Psicosi cronica per il figlio: niente permesso per il papà detenuto

Respinta la richiesta avanzata dal genitore, sottoposto in carcere anche al regime del 41-bis. Acclarate le precarie condizioni del figlio, viene evidenziato dai giudici che ci si trova di fronte a una situazione cronica e destinata a prolungarsi nel tempo, e non di fronte a un evento familiare grave ed eccezionale.

Niente libera uscita” per il papà detenuto – e sottoposto al regime del 41- bis – che vuole trascorrere qualche ora col figlio, affetto da psicosi schizo-affettiva cronica. Legittimo, anche secondo la Cassazione, il no” alla sua richiesta di vedersi riconosciuto un permesso di necessità ad hoc . Decisiva la constatazione che le precarie condizioni di salute del ragazzo sono frutto di una patologia cronica, e che non vi è pericolo di vita né vi sono stati recenti e significativi aggravamenti Cassazione, sentenza n. 17593, Sezione Prima Penale, depositata il 24 aprile . Tempo. A essere messa in discussione è la decisione presa dal Tribunale di sorveglianza. Obiettivo del ricorso proposto in Cassazione dal legale del detenuto è vedersi riconosciuta la possibilità di andare a trovare il figlio, affetto da una psicosi schizo-affettiva cronica grave . E in questa ottica l’avvocato sottolinea che tutte le circostanze della vicenda avevano fatto concedere, in passato, il permesso di necessità al suo cliente, e aggiunge che la patologia del ragazzo aveva soltanto sviluppi peggiorativi, aggravati dall’assenza paterna e dalla sostanziale impossibilità di effettuare colloqui in carcere . Queste osservazioni non convincono però i Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali ritengono sacrosanto negare al detenuto – sottoposto al regime del 41- bis – la possibilità di andare a fare visita al figlio. I magistrati tengono a ricordare che il permesso previsto dall’ordinamento penitenziario può essere concesso soltanto eccezionalmente e per eventi familiari di particolare gravità . E questo principio si rivela fondamentale nella chiusura di questa vicenda, poiché i giudici evidenziano la connotazione cronica della patologia del figlio del detenuto che stava rendendo periodica e puntuale la fruizione del permesso . Invece, la normativa prevede un evento, cioè un fatto singolo, non una situazione cronica che si prolunga nel tempo , poiché la disciplina del permesso di necessità non può piegarsi ad ogni situazione di tipo familiare , altrimenti si finirebbe per connetterlo a situazioni protratte a tempo indefinito – come la prolungata malattia di un congiunto – con la conseguente concessione di una serie irragionevole di permessi di necessità , concludono i Giudici.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 marzo – 24 aprile 2019, n. 17593 Presidente Casa – Relatore Minchella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 12/07/2018 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto da Ri. Ig., detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41 bis Ord.Pen., avverso il provvedimento in data 24/05/2018 con cui il Magistrato di Sorveglianza di Viterbo aveva rigettato la richiesta di permesso di necessità avanzata ex art. 30 Ord.Pen. allo scopo di fare visita al figlio affetto da psicosi schizo-affettiva cronica grave lamentava il reclamante che in passato, per la medesima ragione, altro magistrato aveva per due volte concesso il permesso richiesto, ma osservava il Tribunale di Sorveglianza che le condizioni sanitarie del figlio del detenuto erano state si attestate, ma che si trattava di una patologia cronica e che il figlio del detenuto non versava in pericolo di vita né vi erano stati recenti e significativi aggravamenti. 2. Avverso detta ordinanza propone ricorso il condannato per mezzo del difensore Avv. Giampaolo Balzarelli, deducendo, ex art. 606, comma 1 lett. b , cod.proc.pen., erronea applicazione di legge sostiene che tutte le circostanze della vicenda in passato avevano fatto concedere il permesso di necessità con stringenti prescrizioni poiché la patologia del figlio aveva soltanto sviluppi peggiorativi, aggravati dall'assenza paterna e dalla sostanziale impossibilità di effettuare colloqui in carcere a fronte di ciò, il Magistrato di Sorveglianza e il Tribunale di Sorveglianza non avevano svolto le previste richieste istruttorie prima di assumere la decisione, nonostante ciò fosse espressamente previsto dall'art 30 Ord.Pen., la cui interpretazione si era fatta meno riduttiva. 