Scorta di hashish contro la depressione: tesi smentita da quantitativo e costo

A finire sotto accusa è un uomo, beccato a portar con sé in auto tredici involucri di hashish. Lui si difende spiegando che la sostanza gli serve per curare una patologia depressiva, ma per i Giudici il quantitativo e il relativo costo smentiscono l’ipotesi di una scorta per uso esclusivamente personale.

Beccato a fare un giro in automobile portando con sé ben tredici involucri di hashish. L’uomo prova a difendersi, spiegando che la sostanza stupefacente è destinata unicamente a curare la patologia depressiva che lo ha colpito. A smentirlo, però, secondo i giudici, il quantitativo di droga rinvenuto e il relativo costo e il confezionamento in dosi Cassazione, sentenza n. 21499/19, sez. VI Penale, depositata oggi . Cura. L’episodio all’origine della battaglia giudiziaria risale al settembre del 2006, quando viene fermata un’automobile una rapida ispezione consente di rinvenire tredici involucri di hashish, pari a ben ottantasette dosi singole. A finire sotto accusa è il conducente e proprietario della vettura per lui l’ipotesi di reato è detenzione illecita di droga”. A salvarlo, però, almeno in Tribunale, sono i suoi problemi di salute. I giudici, difatti, ritengono plausibile la sua versione, secondo cui la sostanza stupefacente era destinata unicamente alla cura della patologia depressiva conseguente all’infezione da meningoencefalite effettivamente contratta e che lo aveva costretto all’immobilità per due anni . A sostegno di questa visione viene posto un ulteriore dettaglio, cioè la mancanza di materiale da taglio o da confezionamento, e di somme di denaro . Scorta. Maggiori dubbi esprimono invece i Giudici d’appello di fronte alla linea difensiva proposta dal legale dell’uomo. Essi osservano, in particolare, che il quantitativo di stupefacente rinvenuto era troppo consistente per costituire una scorta personale e rappresentava un acquisto incompatibile con le condizioni economiche dell’uomo, titolare di una modesta pensione di invalidità di circa 225 euro mensili . Per chiudere il cerchio, poi, sempre in secondo grado, viene anche evidenziato che il confezionamento in dosi, contenute in involucri nascosti, non era funzionale all’accumulo di una riserva per uso personale . Poco plausibile, quindi, la linea difensiva proposta dall’uomo, che si salva però grazie alla prescrizione. Le valutazioni compiute in appello vengono comunque contestate col ricorso in Cassazione, ma per i Giudici del ‘Palazzaccio’ esse sono assolutamente corrette e permettono di considerare evidente la responsabilità dell’uomo, responsabilità che non può essere messa in discussione solo alla luce della patologia depressiva che lo affligge e che lui sostiene di curare con l’hashish.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 31 ottobre 2018 – 16 maggio 2019, n. 21499 Presidente Tronci – Relatore Agliastro Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza del 19/12/2017, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Caltanissetta in data 20/10/2014, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Ci. Ro. in ordine al reato di cui all'art. 73 D.P.R. n. 309/90 per avere posseduto 13 involucri di hashish pari ad 87 dosi medie singole, reato commesso il 07/09/2006, perché estinto per intervenuta prescrizione. 2. Ricorre per cassazione Ci. Ro., per il tramite del proprio difensore di fiducia deducendo la sussistenza dell'interesse ad impugnare anche in presenza di accertata prescrizione e la violazione o falsa applicazione dell'art. 606 comma 1 lett. b e c cod. proc. pen. nonché la manifesta illogicità della motivazione, non avendo la Corte motivato sull'assenza di elementi che potevano condurre all'assoluzione dell'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è palesemente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. 2. Sussiste sicuramente l'interesse ad impugnare, in presenza di una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, quando dalla modifica del provvedimento impugnato possa derivare qualsivoglia effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca la disamina di fronte al dovere del giudice di dichiarare in ogni stato e grado del processo l'esistenza di cause di non punibilità, sussiste il concorrente interesse dell'imputato alla prosecuzione del processo stesso, che è quello di ottenere una pronuncia ampiamente liberatoria nel merito Sez. 3, n. 45560 del 15/03/2018, Rv. 274089-01 . 3. L'interesse richiesto dall'art. 568 comma 4 cod. proc. pen. deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397 . 4. Nel giudizio di primo grado, il Tribunale aveva assolto l'imputato perché il fatto non costituisce reato e solo a seguito della impugnazione del Pubblico Ministero, il giudice dell'appello era pervenuto ad una pronuncia di condanna. 5. Orbene, nel merito, la difesa lamenta l'assenza di una motivazione rafforzata da parte della Corte di appello, tenendo soprattutto conto della esistenza di un identico quadro indiziario, valutato sia dal primo giudice di merito sia dal giudice di secondo grado l'imputato sarebbe stato condannato sulla base di una interpretazione alternativa, ma non per questo, maggiormente persuasiva del medesimo compendio probatorio. 6. La doglianza non ha motivo di essere. Il primo giudice aveva ritenuto insormontabile, in ossequio al principio del ragionevole dubbio, la versione fornita dall'imputato, a detta del quale la sostanza stupefacente era destinata unicamente alla cura della patologia depressiva conseguente all'infezione da meningoencefalite effettivamente contratta e che lo aveva costretto all'immobilità per due anni, tenuto conto altresì che lo stesso, all'atto del sequestro - avvenuto mentre procedeva in direzione di Milena a bordo della sua vettura, ove era stata rinvenuta la droga, già confezionata ed occultata in due diversi posti - non era stato trovato in possesso né di materiale da taglio o da confezionamento, né di somme di denaro. A fronte di tanto, il Collegio di secondo grado ha adeguatamente motivato sulle circostanze che 1 il quantitativo di stupefacente rinvenuto in possesso del Ci. era troppo consistente per costituire una scorta 2 l'acquisto del quantitativo rinvenuto era incompatibile con le condizioni economiche dell'imputato titolare di una modesta pensione di invalidità di circa 225,00 Euro mensili 3 il confezionamento in dosi, contenute in involucri nascosti, non era funzionale all'accumulo di una riserva per uso personale circostanze tutte che, pur emergendo dagli atti, non risultano in alcun modo essere state valutate dalla sentenza di primo grado, tanto meno sulla base di un doveroso apprezzamento complessivo. Il fatto, poi, è stato ricondotto all'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/90. Quindi, in considerazione delle modifiche apportate all'ipotesi novellata del comma 5 dell'art. 73 D.P.R. n. 309/90 e del fatto che il reato in contestazione era stato commesso il 07/09/2006, la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato ascritto perché estinto per intervenuta prescrizione. 7. La pronuncia della Corte di appello, dunque, ha più che adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza della responsabilità del ricorrente, dando conto della insostenibilità del difforme convincimento del primo giudice, ed in presenza della maturata estinzione del reato, è pervenuto alla declaratoria della corrispondente causa. 8. Va da sé che di fronte ad una causa di estinzione del reato ed in difetto di rinuncia espressa alla prescrizione, l'imputato non potrà pretendere la rinnovazione del giudizio di merito. 9. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.