Maxi sequestro di capi di abbigliamento contraffatto: legittimo il sequestro probatorio

La doppia registrazione in Italia di marchi in parte sovrapponibili e la presenza di controversie civili in merito alla loro reciproca legittimità, aggiunta alla circostanza della mancata registrazione di marchio statunitense in Europa, sono elementi che devono indurre un approfondimento del profilo soggettivo di attribuibilità del reato, ma in sede cautelare sono sufficienti da far ritenere integrati i gravi indizi di reità del reato di introduzione e commercio di prodotti con segni falsi.

Il caso. Il pubblico ministero emetteva decreto di sequestro probatorio di oltre mille capi di abbigliamento recante il marchio Supreme Gold” a un commerciante cinese accusato di ricettazione e introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi. L’istanza del difensore per il riesame della misura veniva respinta con ordinanza dal tribunale del riesame. Di qui il ricorso per cassazione. Sussiste il fumus commissi delicti del reato di introduzione e commercio di prodotti con segni falsi? La difesa ha contestato l’insussistenza dei gravi indizi relativi al reato di cui il commerciante è accusato. Ma la Corte di cassazione spiega l’esegesi giurisprudenziale del delitto in questione. La giurisprudenza è volta a tutelare il marchio, dando preminenza alla tutela economica dello stesso mentre il bene giuridico della pubblica fede è recessivo rispetto alle disposizioni incriminatrici e diventa strumento per assicurare l’ordinata e veritiera rappresentazione ed individuazione dei prodotti industriali. Buona fede in senso oggettivo. L’interesse giuridico tutelato dalla norma è la pubblica fede intesa in senso oggettivo, quale affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione non lo è l’affidamento del singolo, pertanto, ai fini della configurabilità del reato non è necessario che si verifichi una situazione tale da indurre il compratore in errore circa la genuinità del prodotto. Basta la contraffazione – anche se dichiarata – a configurare il reato. Non solo. In presenza di una contraffazione, costituisce reato anche la situazione in cui il compratore sia messo a conoscenza, da parte dello stesso venditore, della non autenticità del marchio. Anche un avviso che riporti la dicitura falso d’autore” non esclude la configurabilità del reato la legge, infatti, tutela il marchio registrato e tale tutela non può essere aggirata attraverso diciture attestanti l’indebito utilizzo del marchio. Deve dunque essere ribadito che la tutela penalistica è accordata alla fede pubblica intesa come affidamento nei marchi o nei segni distintivi e che il reato è di pericolo”, dunque, per l’integrazione dello stesso è sufficiente l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione, non solo al momento dell’acquisto ma anche con riferimento all’utilizzazione. La norma infatti vuole scongiurare la confusione tra marchi e non tra prodotti, cioè tra marchio registrato e quello commercializzato illecitamente la legge, invero, punisce la riproduzione illecita del marchio registrato, mentre il prodotto è il veicolo” attraverso cui si manifestano i marchi e la legge impone che non vengano riprodotti illecitamente. Secondo la Corte è ininfluente il raffronto tra i prodotti e i connotati di emulazione degli stessi perché la tutela penale riguarda solo i marchi e la confondibilità di quello registrato con quello illecitamente riprodotto sul bene sequestrato. E la riproduzione parziale? Anche la riproduzione parziale del marchio configura il reato perché l’alterazione dei marchi ricomprende tale ipotesi deve considerarsi l’impressione complessiva e la specifica categoria di utenti o consumatori cui il prodotto è destinato, soprattutto se si tratta di un marchio celebre. Gravi indizi nel caso concreto. Nel caso in scrutinio, la Corte ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di configurabilità del reato ipotizzato vi sono indizi pressanti sulla contraffazione del marchio Supreme” per l’aggiunta del logo Gold” di seguito e che, per come è stato collocato, lascia pensare a una serie limitata del marchio americano e non a un marchio diverso, perché la scritta Supreme” è identica in tutto alla scritta del marchio originale. Non è invece rilevante