Quali sono i limiti del giudizio di legittimità?

Risultano insindacabili i profili ricostruttivi della prova e della versione dei fatti articolata dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicità della motivazione ovvero di profili di travisamento della prova, esulando dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

Il caso. Il Tribunale di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale Giudice di Pace, assolveva M.G.C. dal reato di ingiuria per non essere più il fatto previsto dalla legge come reato, mentre confermava la statuizione di prime cure in relazione al reato di percosse, rispetto al quale l’imputato era stato condannato sia penalmente che civilmente al risarcimento dei danni. Avverso la sentenza de qua M.G.C. ricorreva per Cassazione, deducendo plurimi motivi di gravame in primis, violazione di legge, erronea valutazione e travisamento delle prove, nonché vizio motivazionale in relazione alla affermazione di penale responsabilità in secundis , eccepisce la mancata assunzione di una prova decisiva infine, lamenta il diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione. I limiti del giudizio di legittimità. I profili di ricorso afferenti l’attribuzione di rilevanza penale alla condotta dell’imputato – argomentano i Supremi Giudici – risultano essere caratterizzati da una inammissibile richiesta di rivalutazione fattuale della vicenda di merito. Giova, infatti, ricordare come, per pacifica giurisprudenza, risultano insindacabili i profili ricostruttivi della prova e della versione dei fatti articolata dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicità della motivazione ovvero di profili di travisamento della prova. In altri termini, è principio di diritto assolutamente consolidato quello secondo cui esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Il travisamento della prova nel caso di c.d. doppia conforme. Tra l’altro, nel precipuo caso – come quello de quo – caratterizzato da una tipica ipotesi di c.d. doppia pronuncia conforme, la deduzione di vizi in relazione alla valutazione ed al travisamento della prova è circoscritta alle ipotesi residuali in cui il giudice di seconde cure, al fine di rispondere alle doglianze contenute nei motivi di appello, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, oppure a quella in cui entrambi i giudici di merito siano incorsi nel travisamento delle risultanze probatorie acquisite in modo talmente evidente e manifesto da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti. La decadenza dalla prova e la mancata assunzione di una prova decisiva. Per maggioritario orientamento di legittimità, la mancata citazione dei testimoni già ammessi dal giudice comporta la decadenza della prova, in quanto il termine di tale citazione testimoniale è inserito in una sequenza procedimentale che non ammette ritardi o rinvii dovuti alla mera negligenza delle parti ed ha, pertanto, natura perentoria, con la conseguenza che legittimamente il giudice provvede a revocare l’ammissione dei detti testi. In altri termini, chiarisce la Corte Regolatrice, la mancata citazione del teste per l’udienza può essere valutata dal giudice come comportamento significativo della volontà della parte richiedente di rinunciare alla prova già ammessa, anche per l’orientamento che nega la decadenza della prova in tal caso. Per ciò che concerne, invece, il mancato esercizio del potere del giudice del dibattimento di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 c.p.p., questo non richiede una espressa motivazione allorquando, dalla valutazione effettuata delle risultanze probatorie, possa implicitamente evincersi la superfluità di una eventuale integrazione istruttoria. La disciplina dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione in relazione ai provvedimenti giudiziari del Giudice di Pace. Se da un lato la sospensione condizionale della pena non si applica alle pene irrogate dal Giudice di Pace, dall’altro giova ricordare – affermano ancora i Supremi Giudici – che, con riferimento alla non menzione, nel certificato penale sono riportate le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative, tra l’altro, proprio ai provvedimenti giudiziari emessi dal Giudice di Pace.