Il dovere di attenzione del conducente si sostanzia in 3 obblighi comportamentali

Ispezionare la strada, mantenere il controllo del veicolo e prevedere le situazioni di pericolo.

Lo ha stabilito la quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18321/19, depositata in cancelleria il 3 maggio. Il caso. Il GUP, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato per il delitto di omicidio stradale vigente ratione temporis di cui all’art. 589, commi 1 e 2, c.p Dagli accertamenti tecnici svolti dalla polizia stradale e dalle consulenze tecniche del P.M. e del responsabile civile, era emerso che l’imputato aveva investito un pedone che stava camminando su un tratto rettilineo sovrastante a un viadotto, in corrispondenza della striscia bianca continua della banchina. Sebbene l’ora notturna e il colore scuro degli abiti del pedone avessero giustificato il suo tardivo avvistamento, con conseguente dilatazione del tempo di reazione, vi era stata una grave negligenza da parte dell’imputato nell’ispezionare la sede stradale di prossima percorrenza prima dell’impatto. Il mancato avvistamento del pedone, quindi, era da ascriversi alla disattenzione alla guida da parte del conducente. In sede di appello, riformata la sentenza di I grado, l’imputato veniva assolto. La Corte territoriale ha ritenuto indimostrato il nesso di causalità tra la condotta negligente del conducente e l’evento mortale, in quanto la vittima stava percorrendo a piedi una strada extraurbana, nella quale ai sensi dell’art. 175 c.d.s. è interdetta la circolazione dei pedoni, e per di più occupando parte della carreggiata. Il comportamento della vittima, quindi, avrebbe costituito una causa eccezionale, atipica, non prevista e non prevedibile. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Procura generale - unitamente alle parti civili - deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. La responsabilità dell’imputato avrebbe dovuto essere riconosciuta tenendo conto del punto d’impatto, dell’andamento rettilineo della sede stradale, delle condizioni di visibilità in grado di consentire l’avvistamento del pedone e la possibilità di rallentare da parte del veicolo, che rendevano del tutto marginale la condotta della vittima. Il dovere di attenzione del conducente. La Suprema Corte ha ritenuto fondati i ricorsi. Secondo la sezione, che richiama altri propri precedenti, punctum pruriens della questione è accertare la sussistenza di un comportamento colposo dell’imputato. A tal fine, l’indagine da compiere, involge l’analisi esegetica dell’articolato impianto normativo in materia di circolazione dei pedoni. Il pedone - colui che cammina a piedi - che utilizza la strada secondo la sua destinazione specifica la circolazione è, in quanto tale, soggetto ai doveri giuridici posti dal codice della strada art. 1 . Il codice regola la materia in due norme, una - art. 190 - che disciplina il comportamento dei pedoni” e l’altra - art. 191 - che stabilisce il comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni”. Le due disposizioni vanno coordinate, perché il comportamento del conducente è complementare a quello del pedone. Il principio informatore della circolazione di cui all’art. 140 grava il conducente di tre obblighi comportamentali - ispezionare costantemente la strada - mantenere sempre il controllo del veicolo, - prevedere le ragionevoli situazioni di pericolo, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada. Conseguentemente, per affermare la colpa esclusiva del pedone, deve realizzarsi una duplice condizione - che il conducente, per cause estranee alla diligenza e alla prudenza da lui osservate, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo improvviso e inatteso - che il conducente abbia osservato le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza. Ne deriva che per escludere la responsabilità del conducente da ogni addebito di colpa, generica o specifica, è necessario che la condotta del pedone si ponga come causa atipica ed eccezionale, da collocarsi nell’ambito del ragionevolmente non prevedibile rectius imprevedibile . Nella sentenza della Corte d’Appello non si rinviene un’adeguata disamina diretta a confutare l’apparato argomentativo in grado di fornire una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata in I grado in tal senso, Cass. Pen., Sez. Un., 21/12/2017, n. 14800 . La sentenza impugnata è stata, quindi, annullata con rinvio per un nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 gennaio - 3 maggio 2019 n. 18321 Presidente Dovere – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Roma del 12 febbraio 2015 emessa a seguito di giudizio abbreviato, ha assolto C.A. dal reato di cui all’art. 113 C.d.S. e art. 589 c.p., commi 1 e 2, omicidio colposo di L.P. - in omissis - capo A . 