che il marchio americano non sia stato registrato in Europa e che invece il marchio Supreme Gold” sia stato registrato da altra società in Italia. Conflitto con controversia civilistica? La Corte chiarisce che anche qualora dovesse ritenersi sussistente una controversia civile di difficile risoluzione tra le società titolari dei due marchi sovrapponibili, spetterebbe sempre al Giudice penale decidere – in via incidentale – sulla validità o meno di un marchio registrato quando la questione assuma rilevanza ai fini della qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’imputazione. Sproporzionato il sequestro? Secondo la difesa, il sequestro probatorio non sarebbe legittimo anche perché relativo a un numero eccessivo di capi. Ma la Corte chiarisce che la finalità del sequestro è quella di sottrarre i capi di abbigliamento al mercato illegale, atteso, peraltro, che si tratta di beni assoggettabili a confisca obbligatoria e che ne sarebbe in ogni caso impedita la restituzione. Invero i prodotti industriali oggetto di contraffazione devono essere confiscati perché rientrano nella previsione delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituiscono reato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 marzo – 19 giugno 2019, n. 27323 Presidente Zaza – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, datato 4.12.2018, il Tribunale del Riesame di Varese, con ordinanza emessa in seguito all’istanza proposta dal difensore di F.L. avverso il decreto di sequestro emesso dal pubblico ministero presso il Tribunale di Busto Arsizio in data 18.10.2018, ai sensi dell’art. 355 c.p.p., nel procedimento penale a carico di E.K. per i reati di cui agli artt. 648 e 474 c.p., ha rigettato l’istanza di riesame. Con il provvedimento citato, venivano sequestrati all’interessato F.L. , in data 30.10.2018, numerosi capi d’abbigliamento 1610 tra felpe, pantaloni e maglieria recanti il marchio omissis , ritenuto contraffatto rispetto al marchio statunitense , registrato in Italia. 2. Avverso il provvedimento citato propone ricorso per cassazione l’interessato F.L. , titolare del negozio/magazzino di abbigliamento presso il quale il pubblico ministero di Busto Arsizio aveva disposto ulteriori perquisizioni e sequestri, dopo il primo provvedimento cautelare reale a carico del già citato indagato, avente ad oggetto 29 felpe contraffatte del marchio americano , mediante il suo difensore, avv. Caprara, deducendo due distinti motivi. 2.1. Con il primo motivo si argomenta violazione di legge e illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , per erronea valutazione sulla sussistenza del fumus commissi delicti del reato di introduzione nello Stato di prodotti con segni o marchi contraffatti. La difesa sottolinea che il marchio omissis , cui fa riferimento la merce in sequestro, risulta regolarmente registrato in Italia con deposito avvenuto presso l’ufficio brevetti e marchi della Camera di Commercio di Bari in data 11.9.2017 e registrazione datata 12.9.2018. Inoltre, detto marchio, apposto sui prodotti in sequestro, non costituisce riproduzione del marchio , al quale, di contro, è stata negata la registrazione in data 25.4.2018 dall’EUIPO - l’organismo Europeo, cui è demandata la gestione dei marchi, disegni e modelli registrati nell’Unione Europea – poiché si è ritenuta l’istanza presentata dalla Chapter 4 CORP. DBA con sede in New York in data 7.6.2017, titolare del predetto marchio, inammissibile per i settori abbigliamento e accessori per la vendita al dettaglio e online ai sensi dell’art. 7, par. 1, lettere b e c , nonché dell’art. 7, par. 2, del Regolamento sul marchio dell’Unione Europea. Il marchio , infatti, è stato ritenuto meramente elogiativo e privo del carattere distintivo in quanto il consumatore medio di lingua inglese e romena attribuirebbe al segno il significato di massima qualità e non altro, sicché il marchio si rivela solo descrittivo e non distintivo. Si produce documentazione relativa ai numerosi rigetti da parte dell’EUIPO in merito alla mancata registrazione del marchio suddetto. Il difensore deduce che gli effetti del provvedimento di rifiuto di registrazione emesso dall’EUIPO siano estensibili a tutti gli Stati membri dell’Unione, in una logica di tutela armonizzata dei marchi, sicché il