La detenzione domiciliare speciale e la tutela dell’interesse del minore

Scopo dell’art. 47- quinquies ord. pen. è quello di tutelare il soggetto debole, distinto dal condannato e meritevole di protezione, ossia il minore in tenera età per far sì che instauri un rapporto quanto più possibile normale con il genitore condannato .

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 26681/19, depositata il 17 giugno. Il Tribunale di sorveglianza rigettava la richiesta di detenzione domiciliare speciale avanzata da una detenuta per espiare la pena relativa al delitto di associazione finalizzata al narcotraffico. Per l’organo giudicante, in realtà, l’istanza era ammissibile, essendo la richiedente madre di figli minori di 10 anni ed avendo scontato oltre un terzo della pena inflitta, ma ciononostante non potevano escludersi, dalle informazioni rese dalla polizia, contatti della donna con il crimine organizzato. Il difensore di quest’ultima ricorre in Cassazione sostenendo che il provvedimento adottato avrebbe basato il giudizio di pericolosità sociale su valutazioni astratte. La misura alternativa della detenzione domiciliare speciale. La Suprema Corte ribadisce che lo scopo dell’art. 47- quinquies ord. pen. il quale prevede l’applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare speciale è quello di tutelare il soggetto debole, distinto dal condannato e meritevole di protezione, ossia il minore in tenera età per far sì che instauri un rapporto quanto più possibile normale con il genitore condannato. E affinché si tuteli l’interesse del minore ed esso possa essere recessivo difronte alle esigenze di protezione della società del crimine occorre che la sussistenza di tali esigenze venga verificato in concreto, anziché in maniera presuntiva così da non consentire al giudice alcun tipo di intervento al riguardo. L’ordinanza impugnata, dunque, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza per nuovo esame in ordine all’esistenza del concreto pericolo di commissione di ulteriori reati da parte della condannata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 marzo – 17 giugno 2019, n. 26681 Presidente Iasillo – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Palermo rigettava l’istanza di detenzione domiciliare speciale , avanzata, a norma dell’art. 47-quinquies Ord. pen., da V.M. , detenuta presso la casa circondariale di Palermo, in espiazione della pena inflitta con sentenza emessa dalla locale Corte di appello il 28 dicembre 2016 e scadente, allo stato, il 17 giugno 2023. La condanna, pronunciata a carico dell’istante, era relativa al delitto di associazione finalizzata al narcotraffico e a reati ulteriori previsti dal T.U. stup Secondo il Tribunale l’istanza era ammissibile, essendo la richiedente madre di prole di età inferiore ai dieci anni e avendo la medesima scontato oltre un terzo della pena inflitta. Ciò nondimeno, il medesimo giudice rilevava come non potessero escludersi, sulla base delle acquisite informazioni di polizia, contatti della donna con il crimine organizzato. Quest’ultima aveva compiuto solo un primo piccolo passo in direzione del lungo percorso rieducativo che l’attendeva, e risultava, pertanto, prematura una valutazione di attendibile assenza del rischio di recidiva, reso più elevato dal prospettato reinserimento della condannata nel contesto socio-territoriale già teatro del suo vissuto delinquenziale. Il mancato ritorno di lei al domicilio poteva essere compensato, rispetto al figlio minore, dalle cure materiali che i fratelli più grandi avrebbero potuto assicurargli, e dall’intervento dei servizi sociali territoriali e d’istituto, in grado di sopperire al disagio del minore, pur affetto da profonde paure abbandoniche . 2. Ricorre per cassazione il difensore di fiducia della condannata, sulla base di unico motivo, con cui denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione. Secondo la parte ricorrente, il provvedimento adottato avrebbe basato il giudizio di pericolosità sociale su valutazioni astratte, disancorate dai dati di realtà, tenuto conto del lungo periodo quattro anni trascorso dall’interessata, anteriormente all’intervenuta definitività del titolo, in arresti cautelari presso il medesimo domicilio sopra menzionato, esente da qualsiasi inconveniente. Lo stesso provvedimento avrebbe poi trascurato di prendere in adeguata considerazione gli aspetti di maggiore rilevanza ai fini della decisione, costituiti dalla possibilità della misura di consentire il ripristino del ruolo genitoriale, nell’interesse preminente del minore cui non sarebbero bastati interventi vicari di altre figure, ancor meno di tipo istituzionale , e di assecondare il reinserimento sociale della condannata, invero proficuamente avviato e che non si sarebbe potuto pretendere si fosse già esaurito . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Questa Corte ha ripetutamente evidenziato Sez. 1, n. 47092 del 19/07/2018, Barbi Cinti, Rv. 274481-01 Sez. 1, n. 32331 del 10/07/2018, Giugliano Sez. 1, n. 25164 del 2017, dep. 2018, Troia, citata Sez. 1, n. 38731 del 07/03/2013, Radouane, Rv. 257111-01 il prioritario rilievo che, nell’economia dell’istituto regolato dall’art. 47-quinquies Ord. pen., assume l’interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore in tenera età, ad instaurare un rapporto quanto più possibile normale con il genitore e con la madre, in particolare in una fase nevralgica del suo sviluppo quello stesse interesse che - chiamando in gioco plurimi parametri costituzionali artt. 3, 29, 30 e 31 della Carta - ha indotto la Corte omonima a caducare , con pronuncia n. 234 del 2014 dichiarativa della sua illegittimità costituzionale, la previsione che assoggettava la misura alternativa al regime di rigore, sancito dall’art. 4-bis Ord. Pen., comma 1 e 1-bis. L’interesse del minore suddetto, a fruire in modo continuativo dell’affetto e delle cure genitoriali, non forma certamente oggetto di protezione assoluta, tale da sottrarlo ad ogni possibile bilanciamento con esigenze contrapposte, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore, in seguito alla commissione di un reato, e alle condizioni che la regolano. Proprio a una simile logica di bilanciamento risponde, in effetti v. anche Corte Cost. nn. 76 del 2017 e 177 del 2009 , la disciplina delle condizioni di accesso alla detenzione domiciliare speciale , stabilita dall’art. 47-quinquies Ord. Pen., comma 1 condizioni tra le quali figura anche quella, in sé correttamente presa in esame dal Tribunale di sorveglianza, della insussistenza di un reale ed effettivo pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte del condannato. Affinché l’interesse del minore - rispetto a cui non è affatto indifferente che le cure e l’assistenza dovute siano prestate da persone diverse dal genitore v. anche Corte Cost. n. 250 del 2003 - possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine occorre, tuttavia, come ammonisce la stessa giurisprudenza costituzionale cui si è fatto riferimento, che la sussistenza e la consistenza di queste ultime esigenze venga verificata in concreto, secondo quanto richiesto dalla disposizione in esame, nonché in termini positivi, anziché essere collegata ad indici presuntivi che precludano al giudice ogni autonomo margine di apprezzamento e intervento. 3. Da tale corretta impostazione l’ordinanza impugnata si è manifestamente discostata, avendo la relativa motivazione indebitamente invertito il ragionamento logico lì ove si è limitata a constatare che non fosse da escludere il pericolo di recidiva, in rapporto al paventato rientro della condannata nella sua abitazione di Palermo. Nell’argomentare in tal senso, il provvedimento oltretutto, da un lato, ha omesso di considerare come la donna vi avesse già trascorso - senza segnalati problemi - quattro anni di arresti domiciliari cautelari, tra il giugno 2014 e il maggio 2018, prima che il titolo a suo carico divenisse definitivo e, per altro verso, pur dando atto della sofferenza psicologica del minore, affetto da sindrome di abbandono, ha contraddittoriamente ritenuto che questi potesse indifferentemente giovarsi del sostegno di soggetti diversi da quelli investiti del peculiare ruolo genitoriale. 4. L’ordinanza impugnata, viziata sotto i profili esaminati, deve essere pertanto annullata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Palermo, che provvederà a rinnovato esame in ordine all’esistenza del concreto pericolo di commissione di ulteriori reati da parte della condannata, ove ammessa alla misura alternativa, nonché alla possibilità per lei, suo tramite, sia di proficuo reinserimento sociale sia di effettivo esercizio delle cure parentali nei confronti del figlio minore di dieci anni. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di sorveglianza di Palermo per nuovo esame.