Il terzo proprietario dell’immobile sequestrato può ottenerne la restituzione?

Infondato il ricorso del PM che lamentava l’errata interpretazione dell’art. 474-bis c.p., in quanto l’obbligo di vigilanza imposto al terzo estraneo al reato per chiedere la restituzione dei beni sequestrati non può andare oltre a ciò che è espressamente previsto dal legislatore e dal contratto.

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23543/19, depositata il 29 maggio. Il caso. Il Tribunale di Roma, nelle vesti di giudice dell’impugnazione, confermava il decreto con cui il GIP aveva revocato il sequestro preventivo di un immobile, disposto poiché lo stesso era stato adibito a luogo di custodia e confezionamento di merce contraffatta, ordinando la restituzione del bene ai legittimi proprietari estranei al reato che avevano concesso in locazione l’appartamento agli indagati. Propone ricorso per cassazione il Pubblico Ministero, deducendo l’errata interpretazione dell’art. 474 -bis c.p., avendo il Tribunale sovrapposto i requisiti dell’imprevedibilità dell’illecito e del difetto di vigilanza, mentre dalla struttura della norma si evince che i due devono coesistere ai fini della restituzione del bene sequestrato ai terzi estranei al reato. Il dovere di vigilanza oggetto dell’art. 474-bis c.p La Corte di Cassazione dichiara infondato il ricorso. In base alle argomentazioni del PM, non sarebbe sufficiente, per evitare la confisca obbligatoria, che la prova liberatoria richiesta dall’art. 474- bis c.p. abbia ad oggetto solo l’imprevedibilità dell’illecito, dovendosi dimostrare anche l’assenza di un difetto di vigilanza. Il ricorrente aggiunge che a tal fine, l’obbligo di vigilanza dovrebbe essere attuato fin dal momento della stipulazione del contratto, con la previsione di apposite clausole volte non solo ad inibire al conduttore l’utilizzo dell’immobile per lo stoccaggio e la fabbricazione di merce falsa, ma anche a consentire al locatore l’accesso all’abitazione per finalità di controllo. Tale tesi non viene accolta dalla Suprema Corte, la quale afferma che a seconda della natura del bene oggetto del trasferimento, il terzo proprietario che chiede la restituzione dovrà dimostrare di non avere potuto prevedere l’illecito impiego del bene nella misura in cui il rapporto contrattuale gli permetteva di prevederlo e di avere adempiuto all’obbligo di vigilanza nella misura in cui la legge e i contratti gli permettevano di vigilare sull’uso della cosa . Il proprietario, dunque, dovrà adempiere al suo dovere di vigilanza in relazione a quanto previsto dalla legge e dal contratto, non potendosi ipotizzare un nuovo obbligo di vigilanza a suo carico derivante dall’art. 474- bis c.p Dunque, non essendo contemplato dal legislatore l’obbligo del proprietario dell’immobile di apporre apposite clausole contrattuali volte alla prevenzione dei delitti, sanzionandolo in caso contrario con la perdita dello stesso, la Corte conclude dichiarando l’infondatezza del ricorso, poiché la commissione del reato non era prevedibile dal locatore e non sussistono elementi da cui poter evincere un difetto di vigilanza a suo carico.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 18 gennaio – 29 maggio 2019, n. 23543 Presidente Rago – Relatore Saraco Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza del 5/10/2018 dep. 24.10.2018 oggi impugnata, il Tribunale di Roma in funzione di giudice dell’impugnazione, in sede di appello ha confermato il decreto con cui il G.i.p. dello stesso Tribunale revocava il sequestro preventivo di un immobile, disponendone la restituzione alle aventi diritto S.G. , T.V. e T.D. . In punto di fatto, il sequestro era stato precedentemente disposto dallo stesso G.i.p. nei confronti di Se.Ba. , Se.Di. , M.C. e F.S. , indagati per i reati di ricettazione e commercio di prodotti con segni falsi, nella specie di scarpe, borse, portafogli e abbigliamento di varie marche, anche