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 gennaio – 2 maggio 2019, n. 18259 Presidente Morelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, datato 14.12.2016, depositato il 13.2.2017, il Tribunale di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di pace di Roma il 24.6.2014, ha assolto M.G.C. dal reato di ingiuria a lui ascritto al capo A, per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, confermando la condanna ma riducendo la pena irrogata per il residuo reato di percosse capo B ad Euro 400 di multa e riducendo, altresì, la condanna al risarcimento dei danni alla somma di Euro 900, in considerazione del venir meno del reato depenalizzato. I fatti sono avvenuti nell’ambito di una lite tra l’imputato e la vittima del reato, D.A. , per ragioni di viabilità M. aveva aggredito la persona offesa, colpevole di avergli contestato la modalità di parcheggio della propria autovettura, con cui aveva bloccato il traffico. 2. Avverso il citato provvedimento propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite il proprio difensore avv. Balestra, deducendo quattro motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo si argomenta vizio di violazione di legge in relazione al reato di percosse ed all’attribuzione soggettiva della condotta all’imputato. Nessuna ragione è indicata in sentenza sulla volontarietà dell’aggressione, avendo tentato invece il ricorrente di sottrarsi alla aggressione che nei suoi confronti stava ponendo in essere la persona offesa come prova anche il certificato medico del pronto soccorso acquisito in atti . 2.2. Con il secondo motivo si deduce la stessa doglianza sotto il profilo del vizio di motivazione manifestamente illogica mancano nella sentenza impugnata precisi riferimenti alla condotta della persona offesa, nonostante sulle sue dichiarazioni e su quelle di altri testi d’accusa si sia fondata l’affermazione di responsabilità. Inoltre, sono ingiustificate le critiche in sentenza all’atto di appello, che si assume aver avuto un contenuto di censura solo formalistico, essendo evidente, invece, la specificità delle doglianze difensive che hanno offerto anche una ricostruzione alternativa dell’accaduto. 2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta manifesta illogicità della motivazione ed erronea valutazione delle prove, nonché il loro travisamento e l’erronea applicazione degli artt. 191, 192 e 234 c.p.p Il Tribunale ha ignorato alcuni elementi di prova a favore del ricorrente e precisamente - la presentazione di querela prima della persona offesa che invece l’ha sporta solo un mese dopo , essendo irrilevante l’argomento utilizzato dal giudice d’appello per superare l’analogo motivo proposto nell’impugnazione di merito secondo cui sarebbe valida la denuncia presentata oralmente nell’immediatezza dei fatti dal D. alla polizia giudiziaria intervenuta sul posto - la documentazione medica acquisita al fascicolo del dibattimento, ritenuta erroneamente non significativa perché dimostrerebbe solo l’avvenuto contatto fisico tra i due litiganti, mentre, invece, da essa emergono circostanze che riscontrano perfettamente il ruolo di vittima e non di aggressore del ricorrente - le dichiarazioni di alcuni testimoni oculari, che sono state ritenute irrilevanti dal Tribunale perché irritualmente acquisite in allegato alla querela del M. contro il D. , senza contraddittorio tra le parti e senza che un’ordinanza in tal senso venisse emessa dal giudice di pace. Ciò contraddice il verbale d’udienza del 20.12.2011 nel quale, invece, si dà atto della ritualità di tali acquisizioni al fascicolo dibattimentale. Si conclude sostenendo, pertanto, che vi è stato travisamento della prova da parte del Tribunale. 3.4. Il quarto motivo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, richiesta dall’imputato con riferimento ai testi indicati dalla difesa, deducendo la pretestuosità dell’argomento utilizzato al riguardo dal giudice d’appello e riferito al fatto che la assenza dei testi della difesa all’udienza del 24.6.2014 dinanzi al giudice di pace da cui il Tribunale deduce la legittimità della revoca del loro esame, secondo la giurisprudenza di legittimità è stata indice di intento dilatorio. Si argomenta, altresì, la mancanza di motivazione del provvedimento impugnato sulla richiesta difensiva di rinnovazione istruttoria e di esame di detti testi a discarico, citando giurisprudenza sui poteri officiosi ex art. 507 c.p.p. nel caso di prova da ritenersi decisiva. 