Carcere duro: legittimo il controllo sulla corrispondenza quando manchi l’assoluta certezza circa la sua provenienza

La sottoposizione a controllo della missiva proveniente dal difensore del detenuto sottoposto al regime dell’art. 41-bis ord. pen. è legittima quando non sia stata seguita la procedura di cui all’art. 35 disp. att. c.p.p

Così si esprime la Corte con la sentenza n. 21737/19, depositata il 17 maggio. La vicenda. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva il reclamo del condannato, detenuto in base al regime di cui all’art. 41- bis ord. pen., avente ad oggetto il trattenimento della corrispondenza proveniente dal suo difensore, stante la mancanza della procedura speciale prevista dall’art. 35 disp. att. c.p.p. e l’assenza di attestazione di conformità all’originale dell’atto processuale da consegnare. Avverso tale ordinanza, propone ricorso per Cassazione il condannato detenuto, lamentando la lesione dei diritti di difesa ed il mancato rispetto delle disposizioni in tema di limitazioni e controlli della corrispondenza art. 18- ter ord. pen. . L’assoluta certezza circa la provenienza della missiva. La Suprema Corte dichiara infondato il ricorso, affermando che l’ordinamento tutela le esigenze comunicative tra il soggetto detenuto in carcere ed il proprio difensore nell’ambito di una cornice normativa che punti ad assicurare l’assoluta certezza circa la provenienza della corrispondenza. Le prescrizioni oggetto dell’art. 35 disp. att. c.p.p. hanno lo scopo di responsabilizzare il difensore e di trasferire in capo al Presidente del Consiglio dell’Ordine di appartenenza o di un suo delegato, in qualità di soggetto esterno”, una funzione di garanzia costituita dall’attestazione di identità e qualità del difensore/mittente. Ed è proprio da tale funzione che consegue l’assenza di controllo sulla missiva. Nel caso di specie, l’atto processuale proveniente dal difensore fu inviato attraverso il procedimento ordinario, e, data la particolare condizione del destinatario dell’atto, ciò ha reso pienamente legittimo il controllo della corrispondenza. Per questo motivo, i Giudici di legittimità rigettano il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 febbraio – 17 maggio 2019, n. 21737 Presidente Mazzei – Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Con ordinanza emessa in data 5 luglio 2018 il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo in tema di trattenimento della corrispondenza proposto da A.A. sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord.pen. . In motivazione si afferma, in sintesi, che - solo in apparenza la missiva risulta proveniente dal difensore, in quanto non risulta seguita la particolare procedura di cui all’art. 35 disp. att. c.p.p. - tale assenza di certezza sulla reale provenienza rende doveroso il controllo, previsto dalla legge e dalle circolari in materia, né può dirsi dovuta la consegna di atti processuali che non recano la attestazione di conformità all’originale. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - A.A. , deducendo erronea applicazione della legge regolatrice ed apparenza di motivazione. Si ritiene la decisione non rispettosa dei contenuti dell’art. 18 ter ord.pen., nonché lesiva delle prerogative difensive. Il ricorrente non nega - in fatto - che la missiva era stata trasmessa in via ordinaria, in particolare senza alcuna attestazione circa la effettiva provenienza della stessa dal difensore come previsto dall’art. 35, comma 2 disp. att. , ma al contempo evidenzia che il contenuto era rappresentato da atti processuali, che in ogni caso possono essere veicolati senza necessità di attestazione di conformità all’originale. Dunque, si afferma che se da un lato le formalità di cui all’art. 35 disp.att., garantiscono l’assenza di controllo, dall’altro l’invio di una missiva di tipo ordinario è comunque una modalità possibile di inoltro degli atti necessari all’esercizio del diritto di difesa, che non dovrebbe incontrare censura. Si fa menzione della recente circolare emessa dal DAP il 2 ottobre 2017 che consente la consultazione, da parte dei soggetti posti in regime differenziato, di atti processuali anche su supporto informatico, a sostegno della tesi della non necessaria attestazione di conformità della documentazione trasmessa. Il trattenimento, dunque, non si fonderebbe su reali esigenze di prevenzione o di tutela della sicurezza pubblica. 3. Il ricorso è infondato, per le ragioni che seguono. 3.1 L’ordinamento vigente assicura ampia tutela alle esigenze comunicative tra il soggetto ristretto in carcere ed il proprio difensore, senza alcuna interferenza o controllo di sorta. Ciò avviene, tuttavia, nell’ambito di una cornice normativa che tende a responsabilizzare il difensore ed a creare assoluta certezza circa la provenienza della missiva dal soggetto abilitato. In tale direzione si pone la previsione di legge di cui all’art. 35 disp. att. c.p.p., specie lì dove - al comma 2 - prevede l’autentica della sottoscrizione del difensore/mittente da parte del presidente del consiglio dell’ordine di appartenenza o di un suo delegato. Tale aspetto trasferisce su un soggetto esterno” una importante funzione di garanzia attestazione di identità e qualità del mittente da cui deriva, come conseguenza, la totale assenza di controllo sui contenuti del plico, ai sensi dell’art. 103 c.p.p., comma 6. Sul punto, la circolare DAP del 2 ottobre 2017, pur autorizzando la consultazione di supporti informatici da parte del detenuto, non si pone - né potrebbe farlo - in deroga rispetto alle modalità di consegna di tali supporti, che restano quelle di cui all’art. 103 c.p.p. si veda il par. 16.4 della circolare . 3.2 Nel caso in esame è pacifico che tale sub-procedimento non è stato posto in essere, con invio di una missiva ordinaria. Ciò rende pienamente legittima la sottoposizione al controllo, data la particolare condizione del destinatario. Da ciò deriva che la decisione di trattenimento non si pone in contrasto con le esigenze difensive, né risulta irragionevole nella parte in cui - quantomeno in surroga rispetto alla inosservanza palese delle forme di cui all’art. 35 disp.att. - evidenzia come dato ostativo alla consegna la assenza di attestazione di conformità all’originale degli atti trasmessi. Tale condizione - di regola non necessaria si veda, sul tema, quanto di recente affermato da Sez. I n. 500/2019 - avrebbe - nel particolare caso in esame - consentito il superamento della irregolarità nella trasmissione degli atti ed in tal senso si ritiene infondata la doglianza espressa nel ricorso. Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.