con allestimento di mezzi. L’immobile in questione era stato sequestrato perché adibito a luogo di custodia e confezionamento della merce contraffatta. Il Pubblico Ministero ricorrente deduce i seguenti vizi 3.1. Violazione di legge ed errata interpretazione dell’art. 474 bis c.p., nella parte in cui il Tribunale confonde il difetto di diligenza con la non prevedibilità dell’uso illecito della res. Il PM sostiene l’erroneità dell’ordinanza impugnata nella parte in cui sovrappone e identifica il requisito della imprevedibilità dell’illecito con quello del difetto di vigilanza, considerando l’uno il parametro valutativo dell’altro, mentre dalla lettura del testo, dalla struttura e dalla ratio della norma si evince che i due requisiti sono separati e distinti e debbono coesistere al fine della restituzione dei beni in sequestro ai terzi estranei al reato. L’Ufficio ricorrente deduce, in particolare, che la e disgiuntiva posta tra le due proposizioni correlate ai requisiti in questione indica la volontà del legislatore di tenerle separate e distinte che la prevedibilità dell’illecito impiego sostanzia il requisito soggettivo della colpa, mentre il difetto di diligenza ne costituisce la componente oggettiva che la stessa ratio della norma è intesa alla massima espansione dell’istituto della confisca, al punto da rimettere al terzo estraneo al reato la prova liberatoria necessaria alla restituzione dei beni. Il ricorrente osserva, infine, che l’interpretazione data dal Tribunale, oltre a violare la lettera e la volontà legge, implica la sua irrazionale e sostanziale disapplicazione in tutti i casi in cui i terzi siano lontani dalla res, esonerandoli dalla diligenza dovuta a causa della non contiguità. 3.2. Violazione di legge con riguardo alla errata interpretazione del concetto di diligenza del proprietario contenuta nell’art. 474 bis, c.p Il ricorrente sostiene che il Tribunale erra là dove costruisce il dovere di diligenza modulandolo secondo criteri privatistici che non si attagliano e non sono conformi al contesto penale e sono in contrasto con l’art. 474 bis c.p. e con le sue finalità. In particolare il Pubblico ministero osserva che la diligenza richiesta, in ambito privatistico, al proprietario della cosa locata, non si estende fino a impedire che il conduttore utilizzi la res come luogo di stoccaggio o fabbricazione di merce contraffatta, mentre tale ultimo obbligo deriva proprio dall’art. 474 bis c.p. che seppur vero che il proprietario in generale non può accedere nell’abitazione del conduttore in quanto privato cittadino, sarebbe legittimato a farlo ove tale facoltà fosse prevista nel contratto. 3.3. Violazione di legge per l’errata interpretazione dell’art. 474 bis c.p., nella parte in cui si esclude che sul proprietario del bene incomba un generalizzato obbligo di vigilanza sull’uso della res a prescindere dall’esistenza di concreti elementi che possano far ipotizzare un uso illecito della stessa. Secondo il PM la diligenza del proprietario deve sussistere già al momento della redazione del contratto di locazione, con l’inserimento di clausole che inibiscano al conduttore di utilizzare l’abitazione allo stoccaggio e fabbricazione di merce contraffatta e che consentano al proprietario di accedere all’abitazione -anche con brevissimo preavviso per controllare che l’abitazione non sia destinata a scopi penalmente illeciti. L’Ufficio ricorrente ravvisa anche una contraddittorietà della motivazione impugnata, nella parte in cui, prima, pone la regola inflessibile della illegalità dei controlli nell’abitazione del conduttore e poi, invece, consente tale controllo sulla base di una percezione soggettiva del conduttore che sospetti ovvero preveda che nell’abitazione si stiano compiendo attività illecite. 