3.5. Infine, con il quinto ed ultimo motivo, si argomenta violazione di legge in relazione al diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, stante l’incensuratezza dell’imputato e l’evidente occasionalità del reato, per l’assenza di qualsiasi motivazione riguardo a tale decisione. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso sono tutti inammissibili, o perché formulati in fatto o perché manifestamente infondati. 2. Le prime tre ragioni di ricorso chiedono a questa Corte di legittimità una diversa ricostruzione delle risultanze probatorie, senza peraltro confrontarsi con le argomentazioni del giudice d’appello che, invece, sono coerenti e logiche nella indicazione degli elementi di prova che hanno portato all’affermazione di responsabilità del ricorrente, come autore delle percosse ai danni della vittima. In realtà, là dove si argomentano violazione di legge in relazione alla attribuzione soggettiva del reato all’imputato - il quale, invece, secondo la difesa, avrebbe solo cercato di sottrarsi alla condotta aggressiva della persona offesa - ed altrettanti vizi motivazionali, pur adducendosi un difetto della struttura ricostruttiva in fatto e processuale della sentenza, si propongono, piuttosto, diversi approdi delle risultanze processuali e di prova e si chiede a questa Corte di legittimità, in ultima analisi, non già di pronunciarsi sulla bontà e correttezza del percorso motivazionale adottato dal provvedimento impugnato, bensì di valutarne l’esattezza degli snodi decisionali rispetto ad una alternativa ricostruzione della piattaforma fattuale utilizzata. Un’operazione siffatta non è consentita al giudice di legittimità che, come noto, vede l’orizzonte della sua verifica circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l’interpretazione delle norme applicate. Invero, costituisce giurisprudenza consolidata quella che afferma l’insindacabilità da parte di questa Corte di profili ricostruttivi della prova e della versione dei fatti articolata dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicità della motivazione ovvero di profili di travisamento della prova cfr. ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559 Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074 Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215 Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716 Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965 . Nel caso di specie, la motivazione impugnata si salda con quella di primo grado a formare il canone valutativo della cd. doppia pronuncia conforme, cui si connettono limiti anche dal punto di vista della deducibilità del vizio di travisamento della prova dedotto nel terzo motivo di ricorso - vizio che, secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, è circoscritto, in tal caso, alle ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero a quella in cui entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837 Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217 Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018, L, Rv. 272018 . Ebbene, i tre elementi di prova indicati dal ricorrente come oggetto del travisamento sono stati, invece, ben valutati da entrambi i giudici di merito, in modo sostanzialmente conforme tra loro ed hanno portato a ricostruire la vicenda nel senso del comportamento aggressivo del ricorrente, nonostante la situazione di palese suo torto per aver parcheggiato l’autovettura in modo da ostacolare pesantemente la regolare viabilità e, in particolare, la persona offesa, cui è stato arrecato sicuramente il maggior disagio. 4. Quanto al quarto motivo difensivo, riferito alla violazione delle regole di assunzione della prova testimoniale decisiva e, in particolare, alla revoca dei testi della difesa, il Tribunale ha ben applicato la giurisprudenza in materia di mancata citazione dei testi da parte di chi li abbia inseriti nella propria lista già ammessa e non abbia adempiuto, tuttavia, all’onere di citarli, cui segue - per tale ragione - la revoca della loro ammissione, costituendo la mancata citazione anche rinuncia implicita alla loro assunzione. Il Collegio condivide l’orientamento secondo cui la mancata citazione dei testimoni già ammessi dal giudice comporta la decadenza della parte dalla prova, poiché il termine per la citazione dei testimoni è inserito in una sequenza procedimentale che non ammette ritardi o rinvii dovuti alla mera negligenza delle parti ed