1.1. Il G.U.P. aveva ricostruito la vicenda sulla base degli accertamenti tecnici condotti dalla Polizia stradale, delle consulente tecniche espletate dal pubblico ministero e dal responsabile civile nonché delle dichiarazioni del C. rese nell’immediatezza dei fatti. Il giudice di primo grado aveva affermato la responsabilità dell’imputato, non tanto per il mantenimento di una velocità elevata alla guida del proprio veicolo di poco superiore al limite consentito di 70 km./h. , bensì per il suo comportamento disattento, costituito dall’investimento del pedone L.P. , che stava camminando sulla destra, in corrispondenza della striscia bianca continua della banchina. Il G.U.P. aveva condiviso la valutazione del consulente tecnico del pubblico ministero, secondo il quale l’ora notturna e il colore scuro degli abiti indossati dal pedone investito avrebbero potuto giustificare un tardivo avvistamento e un tempo di reazione particolarmente dilatato, ma non un mancato avvistamento, che poteva trovare plausibile giustificazione solo con la disattenzione del C. alla guida. D’altronde, lo stesso imputato ammetteva di aver notato tardivamente la presenza del pedone. Nella sentenza di primo grado era affermato che, a prescindere dall’impossibilità di trarre conclusioni certe sull’eventuale attraversamento della strada da parte del pedone, emergeva una grave negligenza nell’ispezionare la sede stradale di prossima percorrenza prima del fatale impatto. In base ai rilievi fotografici, l’incidente risultava avvenuto su un tratto rettilineo sovrastante ad un viadotto tenuto conto dell’altezza del viadotto, il deceduto non poteva essersi arrampicato sulla rete di protezione e così superare il guard-rail rialzato nel medesimo punto dell’investimento. L’organo giudicante ha osservato che, diversamente dall’ipotesi di strada priva di guard-rail o di altri ostacoli al libero accesso alla sede stradale, ben lungi dall’essere apparso dal nulla, il L. stava già camminando in prossimità della corsia percorsa dall’automobilista, il quale, se non fosse stato distratto, avrebbe potuto avvistarlo coi fari anabbaglianti che gli garantivano una visibilità di 70 metri ed avrebbe avuto la possibilità di rallentare e poi di frenare o, quantomeno, di eseguire idonee manovre di emergenza. Poteva giungersi a tali conclusioni, peraltro dovendosi escludere che la distrazione fosse stata causata dal verosimile pregresso consumo di cocaina. 1.2. La Corte di appello ha rilevato che, sulla base della consulenza tecnica del pubblico ministero, il L. percorreva a piedi, con abiti scuri, nel medesimo senso di marcia del veicolo, una strada extraurbana, priva di illuminazione, nella quale, ai sensi dell’art. 175 C.d.S. era vietata la circolazione dei pedoni al di fuori delle banchine art. 190 C.d.S. . Egli verosimilmente occupava parte della carreggiata, oltre la striscia continua per circa 30-40 cm., per cui, se si fosse trovato all’interno della banchina, il sinistro non si sarebbe verificato. La Corte territoriale ha ritenuto indimostrato il nesso di causalità tra la condotta negligente dell’imputato e l’evento morte del pedone, in quanto quest’ultimo non doveva trovarsi in quel tratto di strada interdetto al traffico pedonale e, se l’avesse percorso all’interno della banchina, non sarebbe stato colpito da C. che marciava a velocità pressoché pari a quella consentita e nella propria corsia. Il comportamento della vittima, pertanto, costituiva una causa eccezionale, atipica, non prevista e non prevedibile, idonea ad escludere il nesso di causalità, anche alla luce di quanto riportato nella memoria dell’ing. F.P. , consulente del responsabile civile Zuritel s.p.a., secondo il quale si era verificato uno spostamento del pedone improvviso e repentino dalla banchina verso la corsia di marcia, in modo tale da impedire a C. di reagire tempestivamente alla sua comparsa. La Corte capitolina, infine, ha osservato che le parti civili, costituitesi in giudizio, non avevano dimostrato l’esistenza di rapporti di parentela col defunto. 