Presentazione (per conto terzi) di istanza di revoca domiciliari: atto “tipico” della professione di avvocato

La presentazione di una istanza di sostituzione della misura cautelare, sottoscritta da soggetto non iscritto all’Albo degli avvocati, in veste di rappresentante legale delle persone ristrette, é attività tipica di assistenza legale”, svolta in piena rappresentanza degli interessati, non firmatari dell’atto, che integra appieno il reato di esercizio abusivo della professione, anche laddove siffatta assistenza sia svolta in via isolata e non abituale.

Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26113/19, depositata in cancelleria il 13 giugno. Difensore non iscritto all’Albo degli Avvocati. Nel caso di specie, un uomo ha depositato presso la cancelleria di un Tribunale due richieste di revoca di arresti domiciliari esercitando – di fatto – la professione di avvocato, senza tuttavia essere iscritto al corrispondente Albo. Ne è scaturito un procedimento penale in relazione al reato di esercizio abusivo della professione ex art. 348 c.p In esito al giudizio di primo grado, il Tribunale ha accertato la responsabilità penale dell’imputato per l’effetto condannandolo alla pena di giustizia. Tanto ha confermato la Corte d’appello, adita dalla difesa in sede di gravame. Esercizio abusivo della professione. La sentenza della Corte territoriale è stata sottoposta a censura dinanzi alla Suprema Corte. In particolare, agli Ermellini è stata paventata l’erroneità della decisione nella parte in cui, i Giudici dell’appello, nel pronunciare la condanna negativa, non avrebbe tenuto conto che l’imputato si sarebbe - in verità - limitato a fare da mero tramite” tra i suoi deleganti i.e. i soggetti ristretti agli arresti domiciliari, impossibilitati a redigere una istanza di revoca e l’autorità giudiziaria, con ciò senza voler assumere altrui difese formali recte professionali . Allo stesso tempo, ha contestato la riconducibilità degli atti compiuti dall’imputato i.e. il deposito delle istanze alla professione propriamente di avvocato. La Suprema Corte, nel pronunciarsi sulla vicenda, ha dichiarato inammissibile il ricorso, per l’effetto confermando la correttezza dell’apprezzamento svolto dai giudici di merito e la conseguente condanna. L’inconfutabile colpevolezza dell’imputato – spiegano in sentenza gli Ermellini – sarebbe anzitutto discesa, anche a valere sul versante dell’elemento soggettivo, dalla piana circostanza che le firme degli asseriti deleganti erano state apposte solo in delega e non anche sulle istanze di revoca da qui, l’esercizio della rappresentanza . Atti tipici e non tipici della professione. Quanto, invece, alla riconducibilità - in concreto - della condotta contestata alla fattispecie criminosa art. 358 c.p. il Consesso ribadisce che integra il reato di che trattasi il compimento, senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di una attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato . Peraltro – si precisa – dal momento che il reato in questione ha natura istantanea, non esige un’attività continuativa od organizzata ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusiva esercitata . In definitiva, come si ricorda in sentenza, la punibilità per il reato di esercizio abusivo della professione può discendere anche dal compimento di atti c.d. non tipici” della professione, ancorché a questa riconducibili, e sempre che siano commessi in modo abituale i.e. non deve trattarsi di un atto isolato, bensì dello svolgimento, in via organizzata, quantomeno in apparenza, della professionale . Gli atti tipici della professione di avvocato. Venendo alla professione di avvocato, si richiama l’art. 2, comma 5, legge 31 dicembre 2012, n. 247 Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense” , laddove è previsto che Sono attività esclusive dell'avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l'assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali , per poi precisare, al successivo comma 6, e per quanto di interesse, che Fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l'attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all'attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, é di competenza degli avvocati [] . Talchè, secondo la Corte, è tipica” della professione dell’avvocato lo svolgimento di qualunque atto idoneo ad incidere sulla progressione del procedimento e del processo svolto in piena rappresentanza degli interessati, nulla rilevando che l’atto poteva essere redatto personalmente dagli stessi . Al contrario, esulano dagli atti tipici solo le attività di consulenza le quali – giusto quanto sopra precisato – possono diventare rilevanti sole se svolte in modo continuativo. Presentazione dell’istanza quale atto tipico”. In definitiva, sul crinale delle considerazioni che precedono, la presentazione di una istanza di sostituzione della misura cautelare, sottoscritta unicamente dal soggetto agente i.e. imputato , quale rappresentante legale delle persone ristrette, si risolve in una attività propriamente tipica di assistenza legale” svolta in piena rappresentanza degli interessati, non firmatari dell’atto, e tanto vale ad integrare il reato contestato, anche quando tale assistenza sia svolta in via isolata e non abituale.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 maggio – 13 giugno 2019, n. 26113 Presidente Diotallevi – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. Si contestava al ricorrente il reato previsto dall’art. 348 c.p. poiché aveva depositato presso la cancelleria del Tribunale di Crema due richieste di revoca degli arresti domiciliari esercitando di fatto la professione di avvocato senza essere iscritto all’albo. La Corte di appello di Brescia, decidendo in seguito all’annullamento con rinvio della Cassazione confermava l’accertamento di responsabilità effettuato dal Tribunale e lo condannava alla pena di Euro 200,00. