno – al di fuori del mittente e del destinatario – potrà leggere gli atti contenuti nei plichi indirizzati e ricevuti dal detenuto al difensore, sarà pur sempre necessario che questi vengano almeno identificati come tali ed espressamente autorizzati per l'invio o la ricezione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 febbraio – 20 giugno 2019, n. 27571 Presidente Casa – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento in data 3/11/2016, A.A. , detenuto in regime differenziato ex art. 41-bis Ord. pen., era stato autorizzato dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, in quanto iscritto alla locale università, all’uso del personal computer, unitamente a un masterizzatore, al lettore CD e altro quantomeno per ragioni di studio anche dei procedimenti che lo riguardano mentre, con successivo provvedimento in data 27/3/2017, il Magistrato di sorveglianza di Sassari, richiamando il punto dell’ordinanza del Tribunale in cui era stato indicato che il computer potesse essere utilizzato anche per i procedimenti giudiziari, aveva precisato che il computer debba essere utilizzato per tutti i procedimenti nei quali risulta depositata la nomina del difensore . Muovendo da tali provvedimenti, il detenuto aveva chiesto l’inoltro di due CD, contenuti in altrettante raccomandate, ai propri legali, avv.ti Maria Teresa A. Pintus e Luca Blasi, e di essere autorizzato a ricevere, dai propri legali, due CD documenti che erano stati, però, trattenuti dalla Direzione della Casa circondariale di Rebibbia, venendo depositati nell’armadietto esterno alla camera detentiva, in attesa della prescritta autorizzazione. A. aveva, quindi, proposto reclamo al Magistrato di sorveglianza di Roma, che con provvedimento in data 15/1/2018 aveva dichiarato il non luogo a provvedere in relazione all’istanza presentata dal detenuto, essendo egli già stato autorizzato a ricevere e a inviare atti processuali al suo difensore ritualmente nominato, mediante i supporti CD e DVD. 2. Avverso tale decisione lo stesso A. aveva proposto reclamo ai sensi dell’art. 35-bis Ord. pen., lamentando di non aver potuto nè inoltrare nè ricevere i CD/DVD da scambiare con i difensori e, dunque, di non aver potuto esercitare un proprio diritto, diverso da quello riconosciutogli con la generica autorizzazione all’uso del computer per tutti i procedimenti che lo riguardassero. Con ordinanza in data 7/6/2018, il Tribunale di sorveglianza di Roma, su conforme parere del Procuratore generale, accolse il reclamo in questione, disponendo la restituzione delle missive contenute nel fascicolo alla Direzione della reclusione di Spoleto, ove A. era al momento detenuto, per la verifica dei requisiti previsti dalla legge e per la eventuale restituzione al detenuto ai fini della acquisizione delle prescritte autorizzazioni necessarie per l’invio, ovvero per l’inoltro ai difensori indicati sulla missiva . Secondo il Tribunale di sorveglianza, invero, la corrispondenza tra i detenuti e i difensori non sarebbe priva di meccanismi di controllo da parte dell’Autorità penitenziaria, che sarebbe investita del compito di verificare, ferma restando l’impossibilità di accedere ai contenuti della comunicazione, il rispetto delle procedure stabilite per garantire la effettiva inerenza della corrispondenza all’esercizio dei diritti di difesa. E dal momento che non sarebbe emerso, all’esito del procedimento di sorveglianza, se un siffatto controllo fosse stato realmente esercitato, il Collegio capitolino dispose, nell’accogliere il reclamo, che la Direzione dell’Istituto penitenziario fosse investita del relativo adempimento. 3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso A. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Luca Enrico Blasi, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 15 e 24 Cost., art. 103 c.p.p., comma 6, e art. 35 disp. att. c.p.p In particolare, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , che il Collegio abbia soltanto formalmente accolto il reclamo e abbia sostanzialmente avallato le disposizioni regolamentariòillegittime emanate dall’Amministrazione penitenziaria in materia di corrispondenza digitale con il difensore, secondo cui tale corrispondenza deve subire una serie di limitazioni, in base alla nota DAP 321858 dell’11/10/2017 e alla circolare DAP del 2/10/2017 n. 3676/6126, non previste da alcuna norma di legge, atteso che l’art. 15 della Costituzione pone una duplice riserva sulla corrispondenza, di legge e di giurisdizione, per la quale ogni limitazione deve essere prevista dalla legge e deve avvenire con decreto motivato dall’autorità giudiziaria e che il diritto alla difesa è costituzionalmente garantito, sicché tali disposizioni amministrative avrebbero dovuto essere disapplicate. Si opina, al riguardo, che a seguito dell’autorizzazione, concessa con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Sassari in data 3/11/2016, A. potrebbe utilizzare il computer per tutti i procedimenti che lo riguardano, con uso di cd-rom e masterizzatore, digitalizzazione atti e estrazione cartacea dei files prodotti, inviando la relativa documentazione al difensore in busta chiusa senza che ciò ritardi l’inoltro della corrispondenza ex art. 35 disp. att. c.p.p., comma 3 , mentre, nel caso di specie, la memoria inserita in un supporto informatico diretto al difensore sarebbe stata illegalmente trattenuta dall’Amministrazione senza che l’Autorità giudiziaria sia stata avvisata. Pertanto, il Collegio non avrebbe dovuto limitarsi a disporre la eventuale restituzione al detenuto ai fini della acquisizione delle prescritte autorizzazioni necessarie per l’invio , posto che per l’invio della corrispondenza al difensore non vi sarebbe bisogno di autorizzazione alcuna ed avrebbe, quindi, dovuto disapplicare le illegittime note DAP, stabilendo che la corrispondenza con il difensore è segreta, sia in cartaceo che in digitale, ordinando l’immediato inoltro dei supporti informatici e il divieto di trattenimento temporaneo avvenuto senza avvisare l’Autorità giudiziaria. 