3.4. Violazione di legge con riguardo alla errata interpretazione dell’art. 474 bis c.p., nella parte in cui il Tribunale assume che il concetto di diligenza del proprietario in senso costituzionalmente orientato non prevede un obbligo generalizzato di vigilanza sull’uso della res a prescindere dall’esistenza di concreti elementi che possano far ipotizzare un uso illecito della stessa. Il ricorrente sostiene che l’interpretazione costituzionalmente orientata proposta dal tribunale non tiene in considerazione che l’art. 42 subordina la proprietà al limite della funzione sociale, da intendersi nel senso che il diritto di proprietà non può prescindere dall’interesse della collettività e trova limite in questo. L’esistenza di un generalizzato obbligo di impedire che la proprietà venga utilizzata dal locatore a fini illeciti viene altresì confermata prosegue il PM dall’art. 41 Cost. che inibisce l’esercizio dell’iniziativa economica privata in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. 4. S.G. , T.V. e T.D. , a mezzo del loro difensore, con memoria depositata in data 4 gennaio 2019 difendono la correttezza del provvedimento impugnato dal PM e osservano che l’obbligo di vigilanza richiesto dall’art. 474 bis c.p., comma 3, deve essere ricavato da altre norme dell’ordinamento giuridico o, in mancanza, dai comuni criteri di diligenza, prudenza e perizia, variabili da una molteplicità di fattori che condizionano i termini della vigilanza richiesti nel caso concreto che nel caso concreto era stato stipulato un contratto di locazione abitativa con conseguente limitazione del potere di controllo sull’immobile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Le plurime argomentazioni sviluppate nel ricorso si incentrano sul tema della portata della diligenza richiesta al terzo estraneo al reato per evitare la confisca dei beni di sua appartenenza che servirono o furono destinati alla commissione di alcuno dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. e per i quali l’art. 474 bis c.p. prevede la confisca obbligatoria. Più nel particolare, il pubblico ministero ricorrente afferma che la lettera della norma induce a ritenere che la prova liberatoria richiesta dall’art. 474 bis, c.p. involga sia un momento soggettivo l’assenza di prevedibilità , sia un momento oggettivo l’assenza di un difetto di vigilanza da ciò si fa discendere la conseguenza che il terzo estraneo potrà sottrarre i propri beni alla confisca soltanto quando dimostri la sussistenza di entrambi i requisiti, mentre la mancata dimostrazione dell’uno e/o dell’altro consoliderà la confisca. In punto di fatto, nel caso concreto, è pacifica e riconosciuta anche dal PM che non era prevedibile per i locatori la commissione dei reati in questione, nell’appartamento da loro concesso in locazione a Se.Ba. , Se.Di. , M.C. e F.S. . Il Pm sostiene, però, che tanto non basta al fine di evitare la confisca, in quanto la e utilizzata dal legislatore mostra come la prova debba avere a oggetto non solo la non prevedibilità, ma anche l’assenza di un difetto di vigilanza. A sostegno della tesi vengono anche richiamati gli artt. 41 e 42 Cost. oltre che la scelta di rigore e di maggior tutela operata dal legislatore, che ha anche posto a carico del terzo l’onere della prova liberatoria. Sottolinea il Pm che l’obbligo di vigilanza andava attuato già al momento della stipulazione del contratto, con l’apposizione di specifiche clausole intese a inibire al conduttore di utilizzare l’abitazione allo stoccaggio e fabbricazione di merce contraffatta e che consentano al proprietario di accedere all’abitazione anche con brevissimo preavviso per controllare che l’abitazione non sia destinata a scopi penalmente illeciti. 