marchio non sarebbe tale né protetto ai sensi della nostra disciplina comunitaria ed interna, pertanto, potrebbe essere utilizzato da chiunque, nonostante la sua registrazione avvenuta in Italia, da parte dell’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti UIBM . Sulla base di tali argomentazioni altri Tribunali italiani, in sede di riesame reale, hanno ritenuto insussistente il fumus del delitto in esame si producono le ordinanze del Tribunale di Trani e di quelli di Modena, Rimini e Nola, con le quali si è dissequestrata altresì la merce recante il marchio affiancato di volta in volta da differenti diciture, tra le quali quella , utilizzata anche nel caso di specie. Pertanto, sarebbe erronea l’argomentazione del Riesame di Varese che ha ritenuto ininfluente la mancata registrazione Europea del marchio, essendo applicabile la tutela comunque offerta in tali ipotesi dall’ordinamento italiano ed avendo la tutela Europea del marchio natura solo aggiuntiva senza una tutela del marchio, infatti, non può ritenersi applicabile neppure l’art. 517 c.p., come invece ha ritenuto il provvedimento impugnato e non soltanto l’art. 474 c.p. , mancando alcuna condotta che possa ingannare il potenziale consumatore sull’origine, provenienza o qualità del bene. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale e illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento di sequestro, che mancherebbe delle necessarie indicazioni quanto alle finalità perseguite con il vincolo disposto e sarebbe solo motivato con frasi di stile. Non vi sarebbe, altresì, proporzione tra la quantità di beni sequestrati e la finalità probatoria perseguita, che poteva ben essere assicurata dalla apposizione del vincolo reale su un solo capo d’abbigliamento o accessorio per ciascun modello, per svolgere i dovuti accertamenti. Infine, si evidenzia che l’intera vicenda presenta caratteri di rilievo meramente civilistico ai sensi dell’art. 2598 c.c Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. Il primo motivo di ricorso contesta la sussistenza del fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 474 c.p In proposito, deve necessariamente premettersi un breve quadro di sintesi della giurisprudenza sul tema, sicuramente articolata e volta ad una tutela del marchio di chiara ispirazione economica, in cui la pubblica fede diviene al tempo stesso bene tutelato dalle disposizioni penali e strumento per assicurare l’ordinata e veritiera rappresentazione ed individuazione dei prodotti industriali. La Corte di cassazione ha, infatti, avuto modo di puntualizzare che l’interesse giuridico tutelato dagli artt. 473 e 474 c.p., è la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l’affidamento del singolo, sicché, ai fini dell’integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto al contrario, in presenza di una contraffazione, i reati sono configurabili anche se il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio. In applicazione del principio, la Cassazione ha ritenuto che la configurabilità del reato di cui all’art. 474 c.p., non sia esclusa, quindi, dalla presenza di locandine che avvertano della falsità del prodotto offerto in vendita, sulla cui confezione - che riproduceva i marchi originali - figuri la scrittura falso d’autore Sez. 2, n. 28423 del 27/04/2012, Fabbri, Rv. 253417 . Deve essere ribadito che la legge accorda una speciale tutela al marchio registrato e la tutela non può essere aggirata attraverso diciture artatamente attestative circa l’indebito uso del marchio, quali falso d’autore o simili, giacché la contraffazione è, in sé sufficiente e decisiva per la violazione del bene tutelato. L’apposizione della dicitura copia d’autore su prodotti industriali recanti marchi contraffatti non esclude l’integrazione del reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi art. 474 c.p. , - il quale tutela la fede pubblica, intesa come affidamento nei marchi o nei segni distintivi - trattandosi di un reato di pericolo per la cui integrazione è necessaria soltanto l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione Sez. 5, n. 14876 del 09/01/2009, Chen, Rv. 243596 . Infatti, la confusione che la norma vuole scongiurare è tra marchi e non tra prodotti, cioè tra quello registrato e quello illecitamente