L’errore del Giudice nella sentenza di patteggiamento può sfociare nella rinegoziazione dell’accordo

Qualora il Giudice, nella sentenza di patteggiamento, abbia erroneamente qualificato come plurimi reati distinti suscettibili di integrare una sola fattispecie incriminatrice, all’errore può porsi rimedio solamente con l’annullamento senza rinvio della decisione, per dare alle parti la possibilità di modificare l’accordo.

Così decide la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23150/19, depositata il 27 maggio. Il caso. Il Tribunale di Verona, con sentenza ex art. 444 c.p.p., condannava l’imputato per i reati riuniti nel vincolo della continuazione di detenzione di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, ritenuti plurime violazioni del T.U. sugli stupefacenti art. 73 di lieve entità. Avverso la suddetta sentenza, propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, il quale deduce una violazione di legge per aver il Giudice ritenuto sussistente la pluralità di reati, uniti nel vincolo della continuazione, nonostante fosse stata messa in atto un’unica condotta delittuosa, costituita dalla detenzione di sostanze di tipo diverso. La detenzione di sostante di tipo diverso, qualora sia qualificabile come fatto di lieve entità, integra un unico reato. La Suprema Corte dichiara il ricorso fondato, osservando come, avverso la sentenza di patteggiamento, possa essere proposto ricorso per cassazione anche a causa dell’erronea qualificazione giuridica del fatto, ma solo ove questa risulti palesemente eccentrica in relazione al contenuto del capo di imputazione. Nel caso concreto, i Giudici riscontrano che l’errata qualificazione giuridica del fatto ascritto è ictu oculi evidente, poiché il Giudice ha ritenuto la fattispecie di cui all’art. 73 di lieve entità senza, però, configurarla come ipotesi autonoma di reato. In materia, la Corte richiama il principio in base al quale la detenzione di sostanze stupefacenti di tipo diverso costituisce un unico reato e non una pluralità di reati in concorso fra loro, qualora sia qualificabile come fatto di lieve entità nel suo complesso. Error in iudicando. Diversamente dai casi analoghi, i Giudici ermellini reputano, nel caso di specie, di affermare il principio secondo cui in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento che, ritenendo erroneamente l’istituto della continuazione, abbia illegittimamente qualificato come plurimi reati fatti distinti suscettibili di integrare un’unica fattispecie incriminatrice, all’ error in iudicando non può porsi rimedio con l’eliminazione della relativa frazione di pena applicata in aumento, dovendosi invece annullare la sentenza impugnata senza rinvio con trasmissione degli atti al Giudice procedente per consentire alle parti di rinegoziare l’accordo . Ciò poiché, in caso contrario, si andrebbe ad incidere sui presupposti dell’accordo impedendo che venga considerata la gravità complessiva dell’unico reato riconoscibile ai fini della quantificazione della pena. Per questo motivo, la Suprema Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, trasmettendo gli atti al Tribunale di Verona.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 aprile – 27 maggio 2019, n. 23150 Presidente Lapalorcia – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza ex art. 444 c.p.p. del 6 novembre 2018, il Tribunale di Verona ha applicato a E.Z.J. la pena di anni uno e mesi otto di reclusione e 1.800 Euro di multa per i reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di tipo hashish ed eroina, ritenuti di lieve entità e qualificati come plurime violazioni dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 3. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. e dell’art. 81 c.p., per essere stata ritenuta la pluralità di reati - riuniti nel vincolo della continuazione - pur in presenza di un’unica condotta di contestuale, illecita, detenzione di sostanze stupefacenti di tipo diverso. 4. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 81 c.p., commi 3 e 4, per essere stato violato il divieto del ricorso al cumulo giuridico quando ciò comporti l’irrogazione di una pena superiore a quella determinabile utilizzando il metodo del cumulo materiale, essendo stata nella specie applicata a titolo di aumento per la continuazione per un fatto di minima gravità una pena superiore al minimo edittale di mesi sei di reclusione, senza motivare sul punto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo, dovendo conseguentemente ritenersi assorbito il secondo. 2. Va premesso che in relazione al suddetto motivo l’impugnazione è da ritenersi ammissibile pur a seguito della novella attuata con L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 50, che ha introdotto la nuova disposizione di cui all’art. 448 c.p.p., comma 2 bis. In deroga a quanto in via generale stabilito dall’art. 606 c.p.p., comma 1, la suddetta previsione dispone che contro la sentenza di patteggiamento può essere proposto ricorso per cassazione solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza . Tenuto anche conto del fatto che l’imputazione non faceva alcun espresso riferimento al concorso omogeneo di reati od al reato continuato, né menzionava l’art. 81 c.p., l’essere stata ritenuta dalle parti - e ratificata dal giudice l’ipotesi della pluralità di reati ricondotta all’istituto della continuazione è questione che attiene alla qualificazione giuridica del fatto ascritto cfr., per analogo precedente in materia di impugnazione della sentenza di patteggiamento, Sez. 4, n. 10692 del 11/03/2010, Hernandez, Rv. 246394 . Sulla scia di un orientamento già in precedenza consolidato v. Sez. 7, ord. n. 39600 del 10/09/2015, dep. 2015, Casarin, Rv. 264766 Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, Brughitta e a., Rv. 264153 Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, Bisignani, Rv. 254865 , si è di recente condivisibilmente affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 50, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018, Maugeri, Rv. 272619 . In particolare, anche a seguito della richiamata novella , la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione e la verifica va compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti in ricorso Sez. 6, ord. n. 3108 del 08/01/2018, Antoci, Rv. 272252 . 