2. Le deduzioni del Pm ricorrente sono infondate e contrastano con l’orientamento formatosi intorno all’esegesi dell’art. 474 bis c.p., al quale questo Collegio intende dare continuità. La Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 25625 del 19/04/2013, Tacchetti si è già espressa sullo specifico punto sollecitato dal Pm e ha dato risposta al quesito che involge l’interpretazione della norma in esame e che è stato così riassunto l’art. 474 bis c.p., comma 3, genera obblighi giuridici prima inesistenti, sanzionando il terzo proprietario estraneo in caso di mancato rispetto, o richiama obblighi giuridici già stabiliti in altre parti dell’ordinamento giuridico? Il quesito diventa più concreto con riferimento al difetto di vigilanza il proprietario di una cosa utilizzata o destinata alla contraffazione viene privato della proprietà della cosa mediante la confisca perché aveva un obbligo di vigilanza non rispettato derivante dalla possibile utilizzazione in quel modo della cosa, e quindi discendente direttamente dall’art. 474 bis c.p., oppure egli è tenuto a dimostrare di non essere incorso in un difetto di vigilanza stabilito da altre norme? . Si è dunque osservato che In realtà, interpretare l’art. 474 bis c.p., nel senso che il terzo proprietario della cosa debba in ogni caso a prevedere l’illecito impiego della cosa b vigilare sull’uso della cosa, significa affermare che la norma pone, in sostanza, delle clausole imperative ai contratti di trasferimento di detti beni e dei divieti a detto trasferimento, vietando di affittare o noleggiare o dare in comodato beni potenzialmente utilizzabili per la contraffazione a soggetti che prevedibilmente useranno detti beni con modalità illecite e imponendo in ogni caso di vigilare sull’uso che viene fatta della cosa che è stata ceduta non in proprietà. Ciò è palesemente irrealistico e verosimilmente contrario alla volontà del legislatore. Non è difficile giungere alla conclusione opposta che, cioè, a seconda della natura del bene oggetto del trasferimento, il terzo proprietario che chiede la restituzione dovrà dimostrare di non avere potuto prevedere l’illecito impiego del bene nella misura in cui il rapporto contrattuale gli permetteva di prevederlo e di avere adempiuto all’obbligo di vigilanza nella misura in cui la legge e i contratti gli permettevano di vigilare sull’uso della cosa. Si pensi all’affitto di un appartamento, risultato trasformato in laboratorio per la realizzazione di prodotti contraffatti evidentemente il proprietario non può imporre un uso lecito dell’immobile e, nel rapporto contrattuale, la previsione della destinazione futura dell’appartamento sarà limitata alla sua destinazione a civile abitazione o a ufficio allo stesso modo, la vigilanza possibile da parte del proprietario sarà quella prevista dalla legge e dal contratto. Ovviamente vi potranno essere casi particolari nei quali il difetto di vigilanza emergerà concretamente ad esempio, segnalazioni dei vicini di rumori o emissioni particolari, decisamente incompatibili con l’uso dell’immobile a civile abitazione ma non è ipotizzabile un nuovo obbligo di vigilanza derivante dalla previsione dell’art. 474 bis c.p. . 3. Con l’adesione al riportato orientamento seguito da Sez. 5, Sentenza n. 41040 del 24/09/2015, Perini Sez. 5, Sentenza n. 4821 del 26/09/2017, Rosmini si osserva che, diversamente da quanto sostenuto dal Pubblico ministero ricorrente, non è possibile imporre al locatore/proprietario di un bene immobile di apporre al contratto di locazione una sorta di clausole legali , con finalità di prevenzione di delitti, per di più sanzionato con la perdita del bene nel caso della loro mancata apposizione, in quanto ciò non è previsto dal legislatore ed esula dalla disciplina degli obblighi a carico delle parti di un contratto di locazione di bene immobile con finalità di civile abitazione. 4. Essendo pacifico che la commissione del delitto non era prevedibile e in assenza di elementi concreti da cui poter evincere un difetto di vigilanza a carico dei locatori, si giunge alla conclusione che il tribunale ha fatto corretta applicazione dell’art. 474 bis c.p., comma 3, con conseguente infondatezza del ricorso che, pertanto, va rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.