ha, pertanto, natura perentoria Sez. 6, n. 594 del 21/11/2017, dep. 2018, Marsilio, Rv. 271939 Sez. 2, n. 14439 del 27/2/2013, Lombardo, Rv. 255548 sicché legittimamente il giudice provvede a revocare l’ammissione dei predetti testi Sez. 4, n. 22585 del 25/1/2017, Laforet, Rv. 270170 Sez. 6, n. 2324 del 7/1/2015, Zampagni, Rv. 261922 . La mancata citazione del teste per l’udienza può essere valutata dal giudice come comportamento significativo della volontà della parte richiedente di rinunciare alla prova già ammessa, anche per l’orientamento che nega la decadenza della prova in tal caso Sez. 3, n. 2103 del 11/11/2008, dep. 2009, Sinigaglia, Rv. 242346 Sez. 3, n. 20267 del 8/4/2014, Acerbis, Rv. 259668 Sez. 3, n. 20851 del 11/3/2015, Zambelli, Rv. 263774 . Peraltro, pur a voler accedere all’orientamento differente cfr. Sez. 6, n. 11400 del 12/2/2015, Corti, Rv. 262783 Sez. 3, n. 24302 del 12/5/2010, L., Rv. 247878 Sez. 3, n. 8159 del 26/11/2009, dep. 2010, Rv. 246255 che ritiene si configuri, invece, nel caso di revoca del teste precedentemente ammesso in ragione della sua mancata citazione da parte della difesa, una nullità a regime intermedio la cui eccezione andrebbe proposta al momento del provvedimento di revoca, nella fattispecie sottoposta al Collegio non è stato dedotto specificamente dal ricorrente che ciò sia stato fatto. Le carenze argomentative del ricorso, peraltro, si manifestano anche in relazione alla omessa, compiuta indicazione proprio della necessità e non superfluità della prova che la stessa parte ha dimostrato - si badi - di non aver interesse ad assumere, evitando la citazione tempestiva nulla dice il ricorso sulle circostanze decisive che i testi revocati avrebbero dovuto attestare, limitandosi soltanto a prospettarne una generica necessità. Sicché, anche le pronunce che ritengono che la mancata citazione del teste per l’udienza non comporti la decadenza della parte richiedente dalla prova, salvo che quest’ultima sia superflua o la nuova autorizzazione alla citazione per un’udienza successiva comporti il ritardo della decisione Sez. 4, n. 48303 del 27/9/2017, Sotomayor Melgarejo, Rv. 271143 Sez. 3, n. 13507 del 18/2/2010, Cirullo, Rv. 246604 e Sez. 5, n. 29562 del 1/4/2014, S., Rv. 262523 non assumono rilievo nel caso di specie. Infine, anche nell’esporre la mancanza di motivazione dedotta in relazione al motivo d’appello riferito all’omessa attivazione dei poteri istruttori d’ufficio da parte del giudice, il ricorso non tiene conto della implicita risposta negativa a tale addotta necessità di prova il Tribunale ha ampiamente argomentato sulle ragioni in base alle quali ha ritenuto sufficiente la piattaforma probatoria già presente ed utilizzabile nel processo a ricostruire la vicenda con caratteri di certezza e chiarezza quanto alla affermazione di responsabilità dell’imputato implicitamente, pertanto, ha affermato la superfluità di una qualsiasi, eventuale ed ulteriore rinnovazione istruttoria. Deve essere ribadito, infatti, che il mancato esercizio del potere del giudice del dibattimento di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 c.p.p. non richiede un’espressa motivazione, quando, dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie, possa implicitamente evincersi la superfluità di un’eventuale integrazione istruttoria Sez. 4, n. 7948 del 3/10/2013, dep. 2014, Fappiano, Rv. 259272 vedi anche, per un caso in cui si è ritenuta egualmente legittima la motivazione implicita del giudice d’appello sulla richiesta ex art. 507 c.p.p., Sez. 2, n. 51740 del 3/12/2013, Mitidieri, Rv. 258115 . 5. Infine, il quinto ed ultimo motivo di ricorso ha dedotto egualmente ragioni inammissibili di doglianza, quanto al diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Anzitutto, occorre ribadire quanto affermato da Sez. 5, n. 36791 del 22/6/2015, Capizzo, e cioè che la disciplina codicistica in materia di sospensione condizionale non si applica alle pene irrogate dal giudice di pace D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 60, comma 1 mentre, quanto al beneficio della non menzione, deve rammentarsi che, ai sensi del D.P.R. n. 313 del 2002, art. 25, comma 1, lett. i , nel certificato penale sono riportate le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative, tra l’altro, ai provvedimenti giudiziari emessi dal giudice di pace. Entrambe le ragioni di ricorso contenute nel motivo