4. In data 5/11/2018, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, rilevandosi la carenza di interesse del ricorrente in quanto il provvedimento impugnato avrebbe accolto il suo reclamo e avrebbe disposto la restituzione delle missive contenute nel fascicolo alla Direzione della Casa circondariale competente per la verifica dei requisiti previsti dalla legge e per la eventuale restituzione al detenuto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. La libertà e la segretezza della corrispondenza, in quanto afferenti a un diritto fondamentale della persona, sono, ai sensi dell’art. 15 Cost., soggette a riserva di legge rinforzata dalla garanzia giurisdizionale, sicché la loro eventuale limitazione è rimessa a un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi normativamente previsti. In applicazione della norma costituzionale, la disciplina delle limitazioni e dei controlli della corrispondenza nei confronti di persone soggette a restrizione della libertà personale, necessari a garantire l’ordine e la sicurezza interna e le esigenze di tutela della collettività, è interamente regolata dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, che all’art. 18-ter, come modificato dalla L. 8 aprile 2004, n. 95, stabilisce il regime delle limitazioni, del visto di controllo e del controllo del contenuto delle buste, nonché dei provvedimenti di trattenimento. Come correttamente osservato dal Tribunale di sorveglianza, nel caso di specie viene, tuttavia, in considerazione una comunicazione qualificata, tra il detenuto e il suo difensore, che alla disciplina dettata dall’art. 18-ter Ord. pen. è specificamente sottratta, in ragione della esigenza di contemperare le istanze di ordine e sicurezza con l’esercizio di un diritto costituzionale. In proposito, va, infatti, ricordato che l’art. 103 c.p.p., rubricato garanzie di libertà del difensore , al comma 6 stabilisce che sono vietati il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l’imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato . E secondo quanto previsto dall’art. 35 disp. att. c.p.p., comma 4, contenente la disciplina di attuazione dell’art. 103 c.p.p., comma 6, alla corrispondenza tra l’imputato detenuto e il suo difensore non si applicano le disposizioni dettate dall’ordinamento penitenziario in materia di controllo della corrispondenza. Principio, questo, ribadito anche dallo stesso art. 18-ter Ord. pen., rubricato limitazioni e controlli della corrispondenza , il cui comma 2 stabilisce che le disposizioni dettate dal comma 1 in materia di limitazioni nella corrispondenza, di visto di controllo, di controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai difensori. Tuttavia, l’estensione delle speciali garanzie riconosciute alla comunicazione tra detenuto e difensore non è illimitata, essendo previste una serie di regole al cui puntuale rispetto è condizionata l’attivazione di tali guarentigie. Per questa via, l’art. 35 disp. att. c.p.p. prevede, al comma 1, che la busta della corrispondenza tra l’imputato e il suo difensore debba riportare a il nome e il cognome dell’imputato b il nome, il cognome e la qualifica professionale del difensore c la dicitura corrispondenza per ragioni di giustizia con la sottoscrizione del mittente e l’indicazione del procedimento cui la corrispondenza si riferisce. Inoltre, il comma 2 puntualizza che quando mittente è il difensore, la sottoscrizione è autenticata dal presidente del consiglio dell’ordine forense di appartenenza o da un suo delegato . Infine, nei casi in cui l’imputato è detenuto, il comma 3 stabilisce che l’autorità che ne ha la custodia appone il proprio timbro o firma sulla busta chiusa che già reca le indicazioni suddette, senza che ciò ritardi l’inoltro della corrispondenza . In maniera del tutto coerente con tali previsioni, l’art. 16.4 della Circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dal titolo Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis , rubricato Consegna atti e documenti processuali , prevede che per i detenuti sottoposti al regime differenziato, il carteggio afferente atti e documenti giudiziari e/o processuali che il difensore vuole consegnare brevi manu al detenuto/internato in occasione degli incontri visivi, deve essere accompagnato da apposita dichiarazione che si tratta di corrispondenza per ragioni di giustizia ai sensi dei citati art. 103 c.p.p. e art. 35 disp. att. c.p.p Inoltre, al fine di consentire l’effettiva inerenza della corrispondenza all’esercizio del diritto di difesa, deve essere indicato il numero del procedimento penale a cui si riferisce il carteggio e la conferma del Direttore dell’istituto che il difensore è regolarmente nominato nel relativo procedimento comma 2 . E allo stesso modo si procederà nel caso in cui il detenuto/internato voglia consegnare gli atti processuali al difensore trovando di fatto applicazione la norma relativa alla corrispondenza riservata per motivi difensivi comma 3 ferma restando, in tutti i casi, la garanzia dell’assenza di una lettura degli atti. 3. Ritiene il Collegio che il complesso dei descritti adempimenti si configuri come funzionale all’esercizio delle verifiche necessarie a riscontrare la stretta pertinenza del materiale oggetto della richiesta di consegna rispetto all’esercizio delle facoltà difensive e che, per tale ragione, nessun profilo di illegittimità possa essere ravvisato nella disciplina dettata dalla ricordata circolare, che appare pienamente conforme ai principi dettati dalle disposizioni di legge adottate in conformità della norma costituzionale. Pertanto, anche la statuizione contenuta nel provvedimento impugnato, volta a consentire l’eventuale inoltro della documentazione contenuta nel supporto informatico soltanto una volta espletate le necessarie verifiche sul rispetto dei menzionati requisiti formali della stessa, appare assolutamente corretta, sottraendosi alle censure formulate dall’odierno ricorrente. 4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.