Esclusa la speranza di ottenere i domiciliari: persistono le esigenze cautelari

Il giudice dell’appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione per violazione del principio di devoluzione parziale laddove prenda in esame il punto della sussistenza delle esigenze cautelari nella sua interezza.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24649/19, depositata il 3 giugno. La vicenda. Il Tribunale di Trento, quale giudice del riesame, rigettava l’appello proposto da un indagato al quale venivano contestati alcuni reati in materia di stupefacenti avverso l’ordinanza della Corte d’Appello che aveva confermato l’applicazione della custodia cautelare in carcere per inammissibilità dell’istanza di sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari. Avvero tale provvedimento propone ricorso per cassazione il difensore dell’interessato. Esigenze cautelari. Il ricorso risulta privo di fondamento in quanto il provvedimento della Corte di merito risulta adeguatamente motivato in relazione alla valutazione negativa del soggetto, rafforzata peraltro dalla condanna anche in secondo grado a cospicua pena detentiva, nonché dalla recidiva in considerazione alla pregressa condanna ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. Persiste infatti la valutazione sfavorevole sul quadro indiziario e sulle esigenze cautelari attesa l’assorbente prognosi negativa personale circa la possibilità di accedere in sicurezza alla detenzione domiciliare . La motivazione del provvedimento impugnato si presenta infatti congrua e logica non essendosi limitata a considerare l’assenza di fissa dimora e di fonti di reddito dell’indagato, ma ha considerato complessivamente la situazione indiziaria e cautelare ribadendo come i requisiti di applicazione delle misure cautelari non concedessero alcuna differente opzione. Ricorda infatti la Corte che rientra nei potersi del giudice chiamato a decidere in sede di appello ex art. 310 c.p.p. accertare la ricorrenza, nell’ambito della concreta fattispecie, degli elementi previsti dalla legge per l’applicabilità di una determinata norma, indipendentemente dal fatto che una tale indagine sia stata trascurata nel precedente grado o che il rigetto dell’istanza abbia trovato una diversa giustificazione . Ne consegue che il giudice dell’appello cautelare non incorre nel vizio di ultrapetizione per violazione del principio di devoluzione parziale laddove prenda in esame il punto della sussistenza delle esigenze cautelari nella sua interezza, al di là delle specifiche esigenze che nell’atto siano indicate come oggetto di erronea valutazione. Per questi motivi, il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 febbraio – 3 giugno 2019, n. 24649 Presidente Sarno – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 13 novembre 2018 il Tribunale di Trento, quale Giudice del riesame delle misure cautelari personali, ha rigettato l’appello proposto da B.K. , indagato per i reati di cui agli artt. 110 e 337 c.p., nonché D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, nei confronti dell’ordinanza del 17 ottobre 2018 della Corte di Appello di Trento, in forza della quale era stata dichiarata l’inammissibilità dell’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, applicata nei suoi confronti, con quella degli arresti domiciliari. 2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi di impugnazione. 2.1. In particolare, col primo motivo il ricorrente ha osservato che il Tribunale di Trento aveva già rigettato con ordinanza del 6 febbraio 2018 la richiesta di concessione degli arresti domiciliari, in quanto il soggetto che avrebbe dovuto dare ospitalità al ricorrente non appariva legittimato ad un tanto in forza del contratto di locazione, e dei divieti convenzionali ivi previsti. In sede invero di rinvio, dopo l’annullamento in sede di legittimità - per motivi formali della successiva decisione del Giudice del riesame, con ordinanza del 18 settembre 2018 il Tribunale del riesame aveva disatteso nuovamente l’istanza allegando peraltro il diverso pericolo di recidiva in ragione dell’eventuale permanenza dell’imputato - in regime di custodia domiciliare - nella stessa abitazione oggetto di perquisizione e sequestro, e nella quale erano stati rinvenuti denaro e bilancino di precisione, ossia strumentario e proventi dello spaccio di stupefacenti. A fronte di tale nuova motivazione era stata proposta ulteriore istanza alla Corte trentina, giudice del dibattimento, all’uopo indicando diverso soggetto disponibile all’accoglienza ed al mantenimento, oltretutto in altro Comune omissis rispetto al capoluogo, mentre il ricorrente aveva altresì manifestato la propria disponibilità ad accettare il braccialetto elettronico. La Corte di Appello adita aveva ritenuto l’inammissibilità dell’istanza invero adducendo il pericolo di recidiva, e così nuovamente modificando la ratio decidendi, in tal modo evidenziando l’illogicità dell’intero percorso motivazionale, a dimostrazione della sola decisione di mantenere in vinculis l’imputato. 2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha allegato la manifesta illogicità dell’ordinanza, atteso che ai fini del diniego della richiesta era stata enfatizzata l’esistenza di un remoto precedente del 2013, laddove la concessione della sospensione condizionale sarebbe stata ivi utilizzata per continuare nell’attività criminosa. Tale precedente aveva avuto peraltro ad oggetto un fatto lieve punito a norma dell’art. 73 cit., comma 5, mentre era stata addirittura parificata la posizione del ricorrente con quello di un delinquente abituale per quanto poi riguardava la dedotta assenza di fissa dimora e di stabile fonte di reddito, era stata appunto prodotta dichiarazione di disponibilità all’accoglienza e al mantenimento da parte di cittadino egiziano con regolare attività lavorativa, ed allo stesso tempo era stata ribadita la disponibilità al controllo con braccialetto elettronico. