Due piante di cannabis sul terrazzino: condannato

Definitiva la sanzione per l’uomo finito sotto processo otto mesi di reclusione e 1.000 euro di multa. A rendere grave la condotta in esame è soprattutto la certificazione che le due piantine contenevano un principio attivo corrispondente a circa 55 dosi medie singole, non compatibili con un uso esclusivamente personale.

Il ‘pollice verde’ può costare carissimo, anche una condanna penale. A sperimentarlo sulla propria pelle un uomo, di origini siciliane, sanzionato con otto mesi di reclusione e 1.000 euro di multa per avere coltivato sul terrazzino di casa due piante di cannabis. Decisivo il fatto che il principio attivo da esse contenuto era corrispondente a circa 55 dosi medie singole Cassazione, sentenza n. 24635/19, sez. III Penale, depositata oggi . Coltivazione. Scenario della vicenda è il territorio siciliano. Lì un uomo finisce sotto processo perché beccato a coltivare due piante di cannabis, interrate in due vasi di terracotta, rispettivamente dell’altezza di 89 centimetri e 92 centimetri . E il quadro probatorio a disposizione viene ritenuto sufficiente per arrivare a una condanna tuttavia, mentre in Tribunale la sanzione viene fissata in dodici mesi di reclusione e 3mila euro di multa , essa viene ridotta in Appello a otto mesi di reclusione e 1.000 euro di multa , con revoca, però, del beneficio della sospensione condizionale . Centrale per l’esito della battaglia giudiziaria è la valutazione della punibilità della condotta tenuta dall’uomo. E su questo punto si soffermano anche i giudici della Cassazione, respingendo le obiezioni difensive e ribadendo che l’offensività consiste nella idoneità a produrre la sostanza per il consumo. Sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente . Difatti, l’offensività deve essere esclusa soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della capacità ad esercitare, anche in misura minima, l’effetto psicotropo , chiariscono ancora i giudici. Principio. Ebbene, in questa vicenda si è appurato che le due piantine sequestrate erano in avanzato stato vegetativo e contenevano un principio attivo ‘Thc’ pari a 1,37 grammi, equivalente a 55,5dosi medie singole . Di conseguenza, la coltivazione in esame non è stata considerata inoffensiva . A inchiodare l’uomo, poi, anche la scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere così egli non ha neanche rivendicato l’eventuale uso personale della sostanza ricavabile dalle piante , sostanza che, in ogni caso, non era compatibile, per la sua quantità, con un suo utilizzo esclusivamente individuale , precisano i Giudici. Tirando le somme, una volta accertata la conformità delle piantine sequestrate al tipo botanico previsto per la produzione di sostanza stupefacente e la loro attitudine a produrre quantitativi di droga non minimi , è legittima la condanna dell’uomo sotto processo per produzione illecita di droga destinata ad essere messa in commercio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 febbraio – 3 giugno 2019, n. 24635 Presidente Sarno – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 22 novembre 2016, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, all'esito di rito abbreviato, condannava An. Pi. alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 1 di reclusione ed Euro 3.000 di multa, perché ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 73 del D.P.R. 309/1990 riconosciuta la fattispecie di cui al comma 5 , contestatogli per aver coltivato, interrate in due vasi di terracotta del diametro di circa 30 cm ciascuna, due piante di tipo cannabis, rispettivamente dell'altezza di 89 cm e 92 cm, misurate dall'invasatura alla cima, fatti accertati in Barcellona Pozzo di Gotto il 5 agosto 2016. Con sentenza del 16 marzo 2018, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava Sa pena in mesi 8 di reclusione ed Euro 1.000 di multa e, rilevata la causa ostativa di cui all'art. 164 comma 4 cod. pen., revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuto dal Tribunale, confermando nel resto. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello siciliana, Pi., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, la difesa deduce l'erronea applicazione degli art. 73 del D.P.R. 309/1990 e 49 cod. pen., nonché la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, contestando in particolare la formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato, in quanto operato senza alcuna verifica rispetto alla offensività in concreto della condotta si osserva al riguardo che la coltivazione rinvenuta sui terrazzino di casa di Fiore era Inidonea ad aggredire il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, stante la minima entità delle piantine, l'assenza di additivi chimici o di altre sostanze idonee ad aumentarne il processo di crescita, o comunque di bilancini o di altri strumenti atti alla misurazione e alla suddivisione delle piantine, per cui, dovendosi escludere la possibile diffusione delle già esigue sostanze rinvenute, il fatto doveva ritenersi del tutto inoffensive, e tanto anche alla luce del fatto che Fiore non annovera precedenti specifici a suo carico, in grado di poter far supporre un suo eventuale collegamento con gli ambienti dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti. Con il secondo motivo, infine, il ricorrente censura l'inosservanza degli art. 164, comma 4, 163 e 168, ultimo comma, cod. pen., evidenziando che la Corte di appello, dopo aver revocato la sospensione condizionale della pena concessa dal giudice di primo grado, stante la causa ostativa di cui all'art. 164, comma 4 cod. pen., ha tuttavia omesso di considerare che, ridimensionato il trattamento sanzionatorio, la sospensione condizionale poteva essere nuovamente concessa alla luce della nuova pena inflitta la quale, cumulata con quella della condanna precedente, non superava i limiti normativi fissati dagli art. 163 e 164 cod. pen. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che il giudizio di colpevolezza dell'imputato in ordine al reato di coltivazione di sostanze stupefacenti a lui ascritto non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. Al riguardo deve innanzitutto premettersi che, secondo il condiviso orientamento di questa Corte cfr. ex multis Sez. 3, n. 23881 del 23/02/2016, Rv. 267382 e Sez. 4, n. 17167 del 27/01/2017, Rv. 269539 , ai fini della punibilità della coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, cosicché l'offensività deve essere esclusa soltanto quando la sostanza ricavabile risulti priva della capacità ad esercitare, anche in misura minima, l'effetto psicotropo. Orbene, le due conformi sentenze di merito risultano pienamente coerenti con tale impostazione, avendo sia ii Tribunale che la Corte di appello rimarcato, all'esito di un'adeguata ricostruzione dei fatti di causa, peraltro non contestata, la circostanza che le due piantine sequestrate nell'abitazione di An. Pi. erano in avanzato stato vegetativo e che le stesse contenevano un principio attivo THC pari a 1,37 grammi, equivalente a 55,5 dosi medie singole, per cui la coltivazione in esame ragionevolmente non è stata considerata inoffensiva, tanto più ove si consideri che l'imputato, avvalendosi legittimamente della facoltà di non rispondere, non ha neanche rivendicato l'eventuale uso personale della sostanza ricavabile dalle piantine, sostanza, che in ogni caso, per la sua quantità, non era compatibile con un suo utilizzo esclusivamente individuale. In definitiva, stante la conformità delle piantine sequestrate al tipo botanico previsto per la produzione di sostanza stupefacente e la loro attitudine a produrre quantitativi di droga non minimi, la ritenuta configurabilità del reato contestato appare immune da censure, per cui la doglianza difensiva risulta infondata, anche perché basata su una lettura parziale del materiale probatorio. 2. Anche il secondo motivo di ricorso appare infondato. Ed invero, premesso che la revoca da parte della Corte di appello, ai sensi degli art. 163, 164 e 168 cod. pen., della sospensione condizionale della pena concessa dal Tribunale non è contestata, deve rilevarsi che, pur operando una mitigazione del trattamento sanzionatorio, i giudici di secondo grado, nel negare le attenuanti generiche, hanno comunque valorizzato i diversi precedenti penali dell'imputato, i quali sono destinati, anche implicitamente, ad assumere rilievo pure e anzi in particolar modo nell'ottica della valutazione sulla concedibilità della sospensione condizionale della pena, risultando gli stessi idonei ad orientare negativamente la prognosi sui futuri comportamenti dell'imputato, e ciò a prescindere dal superamento dei limiti di pena fissati dall'art. 163 cod. pen. Anche rispetto al diniego della sospensione condizionale della pena, la sentenza impugnata si sottrae quindi alle obiezioni difensive, tanto più che sul punto le stesse risultano formulate in termini non adeguatamente specifici, non avendo cioè la difesa illustrato le ragioni che, pur a fronte del nuovo episodio oggetto di giudizio e nonostante le pregresse esperienze illecite dell'imputato, avrebbero consentito di formulare una previsione favorevole sulle sue condotte future. 3. In conclusione, stante l'infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.