Patente falsa al posto di blocco: condannato

La fattispecie di cui all’art. 495 c.p. Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri è configurabile nel caso in cui l’agente si limiti ad esibire o presentare il documento falso all’autorità preposta al controllo, poiché ciò equivale a declinare le proprie generalità.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20507/19, depositata il 13 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Firenze confermava la condanna di prime cure per il reato di false dichiarazioni al pubblico ufficiale per aver l’imputato presentato una patente falsa con la finalità di fingersi altra persona ed evitare che si scoprisse che la patente gli era stata in realtà revocata. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione la difesa che sottolinea come la mera esibizione di un documento falso non integri il reato contestato anche in virtù dell’inidoneità della patente a provare l’identità personale del suo possessore. Sussistenza del reato. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, la fattispecie di cui all’art. 495 c.p. Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri è configurabile nel caso in cui l’agente si limiti ad esibire o presentare il documento falso all’autorità preposta al controllo, poiché ciò equivale a declinare le proprie generalità. Il reato si consuma nel momento in cui le dichiarazioni vengono rese a prescindere dal fatto che il pubblico ufficiale possa accertare o meno la qualità personale del dichiarante o che inserisce tali dichiarazioni nell’atto. Risulta di conseguenza irrilevante che gli operatori di polizia giudiziaria abbia poi constatato il possesso in capo al ricorrente della carta d’identità autentica, da cui risultava l’inganno. In tal senso precisa inoltre la sentenza che è indubbia la portata probatoria della patente di guida utilizzata dall’imputato per identificarsi al controllo di polizia. Ferma restando la natura di mera autorizzazione amministrativa alla guida, la giurisprudenza ha infatti pacificamente ammesso che la patente sia documento valido ai fini dell’identificazione personale e dunque suscettibile di integrare le fattispecie di reato che prevedono tale condizione come presupposto per la loro configurabilità. Il ricorso viene in conclusione dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 gennaio – 13 maggio 2019, n. 20507 Presidente Scarlini – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, datato 24.4.2018, la Corte d’Appello di Firenze, ha confermato la sentenza del Tribunale di Prato del 19.5.2015 con cui L.W. è stato dichiarato colpevole dei reati di false dichiarazioni a pubblico ufficiale ed uso di patente falsa e condannato alla pena, in continuazione tra i reati, di anni uno e mesi uno di reclusione, con revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con precedente sentenza del 27.3.2010 del Tribunale di Prato. 2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato, mediante il proprio difensore avv. Nicolosi, deducendo un unico motivo di ricorso con il quale lamenta violazione della legge penale in relazione all’art. 495 c.p La fattispecie di falsa attestazione a un pubblico ufficiale sulla identità o sulle qualità personali proprie prevede, per la sua sussistenza, che vi sia stata una dichiarazione o una attestazione e non una mera esibizione o utilizzo di un documento, come accaduto nel caso di specie. Ciò è stato affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità. Nella sentenza impugnata si comprende che l’attribuzione delle false generalità all’imputato non sia da ricondurre a false dichiarazioni o attestazioni dello stesso ma solo all’esibizione della patente di guida che non sarebbe comunque documento idoneo da solo a provare l’identità personale del suo possessore. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile. Secondo la giurisprudenza di legittimità, rientra nell’alveo di configurabilità della fattispecie di cui all’art. 495 c.p., anche la condotta di chi si limiti ad esibire o presentare il documento falso all’autorità preposta al controllo, poiché ciò equivale a declinare le proprie generalità in conformità alle indicazioni contenute nei predetti documenti di identificazione e non rispondenti al vero Sez. 5, n. 22585 del 23/3/2012, Hadgu, Rv. 252970, in un caso di passaporto falso . Nel caso di specie, emerge dalla motivazione del provvedimento impugnato la sussistenza del reato, avendo il ricorrente esibito la patente falsa con la evidente finalità di fingersi altra persona, dichiarando in tal modo diversamente dal vero i propri dati identificativi, per evitare che si scoprisse che invece gli era stata revocata l’autorizzazione amministrativa alla guida. Il reato si consuma, peraltro, nel momento in cui le false dichiarazioni vengono rese, indipendentemente dalle circostanze che il pubblico ufficiale possa accertare o meno la qualità personale del dichiarante, ovvero che il pubblico ufficiale - constatata la falsità delle dichiarazioni - non le inserisca nell’atto o le inserisca con la menzione delle opportune verifiche Sez. 6, n. 7515 del 26/5/1998, Verderosa, Rv. 211248 , sicché diviene irrilevante che, subito dopo la esibizione del documento di guida falso, gli operanti di polizia giudiziaria abbiano constatato il possesso in capo all’imputato della sua carta di identità, questa si autentica, da cui erano risaliti immediatamente all’inganno. Non può avere rilievo il precedente invocato dal ricorrente Sez. 5, n. 33882 del 4/5/2017, Moros Vega, Rv. 271609 relativo a fattispecie in cui solo incidentalmente si è affermata la valenza non di documento di identità dell’autorizzazione alla guida falsa trovata in possesso dell’imputato, senza meglio specificare di che documento di guida si trattasse e da quale autorità fosse stato rilasciato, ed in diverso contesto. Ciò in realtà per affermare il diverso principio secondo cui tra le altre qualità, cui si riferisce l’art. 495 c.p., rispetto alle quali il mendacio può configurare il reato previsto da detto articolo, sono soltanto quelle che servono a completare lo stato e la identità della persona, sicché la patente di guida, concretandosi in una semplice autorizzazione amministrativa, cioè in un rapporto fra il soggetto e la pubblica amministrazione, non incide sullo stato e l’identità e pertanto non conferisce al soggetto una qualità personale nel senso richiesto dell’art. 495 c.p. Sez. 5, n. 647 del 3/4/1970, Gentile, Rv. 115622 nella stessa ottica si muove Sez. 5, n. 4243 del 15/11/2012, De Vito, Rv. 254564 . Nella fattispecie sottoposta al Collegio, invece, non vi è dubbio che la patente di guida utilizzata dall’imputato per identificarsi al controllo di polizia fosse documento con valenza di prova dell’identità personale del possessore, come tale utilizzato a fini identificativi, mentre non si discute della sua rilevanza di mera autorizzazione amministrativa quanto alla attestazione di abilitazione alla guida, che non rientra, questa sì, nelle qualità personali di cui al reato previsto dall’art. 495 c.p Del resto, la giurisprudenza di legittimità ammette pacificamente da tempo che la patente di guida sia documento valido ai fini dell’identificazione personale e, pertanto, suscettibile di integrare le fattispecie di reato che prevedono tale condizione come loro presupposto di configurabilità cfr. Sez. 5, n. 57004 del 27/9/2018, B., Rv. 274172, in una ipotesi in cui, addirittura, si fa riferimento a patente di guida di uno stato estero per la quale non sussistano le condizioni di validità ai fini della conduzione di un veicolo in Italia Sez. 5, n. 21929 del 17/4/2018, Ramos, Rv. 273022 Sez. 5, n. 3711 del 2/11/2011, dep. 2012, Baldin, Rv. 252946 Sez. 5, n. 21231 del 20/2/2001, Mbaye, Rv. 219029 . 2. Alla declaratoria d’inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese dl procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.