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. 4.1. Il ricorrente si è sostanzialmente doluto della molteplicità di risposte negative le quali, peraltro con motivazioni differenti, avrebbero nel tempo riscontrato la propria richiesta di sostituzione della misura custodiale massima con gli arresti domiciliari. La questione, pur suggestiva, non ha fondamento. 4.1.1. In fatto il rilievo non corrisponde a verità e, per quanto possa occorrere, è smentito dalla stessa produzione documentale allegata al ricorso. Vero è, infatti, che il provvedimento di rigetto del 6 febbraio 2018 del Tribunale di Trento veniva giustificato dal permanere del quadro probatorio e delle esigenze cautelari, nonché dall’inidoneità del soggetto ivi indicato a dare ospitalità a terzi per espresso divieto contrattuale. Del pari l’ordinanza del 18 settembre 2018, peraltro ricalcando il precedente provvedimento del 6 marzo 2018 annullato per viziata composizione del Collegio, ha ravvisato comunque l’inidoneità dell’abitazione già occupata dall’odierno ricorrente, atteso altresì il pericolo di fuga, nonché in considerazione dello specifico stato dei luoghi colà erano stati invero rinvenuti i materiali propedeutici allo spaccio ed al confezionamento dello stupefacente . Infine l’ordinanza impugnata in questa sede ha comunque ribadito la negativa valutazione personale, tra l’altro rafforzata dalla condanna anche in secondo grado a cospicua pena detentiva, nonché dalla recidiva in considerazione della pregressa condanna per fatti qualificati a norma del D.P.R. n. 309 cit., art. 73, comma 5. Al riguardo, la stessa sospensione condizionale della pena, anziché favorire il recupero sociale, aveva in realtà rinforzato i propositi delittuosi, ed in ragione di ciò anche la nuova disponibilità all’accoglienza domestica non modificava il quadro attesa l’insufficiente garanzia alla limitazione alla libertà di movimento, stante la possibile ripresa dell’attività illecita anche per la mancata prova in ordine all’interruzione dei legami con i canali di approvvigionamento dello stupefacente . 4.1.2. Contrariamente ai rilievi del ricorrente, pertanto, vi è costante valutazione sfavorevole su quadro indiziario rafforzato tra l’altro dalla duplice pesante pronuncia di responsabilità nei due gradi di merito ed esigenze cautelari, cui si sono - solamente - affiancate le successive considerazioni sull’inidoneità delle soluzioni abitative, ovvero infine la sostanziale superfluità dell’ultima proposta, attesa l’assorbente prognosi negativa personale circa la possibilità di accedere in sicurezza alla detenzione domiciliare. Tutto ciò a prescindere dal fatto che all’esame della Corte perviene solamente il provvedimento del 13 novembre 2018, che ha confermato, ancorché con un rigetto nel merito in luogo della pregressa dichiarazione di inammissibilità, la sfavorevole ordinanza pronunciata dalla Corte di Appello di Trento, che nelle more ha appunto comunque condannato il ricorrente alla pena di anni quattro mesi cinque di reclusione cfr. in proposito altresì pag. 4 del presente ricorso . Al riguardo, in ogni caso, la pronuncia di una sentenza di condanna in grado di appello ad una pena non sospesa o non suscettibile di sospensione costituisce elemento di per sé idoneo a rafforzare le esigenze cautelari poste a base del provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere Sez. 3, n. 8146 del 25/01/2012, M., Rv. 252754 . 4.1.3. In diritto, poi, è costante l’osservazione secondo cui rientra nei poteri del giudice chiamato a decidere in sede di appello ex art. 310 c.p.p., accertare la ricorrenza, nell’ambito della concreta fattispecie, degli elementi previsti dalla legge per l’applicabilità di una determinata norma, indipendentemente dal fatto che una tale indagine sia stata trascurata nel precedente grado o che il rigetto dell’istanza abbia trovato una diversa giustificazione tanto da rendere superfluo l’approfondimento di ulteriori profili di rilievo normativo Sez. 4, n. 36317 del 11/04/2008, Farinelli, Rv. 241893 . In linea generale, infatti, il giudice dell’appello cautelare non incorre comunque nel vizio di ultrapetizione, conseguente alla violazione del principio di devoluzione parziale, ove prenda in esame il punto della sussistenza di esigenze cautelari nella sua interezza, al di là delle specifiche esigenze che nell’atto di appello siano state indicate come oggetto di erronea valutazione Sez. 6, n. 13863 del 16/02/2017, Ferro, Rv. 269461 . 4.1.4. Non sussiste pertanto alcuna illogicità della motivazione, la quale non si è limitata a considerare l’assenza di fissa dimora dell’indagato, altresì privo di fonti di reddito, a fronte della disponibilità palesata da terza persona all’alloggio ed al mantenimento. Tenuto invero conto della complessiva situazione indiziaria e cautelare siccome resa evidente anche tanto dalla precedente condanna quanto dal comportamento tenuto in pendenza di sospensione condizionale della pena, nonché infine dalla condanna non definitiva in appello , anzi, la Corte territoriale ha inteso nuovamente superare l’istanza domiciliare, ulteriormente ribadendo come i requisiti di applicazione delle misure non concedessero opzione differente. 5. L’infondatezza dell’impugnazione non può che condurre quindi al rigetto del ricorso. Ne consegue altresì la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si manda infine alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.