commercializzato in forma dichiaratamente decettiva, dal momento che ciò che la legge punisce è la riproduzione - senza averne titolo - del marchio registrato su di un prodotto industriale il prodotto è quindi il veicolo attraverso il quale si manifestano i marchi e la legge impone che non vengano riprodotti in modo pedissequo o con modifiche che non ne alterino i caratteri principali che lo connotano illecitamente, su prodotti industriali. Dunque, risulta ininfluente il raffronto tra i prodotti e i connotati di emulazione degli stessi, avendo riguardo la tutela penale solo ai marchi e alla confondibilità di quello registrato con quello illecitamente riprodotto sul bene sequestrato. Nella medesima prospettiva, si è ritenuto non sufficiente ad escludere la configurabilità del reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi la presenza su ricambi commercializzati di una dicitura indicativa del carattere non originale dei prodotti e del marchio di cui l’agente è titolare, in quanto occorre verificare se in concreto la dicitura e il marchio aggiuntivo siano idonei ad escludere il rischio di confusione sulla natura non originale dei prodotti e sulla finalità meramente indicativa della loro funzionalità al ricambio dell’uso del marchio che si assume contraffatto Sez. 5, n. 5957 del 30/11/2011, dep. 2012, Martinelli, Rv. 252459, che ha dato rilievo determinante anche alla verifica della posizione sul prodotto della dicitura rispetto a quella del marchio altrui e alla sua presentazione grafica . Finanche la riproduzione solo parziale del marchio è stata ritenuta configurare il reato di cui all’art. 474 c.p., poiché l’alterazione di marchi prevista dall’art. 473 c.p., la ricomprende se idonea a far sì che la copia si confonda con l’originale, tenuto conto dell’impressione di insieme e della specifica categoria di utenti o consumatori cui il prodotto è destinato, soprattutto se si tratta di un marchio celebre Sez. 5, n. 33900 del 8/5/2018, Cortese, Rv. 273893 . Se questa è l’impostazione dominante in giurisprudenza, è evidente che anche nel caso di specie, tenuto conto dei limiti del sindacato di legittimità, debbano ritenersi sussistenti i gravi indizi di configurabilità del reato di cui all’art. 474 c.p., in presenza di indizi sicuramente pressanti sulla contraffazione del marchio per aggiunta del logo di seguito ad esso che, come è stato plausibilmente sostenuto, collocato come è accanto al marchio principale ed in piccolo, lascia pensare ad una serie limitata afferente al marchio americano, non già ad un marchio diverso, tanto più che risulta dagli accertamenti di polizia giudiziaria che gli articoli di abbigliamento in sequestro recano la scritta identica in tutto alla scritta del marchio americano originale. Inoltre, se è vero che il marchio della Ca.os. Moda s.r.l. è stato registrato, come addotto dalla difesa, tuttavia la registrazione è avvenuta senza specificazione di colore o forma del marchio stesso, mentre la Chapter 4 Corporation S.B.A. aveva registrato in Italia il marchio , con le caratteristiche notorie di sfondo rosso e scritta bianca conosciute quasi in tutto il mondo. Del resto, si è già chiarito, in tema di reato ex art. 473 c.p., che la fattispecie è configurabile anche quando venga registrato un marchio identico ad altro noto, in presenza di condizioni tali che facciano ritenere avvenuta una copiatura del marchio famoso Sez. 5, n. 51754 del 2/10/2018, Fabbri, Rv. 274438 . Sono egualmente condivisibili le osservazioni del Tribunale del Riesame relative alla irrilevanza della circostanza - su cui molto insiste, invece, la difesa - della mancata registrazione del marchio da parte dell’EUIPO l’ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuali che non ha riconosciuto a detto marchio la tutela Europea, in ragione della sua confondibilità tale evenienza non può influire, infatti, sulla tutela che l’ordinamento italiano accorda ai marchi in presenza dei requisiti richiesti dalla fattispecie penale, vigendo, peraltro, in materia, il principio di territorialità della tutela, come di recente riaffermato anche dalle Sezioni Unite civili Sez. U, n. 13570 del 4/7/2016, Rv. 640219 , al più potendo ritenersi aggiuntiva la tutela del marchio che sia stato anche registrato dagli organismi comunitari