3. Nel caso di specie, l’errata qualificazione giuridica dei fatti è ictu oculi evidente, affermando la sentenza impugnata che la detenzione delle due sostanze integra altrettanti reati, atteso che essa ha ad oggetto sostanze di stupefacenti di diverso tipo e che i reati possono ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione , pur trattandosi - come chiaramente si ricava dall’imputazione - di detenzione contestuale, essendo stato l’imputato trovato in possesso di 26 grammi lordi di hashish detenuti in uno zaino e di 2,70 gr. di cocaina rivenuti in una tasca dei pantaloni. Avendo il giudice ritenuto la fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, deve tuttavia osservarsi che essa va configurata come ipotesi autonoma di reato, con una pena unica ed indifferenziata, indipendentemente dalla diversa tipologia di stupefacente Sez. 7, n. 22398 del 26/01/2018, Allali, Rv. 272997, resa in fattispecie identica al caso in esame, trattandosi di ipotesi di illecita detenzione di sostanze stupefacenti di diverso tipo, quali eroina e hashish, in cui si è ritenuta illegittima la determinazione della pena operata dalla sentenza di patteggiamento impugnata applicando l’aumento della continuazione per effetto della erronea trasformazione della qualificazione del fatto da unico reato in due distinti reati nello stesso senso Sez. 4, n. 36078 del 06/07/2017, Dubini, Rv. 270806 . Il principio è stato di recente ribadito da questa Corte nella sua più autorevole composizione, essendosi con chiarezza affermato che il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, prevede un’unica figura di reato, alternativamente integrata dalla consumazione di una delle condotte tipizzate, quale che sia la classificazione tabellare dello stupefacente che ne costituisce l’oggetto, sicché la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualora sia qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076-02 . 4. Ciò premesso, la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Verona per l’ulteriore corso. Diversamente da quanto talvolta effettuato in casi analoghi a quello di specie - v., ad es., la citata sent. Sez. 7, n. 22398 del 26/01/2018, Allali, Rv. 272997 - reputa il Collegio di dover affermare il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento che, ritenendo erroneamente l’istituto della continuazione, abbia illegittimamente qualificato come plurimi reati fatti distinti suscettibili di integrare un’unica fattispecie incriminatrice, all’error in iudicando non può porsi rimedio con l’eliminazione della relativa frazione di pena applicata in aumento, dovendosi invece annullare la sentenza impugnata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice procedente per consentire alle parti di rinegoziare l’accordo. Ed invero, non può farsi in tali casi applicazione del principio - di recente ripetutamente affermato da questa Corte, in discontinuità con altro, più risalente, orientamento cfr. Sez. 5, n. 7453 del 16/10/2013, dep. 2014, Bertuzzi, Rv. 259529 Sez. 2, n. 35492 del 23/05/2012, Ponzo, Rv. 253889 secondo cui, in caso di patteggiamento per una pluralità di reati uniti dal vincolo della continuazione, il proscioglimento, nel corso del giudizio, per una qualsiasi causa, per uno dei cd. reati satellite non determina la caducazione dell’intero accordo, ma solo l’eliminazione della pena prevista per il suddetto reato, a condizione che nella motivazione della sentenza siano indicati i singoli aumenti da applicare per ciascun reato e non sia riportata la sola pena finale complessiva, non sussistendo, in tale ipotesi, il pericolo di un’indebita alterazione del profilo negoziale della pronuncia Sez. 1, n. 23171 del 01/03/2018, Famà, Rv. 273378 Sez. 3, n. 39521 del 20/07/2017, Achab, Rv. 271022 Sez. 3, n. 40320 del 22/06/2016, Seren Gai, Rv. 267758 . Quest’orientamento, di fatti, postula che l’accordo abbia ad oggetto fatti penalmente rilevanti obiettivamente diversi, con riguardo ad alcuno dei quali sia stata successivamente apprezzata l’irrilevanza penale ad esempio per intervenuta depenalizzazione o per essere stato ritenuto assorbito in altro reato senza che la valutazione incida sull’esistenza e gravità dei residui reati, con conseguente inidoneità a caducare l’accordo intervenuto sui medesimi. Quando, invece - come nella specie - le diverse condotte illecita detenzione di hashish e di cocaina erroneamente sussunte nel reato continuato piuttosto che in un’unica violazione di legge sussistano e abbiano di per sé disvalore penale, conservare la frazione di pena che era stata negoziata avendo a mente soltanto uno dei profili di illiceità vale a dire la detenzione di sostanza ritenuta integrare la maggior offesa dell’interesse protetto ed elidere la frazione di pena attribuita sia pur con l’erroneo ricorso al cumulo di reati all’ulteriore profilo di condotta, significherebbe incidere sui presupposti dell’accordo ed impedire che,ai fini della determinazione della penale, sia considerata la complessiva gravità dell’unico reato riconoscibile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Verona per l’ulteriore corso.