L’onere di motivazione del decreto di sequestro probatorio

Il decreto di sequestro probatorio avente ad oggetto capi di abbigliamento contraffatti deve ritenersi adeguatamente motivato, in quanto afferma l’esigenza di sequestro dei beni al fine di accertare la loro contraffazione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22040/19, depositata il 20 maggio. Il caso. Il Tribunale del riesame di Ascoli Piceno confermava il decreto di convalida del sequestro probatorio di alcuni capi di abbigliamento disposto in capo all’indagata in relazione ai reati di cui agli art. 474 Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi e 648 c.p. Ricettazione . Il provvedimento viene impugnato con ricorso per cassazione dalla difesa. Sequestro probatorio onere di motivazione. In tema di sequestro probatorio, il decreto deve sempre contenere una motivazione che, seppur concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento del fatto e ciò anche nel caso in cui abbia ad oggetto cose costituenti il corpo del reato. Nel caso di specie, tale onere di motivazione risulta soddisfatto avendo il Tribunale evidenziato che si trattava di capi di abbigliamento contraffatti , affermando la sussistenza dell’esigenza di sequestro dei beni al fine di accertare la loro contraffazione. Introduzione e commercio di prodotti con segni falsi. Per quanto attiene all’imputazione per la violazione dell’art. 474 c.p., la Corte ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza, non è sufficiente ad escludere la configurabilità del rato la presenza sui prodotti di una dicitura indicativa del carattere non originale dei prodotti e del marchio. Occorre infatti verificare se in concreto la dicitura e il marchio aggiuntivo siano idonei ad escludere il rischio di confusione sulla natura non originale dei prodotti . In tale contesto assume rilievo la posizione della dicitura rispetto al marchio altrui che deve garantire la possibilità di apprezzare immediatamente il carattere non autentico del prodotto. Posto che nel caso di specie tale condizione non risulta rispettata, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 febbraio – 20 maggio 2019, n. 22040 Presidente Diotallevi – Relatore Pacilli Ritenuto in fatto Con ordinanza emessa il 10 dicembre 2018 il Tribunale del riesame di Ascoli Piceno ha confermato il decreto di convalida del sequestro probatorio, emesso il 9 novembre 2018 dal Pubblico ministero presso lo stesso Tribunale nei confronti di C.R. , indagata in relazione ai reati di cui all’art. 474 c.p., e all’art. 648 c.p Avverso l’anzidetta ordinanza del Tribunale del riesame l’indagata, a mezzo di difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi 1 violazione e falsa applicazione dell’art. 253 c.p.p., non essendo il decreto impugnato provvisto di motivazione sulla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti 2 violazione dell’art. 474 c.p., non sussistendo, nella specie, prodotti contraffatti, essendo stati utilizzati nomi e segni distintivi idonei a creare confusione ma non essendovi stata materiale contraffazione o alterazione di prodotti altrui. All’odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell’art. 127 c.p.p., si è proceduto al controllo della regolarità degli avvisi di rito all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 1.1 Il primo motivo è infondato. A tal riguardo deve rilevarsi che questa Corte v. Sez. U, n. 36072 del 19/4/2018, Rv. 273548 ha affermato che il decreto di sequestro probatorio così come il decreto di convalida - anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. Nel caso in esame, il Tribunale ha evidenziato che - come si legge nel verbale, parte integrante del decreto che lo richiama - si trattava di capi di abbigliamento contraffatti, così affermando, sia pure succintamente, che sussisteva l’esigenza di sequestrare i beni, al fine di compiere accertamenti sugli stessi beni in ordine alla loro contraffazione. 1.2 Anche il secondo motivo è infondato. De ricordarsi che questa Corte Sez. 5, n. 5957 del 30/11/2011, Rv. 252459 ha già avuto modo di affermare che non è sufficiente ad escludere la configurabilità del reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi art. 474 c.p. la presenza sui prodotti commercializzati di una dicitura indicativa del carattere non originale dei prodotti e del marchio, di cui l’agente è titolare, in quanto occorre verificare se in concreto la dicitura e il marchio aggiuntivo siano idonei ad escludere il rischio di confusione sulla natura non originale dei prodotti. A tal fine assume rilievo determinante verificare la posizione sul prodotto della dicitura rispetto a quella del marchio altrui - nella prospettiva di un’immediata e contestuale leggibilità di entrambe le indicazioni, che garantisca ai terzi la possibilità di apprezzare il carattere non autentico del marchio - così come rileva la collocazione di quest’ultimo sul prodotto. Nel caso in esame, il Tribunale di Ascoli Piceno ha rimarcato che - per i capi di abbigliamento in questione - era stato fatto riferimento a nomi celebri protetti come elemento grafico che contraddistingue il brand di riferimento , che ha la sua etichetta cucita nel lato interno del colletto ed era, quindi,non visibile al primo impatto visivo in negozio. Così argomentando, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra ricordati, avendo evidenziato che l’etichetta con il nome , in quanto non visibile, non era idonea ad escludere in concreto il rischio di confusione sulla natura non originale dei prodotti. 2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.