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva 2.1 violazione di legge e vizio di motivazione la Corte di appello non avrebbe tenuto in considerazione le indicazioni contenute nella sentenza di annullamento e non avrebbe valutato il fatto che il ricorrente si era limitato a fare da tramite tra le persone ristrette e l’autorità giudiziaria, senza volere esercitare abusivamente la professione forense, ma solo aiutare i deleganti che non erano in grado di predisporle in proprio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 1.1. Preliminarmente il collegio rileva che non si registra alcuna violazione dell’art. 627 c.p.p Invero la Cassazione nella sentenza rescindente presupponeva l’esistenza della firma delle persone ristrette sulla istanza di sostituzione pag. 2 della sentenza di annullamento ed invitava la Corte di merito ad integrare rilevate carenze motivazionali sia in ordine all’esistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, sia in ordine alla possibilità di presentare atti giudiziaria servendosi di incaricati. La Corte di appello di Brescia, tenendo in considerazione le indicazioni fornite dalla sentenza di annullamento, ha rilevato che le istanze erano redatte dal C. a proprio nome, in qualità di patrocinatore delle persone ristrette, firmandole egli stesso, mentre le firme delle persone sottoposte agli arresti domiciliari comparivano solo nell’atto di delega pag. 5 della sentenza impugnata tali emergenze secondo l’apprezzamento della Corte di merito erano incompatibili con l’esclusione dell’elemento soggettivo del reato contestato ed indicavano in modo inequivoco che il C. aveva svolto illecitamente un atto riservato agli iscritti all’albo degli avvocati si tratta di una motivazione priva di vizi logici che non si sottrae agli oneri imposti dall’art. 627 c.p.p 1.2. Per quanto riguarda l’estensione oggettiva della fattispecie il collegio ribadisce che integra il reato di esercizio abusivo di una professione art. 348 c.p. , il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011 - dep. 23/03/2012, Cani, Rv. 251819 . Sulla scorta di tali autorevoli indicazioni si è affermato, da un lato, che il delitto previsto dall’art. 348 c.p., avendo natura istantanea, non esige un’attività continuativa od organizzata ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata Sez. 6, n. 11493 del 21/10/2013 - dep. 10/03/2014, Tosto, Rv. 259490 Sez. 6, n. 30068 del 02/07/2012 - dep. 23/07/2012, Pinori e altro, Rv. 253272 Sez. 6, n. 42790 del 10/10/2007 - dep. 20/11/2007, P.G. in proc. Galeotti, Rv. 238088 . Da altra prospettiva si è affermato altresì che integra il reato di esercizio abusivo di una professione art. 348 c.p. , il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché l’attività venga svolta con modalità tali, per continuatività, onerosità ed organizzazione, da creare l’oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato. Sez. 6, n. 33464 del 10/05/2018 - dep. 18/07/2018, Melis, Rv. 273788 . Tale ultimo approdo ermeneutico ha sviluppato le indicazioni fornite dalle Sezioni Unite che hanno espressamente affermato che sono punibili anche atti non tipici , ma riconoscibili come riferibili alle professioni protette, sempre che siano stati posti in essere in modo abituale segnatamente è stato affermato che la condotta abituale ritenuta punibile deve essere posta in essere con le oggettive apparenze di un legittimo esercizio professionale, perché solo a questa condizione, in presenza di atti non riservati per se stessi, si viola appunto il principio della generale riserva riferita alla professione in quanto tale, con correlativo tradimento dell’affidamento dei terzi. Ne consegue che quando tali apparenze mancano, sia per difetto di abitualità, organizzazione o remunerazione, sia perché il soggetto agente espliciti in modo inequivoco che egli non è munito di quella specifica abilitazione e opera in forza di altri titoli o per esperienza personale comunque acquisita, si è fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 348 c.p. Tale violazione va compiuta peraltro, in conformità all’interesse protetto dal reato, su un piano generale e oggettivo, e non nella dimensione dello specifico rapporto interpersonale, con quanto ne consegue ai fini della persistente irrilevanza scriminante del consenso del singolo destinatario della prestazione abusiva così Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011 - dep. 23/03/2012, Cani, Rv. 251819 . Si tratta di una interpretazione che, risolvendo il precedente contrasto, ha assegnato rilevanza non solo alla effettuazione di atti tipici delle professioni protette, ma anche di quelli non tipici, ma riconosciuti come caratteristici della professione protetta sempre se svolti in modo continuativo. 1.3. Con specifico riguardo alla professione dell’avvocato La L. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense , all’art. 2, comma 5 stabilisce che sono attività esclusive dell’avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali, mentre al successivo comma 6 aggiunge poi che fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati . 1.4. Deve ritenersi pertanto che con riferimento alla professione protetta dell’avvocato sia da considerarsi attività tipica lo svolgimento di qualunque atto idoneo ad incidere sulla progressione del procedimento e del processo svolto in piena rappresentanza degli interessati, nulla rilevando che l’atto poteva essere redatto personalmente dagli stessi, mentre esulano dagli atti tipici solo le attività di consulenza, che possono divenire rilevanti solo se svolte in modo continuativo Sez. 6, n. 17921 del 11/03/2003 - dep. 15/04/2003, Gava Livio, Rv. 224959, contra Sez. 6, n. 32952 del 25/05/2017 - dep. 06/07/2017, Favata, Rv. 270853 . 1.5. Deve ritenersi pertanto che l’attività contestata, ovvero la presentazione di una istanza di sostituzione della misura cautelare, sottoscritta unicamente dal ricorrente come rappresentante legale delle persone ristrette, si risolva in una attività tipica di assistenza legale svolta in piena rappresentanza degli interessati, non firmatari dell’atto si tratta dunque di una condotta che, in coerenza con le indicate linee ermeneutiche, integra il reato in contestazione anche se svolta in modo isolato e non abituale. La motivazione della sentenza impugnata si presenta priva di vizi logici e coerente con le indicate linee ermeneutiche sicché si sottrae ad ogni censura. 2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende.