La sussistenza del dolo specifico nella bancarotta fraudolenta documentale

Nelle ipotesi di tenuta delle scritture contabili con modalità tali da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari imprenditoriali può essere sufficiente il dolo generico, ma non si può dire la stessa cosa per i casi di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture medesime.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 18912/19, depositata il 6 maggio. La vicenda. In primo e secondo grado veniva manifestata la penale responsabilità dell’imputata ritenuta responsabile di bancarotta fraudolenta documentale, poiché secondo la competente Corte territoriale grava sull’imprenditore un obbligo di verifica sull’attività compiuta dai professionisti dei quali intenda avvalersi per gli adempimenti contabili, rispondendo penalmente per eventuali irregolarità o omissioni di tali soggetti. Il difensore dell’imputata ricorre così in Cassazione. La decisione della Corte territoriale. In secondo grado era stato stabilito dalla Corte d’Appello che l’elemento psicologico del reato contestato è costituito dal dolo o dalla colpa che sono ravvisabili allorquando l’agente ometta con coscienza e volontà o con negligenza di tenere le scritture non prevedendosi come necessaria ai fini della sussistenza dell’illecito la deliberata volontà di violare le disposizioni vigenti in materie e/o di arrecare pregiudizio ai creditori . L’intervento della Cassazione. Le suddette argomentazioni sono del tutto errate per i Giudici del Palazzaccio, posto che per aversi bancarotta fraudolenta documentale non è sufficiente la mera colpa ed inoltre per i casi di tenuta delle scritture con modalità tali da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari imprenditoriali può essere sufficiente il dolo generico, ma non per i casi di sottrazione, distruzione o falsificazione. Necessario è, dunque, una rivalutazione dell’eventuale sussistenza del dolo specifico nella condotta ascrivibile all’imputata, annullando la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 ottobre 2018 – 6 maggio 2019, n. 18912 Presidente Pezzullo – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di F.E. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa anche nei confronti della sua assistita dal Gup del Tribunale di Ferrara, in data 24/09/2014 la declaratoria di penale responsabilità dell’imputata riguarda una ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, reato che si assume commesso relativamente alla gestione della F.M.C. s.r.l., società dichiarata fallita nel marzo 2010 e della quale la F. era stata legale rappresentante a far data dal 2005. La difesa deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata - con riguardo ai fatti inerenti l’esercizio 2008. Si legge nel ricorso che, come indicato nel capo d’imputazione, la condotta ascritta alla F. nonché al fratello di costei, ritenuto amministratore di fatto della società fallita riguardava la sottrazione o distruzione dei libri e delle scritture contabili obbligatorie per il 2009 ed il 2010, unitamente ai partitari del 2008. Quanto ai partitari, la tesi difensiva è che questi non fossero mai esistiti, giacché non predisposti, ma la Corte di merito obietta che vi sarebbe prova della consegna alla società dei mastri relativi alle annualità dal 2006 al 2008, a cura della C.N.A. incaricata di tenerli obiezione destituita di fondamento, non potendo esservi equiparazione fra partitari e mastri. La difesa, richiamando i motivi di appello, evidenzia in particolare che il mastro riporta i dati relativi all’intera gestione aziendale e ne rappresenta il reddito, il capitale, le entrate e le uscite e può contenere in sé oppure no i singoli partitari, denominati nel linguaggio comune e nella prassi contabile anche mastrini o schede di mastro, che consistono nello svolgimento dettagliato di singoli conti accesi essi, nel loro insieme e se esistenti, compongono il mastro, il quale del resto può essere predisposto senza il loro ausilio. Accade nella prassi che tutte le aziende hanno il mastro, sostanzialmente obbligatorio per legge tributaria , mentre solamente quelle di maggiori dimensioni si muniscono anche dei partitari . Precisato poi che la F.M. aveva solo cinque dipendenti, dunque una struttura non tale da richiedere l’istituzione dei partitari o mastrini, il difensore della F. evidenzia comunque che il curatore aveva riferito di essere stato in grado di acquisire la documentazione contabile relativa al 2008 e di ricostruire la situazione patrimoniale inerente a quella annualità - quanto all’obbligo di tenuta delle scritture per il 2009 ed il 2010. Secondo la ricostruzione difensiva, il sindacato C.N.A. era stato certamente demandato alla tenuta della contabilità informatizzata della società fallita, come confermato anche dalle vicende relative alla restituzione dei mastri. Ne deriva che, ai sensi della normativa civilistica, la F.M. avrebbe dovuto redigere il libro degli inventari entro tre mesi dal termine previsto per la presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette ergo, visto che il termine anzidetto veniva a maturare, per i redditi 2009, alla data del 30/09/2010, la stampa del libro degli inventari avrebbe dovuto essere curata non oltre il 31/12/2010, abbondantemente oltre la sentenza di fallimento. Gli stessi termini, ad avviso della ricorrente, avrebbero dovuto applicarsi all’obbligo di tenuta del libro giornale, comunque istituito su supporto informatico - in ordine alla materialità del fatto addebitato. Stando alla formulazione della rubrica, l’imputata dovrebbe rispondere di sottrazione o distruzione dei libri al contrario, la Corte territoriale evidenzia che sarebbe stato violato il principio di