2. La Procura generale presso la Corte di appello di Roma propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 113 e 589 c.p., artt. 140 e 141 C.d.S Si deduce che la responsabilità del C. doveva essere riconosciuta in base alle risultanze degli accertamenti tecnici e peritali inerenti al punto d’impatto del veicolo col pedone, all’andamento rettilineo della sede stradale, alle condizioni di visibilità e alle dichiarazioni rese dall’imputato nell’immediatezza dei fatti in ordine all’avvistamento del pedone avvenuto solo successivamente all’impatto . L’ora notturna e gli abiti scuri indossati dalla vittima non potevano giustificare il tardivo avvistamento, dovuto alla disattenzione del C. . L’ipotesi formulata dal consulente del responsabile civile attraversamento della strada da parte del pedone non escludeva la colpa sotto forma di grave negligenza per la mancata ispezione della sede stradale di prossima percorrenza prima del fatale impatto. Lo stato dei luoghi non impediva l’avvistamento del pedone, consentendo i fari anabbaglianti, utilizzati dal veicolo, una visibilità in un campo almeno di settanta metri, dunque la possibilità di rallentare dopo l’avvistamento del pedone. Nella sentenza impugnata la giustificazione del mancato avvistamento del pedone è stata erroneamente desunta dalla mancanza di illuminazione della strada. Al contrario, le consulenze del pubblico ministero e del responsabile civile nonché l’osservazione dei rilievi fotografici dimostravano l’idonea visibilità della carreggiata. Nella fattispecie, le condizioni di visibilità della sede stradale e l’ausilio dei fari anabbaglianti, che consentivano una visuale fino a m. 70, rendevano del tutto marginale la condotta della vittima. La Corte di appello, peraltro, non ha tenuto conto della disattenzione dell’imputato, evincibile dalle tracce di assunzione di cocaina emerse dall’analisi delle urine dell’imputato. 3. Le parti civili L.G. , L.V. e B.V.G. , a mezzo del comune difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, articolando i medesimi motivi di impugnazione di cui al ricorso della Procura generale. Considerato in diritto I ricorsi sono fondati. 1. Con l’unico motivo di ricorso, la Procura ricorrente deduce che erroneamente nella sentenza impugnata è stata affermata l’insussistenza del nesso di causalità, nonostante la consulenza del pubblico ministero avesse adeguatamente dimostrato la condotta imprudente del C. , conducente del veicolo, che aveva tardivamente avvistato la presenza del pedone. 1.1. Vanno premessi alcuni principi di carattere generale relativi al vizio di motivazione prospettato dalla Procura ricorrente. Va osservato innanzitutto che il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve comunque offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 . In tema di vizio della motivazione della sentenza, peraltro, la motivazione apparente e, dunque, inesistente è ravvisabile soltanto quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, Vassallo, Rv. 263100 Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682 . 1.2. In ordine alla problematica del sinistro in esame, come è noto, le principali norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, vanno rinvenute nell’art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle dettagliate nell’art. 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente art. 190 C.d.S., che, a sua volta, dettaglia le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone. In questa prospettiva, la regola prudenziale e cautelare fondamentale, che deve presiedere al comportamento del conducente, è sintetizzata nell’ obbligo di attenzione che questi deve tenere al fine di avvistare il pedone sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni rectius, i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento. Il dovere di attenzione del conducente teso all’avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento oltre che nelle regole di comune e generale prudenza nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288 Sez. 4, n. 44651 del 12/10/2005, Leonini, Rv. 232618 - l’obbligo di ispezionare la strada costantemente, dove si procede o che si sta per impegnare - l’obbligo di mantenere sempre il controllo del veicolo - l’obbligo di prevedere tutte le situazioni di pericolo che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada. Affinché in caso di investimento sia affermata la colpa esclusiva del pedone, deve realizzarsi una duplice condizione Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995 Sez. 4, n. 20027 del 16/04/2008, Di Cagno, Rv. 240221 Sez. 4, n. 16842 del 09/11/1990, Pascali, Rv. 186076 - che il conducente del veicolo investitore si sia venuto a trovare, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza e prudenza, nell’oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati invece in modo rapido e inatteso - che, nel comportamento del conducente, non sia riscontrabile alcuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza. Inoltre, in tema di omicidio colposo, per escludere la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone è necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo Sez. 4, n. 10635 del 2013 cit. Sez. 4, n. 26131 del 03/06/2008, Garzotto, Rv. 241004 . 