preposti si può argomentare in tal senso ancora dalla citata sentenza delle Sezioni Unite civili del 2016 . È vero anche che, pur qualora dovesse ritenersi effettivamente sussistente una controversia civile di difficile risoluzione tra le società titolari dei due marchi sovrapponibili, spetterebbe sempre al giudice penale decidere in via incidentale sulla validità o meno di un marchio, registrato in sede comunitaria o nazionale, quando la questione assuma rilevanza ai fini della qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’imputazione Sez. 5, n. 43515 del 21/09/2010 Rv. 249479 Sez. 3, n. 31868 del 17/03/2016 Rv. 267668 . Così come rimane legittima ogni questione sulla corretta qualificazione giuridica della fattispecie, ai sensi dell’art. 474 o 517 c.p., cui ha fatto cenno il provvedimento impugnato, avendo il Riesame solo l’obbligo di pronunciarsi su un medesimo fatto e non necessariamente di ritenere la stessa qualificazione di esso già accordata dal primo giudice Sez. 6, n. 18767 del 18/2/2014, Giacchetto, Rv. 259679 . In questa fase cautelare, peraltro, non vi è dubbio che sussistano i gravi indizi per ritenere configurabile il reato di cui all’art. 474 c.p., fermo restando che la doppia registrazione in Italia di marchi in parte sovrapponibili e la presenza di controversie civili in merito alla loro legittimità reciproca come attestano le numerose vicende giudiziarie, penali e civili, pendenti in diversi Tribunali italiani , aggiunti alla circostanza, anch’essa problematica, afferente alla mancata registrazione sinora del marchio in sede Europea, sono tutti elementi che devono indurre ad un maggior approfondimento del profilo soggettivo di attribuibilità del reato, nelle future valutazioni di merito. 3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale e illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento di sequestro, che mancherebbe delle necessarie indicazioni quanto alle finalità perseguite con il vincolo disposto e sarebbe solo motivato con frasi di stile. L’eccezione è manifestamente infondata, poiché, là dove evidenzia un vizio di motivazione, travalica i limiti del sindacato di legittimità in fase cautelare, circoscritti, come noto, alla deduzione di ragioni di specifiche violazioni di legge o di manifesta illogicità secondo i canoni di logica ed i principi di diritto e giammai estesi a censure che riguardano la ricostruzione dei fatti o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, Di Iasi, Rv. 269884 Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, Lupo, Rv. 252178 . La motivazione del Riesame, peraltro particolarmente ampia e dettagliata sul fumus commissi delicti , data anche la complessità delle questioni sottoposte, ritrova non illogicamente, per quanto implicitamente, le finalità del sequestro nella necessità di sottrarre le felpe contraffatte al mercato illegale ed evidenzia, invece, espressamente che si tratta - come vero - di beni assoggettabili a confisca obbligatoria ex art. 474 bis c.p., che, in ogni caso, impedirebbe la restituzione ai sensi dell’art. 324 c.p.p., comma 7. Deve ribadirsi, infatti, che i prodotti industriali oggetto dell’illecita condotta di contraffazione, quali sono i capi di abbigliamento con marchi contraffatti anche qualora siano destinati all’uso personale e non al commercio , devono essere confiscati, rientrando nella previsione delle cose delle quali la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione costituiscono reato Sez. 2, n. 44380 del 29/10/2008, Bedeschi, Rv. 242802 . Tali motivazioni, nel loro complesso, rispondono alla logica affermata dalla più recente giurisprudenza di legittimità che, in tema di sequestro probatorio, ha stabilito che, anche qualora il decreto abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, esso deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti Sez. U, n. 36072 del 19/4/2018, Botticelli, Rv. 273548 . La proporzionalità, infine, non è un requisito che attiene alle ragioni di legittimità del sequestro probatorio, mentre, quanto alla rilevanza civilistica della intera vicenda, si rammenta quanto esposto al punto 2 in merito alla gravità indiziaria del reato di cui all’art. 474 c.p., quanto meno in questa fase cautelare. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.