in esame, pertanto, sono inammissibili per manifesta infondatezza, non avendo alcun interesse l’imputato a dedurle. Da un lato, infatti, la non menzione non ha ragione di essere richiesta essendo già collegata al fatto che nel certificato penale - per espresso dettato normativo D.P.R. n. 313 del 2002, art. 25, comma 1, lett. i - non vengono riportate le iscrizioni del casellario giudiziale relative ai provvedimenti giudiziari emessi dal giudice di pace, quale è quello di condanna nel caso di specie. Dall’altro, il beneficio della sospensione condizionale della pena è costantemente ricostruito dalla giurisprudenza di legittimità come inapplicabile alle pene inflitte dal giudice di pace e tale limitazione è stata anche più volte valutata compatibile con il quadro dei principi costituzionali dettati dalla nostra Carta fondamentale. Invero, è stata dichiarata manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 60, nella parte in cui esclude, per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, l’applicabilità della sospensione condizionale della pena, in quanto il legislatore, nella sua discrezionalità, ha ritenuto, per ragioni di politica criminale, di dover privilegiare, in tale ipotesi, il principio dell’effettività della sanzione penale e tale scelta non concreta alcun irragionevole trattamento discriminatorio Sez. 2, n. 28850 del 8/5/2013, Orrù, Rv. 256354 Sez. 4, n. 41992 del 15/11/2006, Rv. 235678 Sez. 4, n. 14815 del 2/10/2003, dep. 2004, Zedda, Rv. 228057 . L’inapplicabilità del beneficio in questione dipende dalla natura delle sanzioni irrogabili dal giudice di pace, del tutto diverse da quelle in ordine alle quali la sospensione è concedibile, e dalla facoltà del legislatore di stabilire una diversa regolamentazione relativamente alle differenti pene ed ai differenti sistemi sanzionatori previsti nel procedimento penale ordinario ed in quello di competenza del giudice di pace, differenziazione che non viola, di per sé, l’art. 3 Cost Infatti, la scelta del legislatore di privilegiare, per ragioni di politica criminale, il principio di effettività della sanzione penale nel procedimento davanti al giudice di pace non si traduce in alcun irragionevole trattamento discriminatorio nè in una violazione dell’art. 24 Cost., poiché non viene in gioco un diverso livello di tutela del diritto di difesa. Peraltro, tale impostazione è coerente con la ratio legislativa desumibile dalla Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo sulla istituzione del Giudice di pace, in cui si è evidenziata l’opportunità di intervenire sul funzionamento della sospensione condizionale, in vista di un suo adattamento al mutato scenario sanzionatorio, contraddistinto da istituti che tendono alla composizione del conflitto ed alla valorizzazione delle istanze della vittima. Per questo, al fine di favorire il funzionamento dei filtri di natura conciliativa, il legislatore ha ritenuto necessario munire il Giudice di pace di un potere di irrogare sanzioni miti ma destinate comunque ad esplicare una qualche funzione dissuasiva e, soprattutto, capaci di invogliare le parti alla composizione del conflitto in tale ambito è stata offerta all’imputato un’ampia gamma di opzioni che consentono di evitare la pronuncia di una sentenza di condanna a patto, però, di una composizione del conflitto con la vittima e, a tale fine, risulta corretta e costituzionalmente orientata la scelta di precludere la sospensione della pena nell’intento di conciliare la mitezza degli istituti collegati alla giurisdizione del Giudice di pace con una loro reale effettività, in modo tale da costituire un incentivo concreto all’obiettivo tendenziale e primario di ricomporre il conflitto con la vittima. Deve essere affermato, in conclusione, il principio secondo cui nel processo dinanzi al giudice di pace non sono applicabili gli istituti della sospensione condizionale della pena e della non menzione e tale opzione è compatibile con il principio di eguaglianza e con il diritto di difesa previsti dagli artt. 3 e 24 Cost., alla luce degli obiettivi finali che si propone il sistema procedimentale e sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000. 6. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000 , al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 2.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000 a favore della Cassa delle ammende.