continuità delle scritture, tenute su base mensile piuttosto che giornaliera. In ogni caso, la restituzione ad opera della C.N.A., avvenuta il 30/06/2009, non poté riguardare le annualità per cui la contabilità non era ancora chiusa. Il difensore della ricorrente sottolinea comunque l’inerzia del curatore fallimentare, al quale era stato tempestivamente rappresentato che le scritture erano state tenute su supporto informatico dal suddetto sindacato ne deriva che, ai fini della ricostruzione dei movimenti degli affari della società, gli organi della procedura avrebbero potuto comunque attivarsi per la consultazione dei documenti informatici de quibus. - in punto di sussistenza del dolo. La Corte bolognese evidenzia che grava comunque sull’imprenditore un obbligo di verifica sull’attività compiuta dai professionisti dei quali intenda avvalersi per gli adempimenti contabili, dovendo rispondere anche penalmente per eventuali irregolarità od omissioni dei soggetti incaricati non avrebbe tuttavia considerato, quanto alla specifica posizione della F. , che ella aveva sottoscritto una procura in favore del fratello, tale da renderla sostanzialmente un amministratore senza poteri. Anche una funzionaria della C.N.A., del resto, aveva dichiarato di essersi sempre rapportata con F.G. e con una dipendente amministrativa della società, e la stessa circostanza che il curatore fosse stato informato della rinvenibilità delle scritture informatizzate presso il sindacato appare dimostrativa della buona fede dell’imputata. - in ordine alla qualificazione giuridica dell’addebito. Secondo la difesa, a tutto voler concedere, il fatto ascritto alla F. avrebbe dovuto derubricarsi nella meno grave fattispecie di bancarotta semplice, sia per le ragioni illustrate ai punti precedenti sia perché l’imputata operava all’interno dell’azienda con semplici mansioni di sarta, giammai occupandosi di aspetti amministrativi a dispetto della carica formale rivestita. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, con riguardo al profilo inerente l’elemento psicologico del reato ascritto alla F. . 2. Quanto alla materialità dell’addebito, in vero, che una parte delle scritture contabili sia stata nella disponibilità della società fallita e dunque, in primis, di chi ne era legale rappresentante , a seguito della restituzione effettuata dalla C.N.A. di , non sembra revocabile in dubbio. Al di là di aspetti peculiari, ad esempio circa la possibilità di ricomprendere tra quanto fatto pervenire alla F.M. anche veri e propri partitari, ovvero un più generico mastro, è pacifico che il 30/06/2009 il sindacato operò una integrale restituzione della documentazione fino ad allora curata, come attestato da lettere versate nel carteggio processuale e come sostanzialmente non contestato dalla difesa. A pag. 11 della motivazione della sentenza impugnata si evidenzia poi che quella restituzione era avvenuta a causa del mancato pagamento delle competenze professionali in favore della C.N.A., e che dopo la data indicata l’incarico della tenuta dei libri era stato conferito a tale rag. Succi questi, contattato dal curatore, aveva riferito di non essere stato in grado di elaborare il libro giornale a causa della mancanza della prima nota di contabilità, ossia dell’elaborato che riporta tutti i dati della gestione economica e finanziaria . Perciò, da un lato è innegabile che la documentazione tornò nella disponibilità della fallita dall’altro, è più che verosimile che, per mettere il nuovo professionista in condizione di svolgere il proprio compito, quanto restituito dovesse comprendere anche una pur informale stampa delle elaborazioni informatiche sino a quel momento curate dal sindacato. Nulla di tutto ciò, in ogni caso, venne poi sottoposto all’attenzione degli organi della procedura concorsuale. 3. Se dunque ci si trova al cospetto di scritture non già omesse od irregolarmente tenute, bensì dopo il ricordato 30/06/2009 attestate come esistenti e poi non consegnate al curatore, né comunque rinvenute, trova conferma l’assunto accusatorio circa una avvenuta condotta di sottrazione o distruzione delle stesse. Condotta che, come tale, riveste connotazioni di rilievo penale laddove sia animata - ai sensi della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, - da dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. Deve tuttavia rilevarsi che, investita del problema di valutare la riferibilità psicologica del fatto-reato agli imputati fra gli appellanti vi era anche F.G. , la Corte territoriale espone che l’elemento psicologico è costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture, non prevedendosi come necessaria ai fini della sussistenza dell’illecito la deliberata volontà di violare le disposizioni vigenti in materia e/o di arrecare pregiudizio ai creditori . Argomentazioni, queste, senz’altro errate. Innanzi tutto, per aversi bancarotta fraudolenta documentale in genere, non può mai intendersi sufficiente la mera colpa in secondo luogo, per le ipotesi di tenuta delle scritture con modalità tali da non permettere la ricostruzione del movimento degli affari dell’impresa può essere sufficiente il dolo generico, non anche - come appena avvertito - per i casi di sottrazione o distruzione come pure di falsificazione . L’errore non può trovare emenda dalla lettura della decisione di primo grado, comunque richiamata dalla Corte di appello, visto che anche il Gup affrontò il tema dell’elemento psicologico con osservazioni di identico tenore. 4. Si impone pertanto, per la rivalutazione della eventuale sussistenza del dolo specifico nella condotta ascrivibile all’imputata, l’annullamento della sentenza oggetto di ricorso. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.