2. Ciò posto sui principi generali operanti in materia, va osservato che nella sentenza di primo grado la responsabilità del C. era affermata in considerazione della grave negligenza consistente nella mancata ispezione della sede stradale di prossima percorrenza anteriormente al momento dell’impatto, del carattere non eccezionale della presenza del L. nella carreggiata e della possibilità del C. di porre in essere una manovra di emergenza, elementi tratti principalmente dalle risultanze della consulenza tecnica del pubblico ministero e dei rilievi fotografici. Al contrario, la Corte di appello ha affermato apoditticamente che il C. conducente non poteva vedere il L. , in quanto questi si trovava a piedi, con abiti scuri, nel medesimo senso di marcia del veicolo, in una strada extraurbana, priva di illuminazione, preclusa alla circolazione dei pedoni al di fuori delle banchine artt. 175 e 190 C.d.S. . Secondo la Corte territoriale, il L. verosimilmente occupava parte della carreggiata, oltre la striscia continua per circa 30-40 cm., per cui, se si fosse trovato all’interno della banchina, il sinistro non si sarebbe verificato. L’organo giudicante ha rilevato che la presenza del L. in un luogo inibito ai pedoni costituiva una causa eccezionale atipica, non prevista e non prevedibile. Tali asserzioni, tuttavia, contrastano con le risultanze della consulenza del pubblico ministero e del responsabile civile, in base alle quali alcuni dati fattuali - la sufficiente illuminazione della strada e l’idoneità della luce dei fari anabbaglianti - consentivano il tempestivo avvistamento del pedone, al fine di rallentare e poi frenare o, quanto meno, di effettuare una diversa manovra di emergenza. Non appaiono adeguatamente illustrate le ragioni, per le quali la Corte territoriale abbia contraddetto e omesso di considerare e valutare infatti l’intero quadro delle conclusioni dei consulenti recepite integralmente nella sentenza di primo grado, che configurava una grave negligenza nell’ispezione della sede stradale situata in un tratto rettilineo e l’esistenza di un’accettabile visuale per il conducente, nonostante il colore scuro degli abiti della vittima e l’ora tarda, condizioni entrambe ritenute idonee a permettergli di evitare l’investimento. La Corte di merito, peraltro, non ha esaminato le considerazioni dei consulenti e della sentenza di primo grado relativamente all’irrilevanza della condotta della vittima nel determinismo causale essendo stata esclusa la possibilità per il pedone di scavalcare improvvisamente il guard-rail o la natura imprevedibile e non prevenibile di suoi eventuali movimenti repentini e le indicazioni fornite dallo stesso imputato circa l’avvenuto avvistamento del pedone - da lui stesso ammesso. Tale circostanza, infatti, secondo il giudice di primo grado, consentiva di scartare l’ipotesi della presunta natura repentina ed improvvisa dell’eventuale attraversamento della carreggiata e implicava la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo , al fine di prevenire il rischio di un investimento. La natura delle argomentazioni della Corte di appello, che non ha svolto una disamina accurata diretta a confutare l’apparato argomentativo della sentenza emessa dal G.I.P. contravviene all’obbligo di motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione vedi il sopra riportato insegnamento di cui a Sez. U, n. 14800 del 2018 cit. . La sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado, infatti, deve essere supportata da una motivazione rafforzata , nel senso che deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata a elementi di prova diversi o diversamente valutati Sez. IV, n. 17402 del 20/03/2018, B., non massimata . 3. Ne consegue che, in presenza delle evidenziate lacune motivazionali, la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Roma per un nuovo approfondito giudizio, da condursi in piena libertà, ma alla luce dei principi di diritto e dei rilievi sopra enunciati in ordine alle carenze argomentative suddette. Al giudice del rinvio va altresì demandata la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.