3. Con memoria successivamente versata in atti il ricorrente ripercorre le ragioni di doglianza. Il P.G. chiede il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. Giova premettere che il ricorso in esame, così come l'ordinanza impugnata, attengono esclusivamente all'istituto del permesso di necessità di cui all'art. 30 Ord.Pen., e a tale tema sarà limitata la disamina, senza dilatazione ad altri istituti. Non appare quindi inopportuno ripercorrere la storia normativa del beneficio de quo, poiché la dinamica legislativa offre conforto all'interpretazione qui sostenuta. All'epoca dell'elaborazione dell'ordinamento penitenziario erano state segnalate due esigenze di ordine differente in primo luogo, la necessità di dare disciplina legislativa a brevi permessi di uscita dall'istituto penitenziario per gravi esigenze familiari del detenuto in secondo luogo, l'opportunità di attenuare l'isolamento derivante dalla vita carceraria mediante la concessione di brevi uscite destinate a favorire il mantenimento delle relazioni familiari e sociali. La legge del 1975 non intese, però, corrispondere alla seconda delle due esigenze, dato che la previsione relativa a brevi permessi per mantenere vive le relazioni umane - pur se presente nel corso dei lavori parlamentari - non venne mantenuta nel testo poi approvato. La necessità di soddisfare gravi esigenze familiari trovò invece un chiaro e ben delimitato riconoscimento nel comma 1 dell'art. 30 O.P., con il presupposto dell'imminente pericolo di vita del congiunto peraltro, con il comma 2 del medesimo articolo si consenti, sia pure eccezionalmente , la concessione di analoghi permessi per gravi ed accertati motivi . La flessibilità dell'espressione indusse la Magistratura ad utilizzare la previsione con un certa ampiezza, per dare risposta, sia pure parziale, ad una serie di necessità ritenute meritevoli di considerazione ma ciò diede luogo a critiche e preoccupazioni, anche sulla scia di episodi negativi avvenuti grazie a concessioni improprie del beneficio. Così, a tale situazione intese porre rimedio la Legge n. 450/1977, che introdusse due innovazioni anzitutto, modificò il comma 2 dell'art. 30 Ord.Pen., consentendo la concessione degli analoghi permessi solo eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità . In secondo luogo, riconobbe al P.M. la facoltà di proporre reclamo avverso il provvedimento di concessione, con effetto sospensivo. Con queste innovazioni l'istituto del permesso di necessità fu definitivamente caratterizzato in modo tale da non consentirne l'utilizzo come strumento del trattamento e da definirlo, invece, quale mero rimedio eccezionale, diretto ad evitare, per finalità di umanizzazione della pena, che all'afflizione propria della detenzione si sommasse inutilmente quella derivante all'interessato dall'impossibilità di essere vicino ai congiunti, o di adoperarsi in favore dei medesimi, in occasione di particolari avverse vicende della vita familiare. Un suggello al nuovo assetto normativo venne poi dalla Corte Costituzionale, con la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità sollevata circa la limitazione della concedibilità agli eventi di natura familiare Corte Cost., n. 77 del 1984 . Una certa applicazione variegata prosegui, ma ciò sino all'introduzione nel 1986 del nuovo istituto del permesso-premio con questa entrata in vigore si esauri la tendenza ad una applicazione più ampia e la caratterizzazione dell'istituto del permesso di necessità restò indiscussa - in giurisprudenza e nella dottrina - quale strumento di umanizzazione della pena, idoneo a soddisfare soltanto il primo dei due principi enunziati dal comma 3 dell'art. 27 Cost. Così oggi il permesso previsto dall'art. 30 Ord.Pen. al comma 2 può essere concesso - per espressa disposizione normativa - soltanto eccezionalmente e per eventi familiari di particolare gravità detta disciplina è particolarmente ristretta, poiché possono prendersi in considerazione soltanto eventi , e cioè fatti storici ben specifici ed individuati, i quali siano di natura familiare e che assumano il carattere della particolare gravità. E' chiaro che il termine di gravità sopra richiamato non si riferisce soltanto ad un evento luttuoso o drammatico, ma deve essere inteso come un qualsiasi avvenimento particolarmente significativo nella vita di una persona. 2. I requisiti richiesti dalla norma per la concessione del permesso di necessità si individuano, tradizionalmente, in tre elementi il carattere eccezionale della concessione, la particolare gravità dell'evento giustificativo, la correlazione di questo con la vita familiare. Nella fattispecie, il Tribunale di Sorveglianza ha escluso la possibilità di concedere un ulteriore permesso ex art. 30 Ord.Pen. non rilevando la natura eccezionale di quanto veniva richiesto, poiché la connotazione cronica della patologia del congiunto del detenuto stava rendendo periodica e puntuale detta fruizione. Si tratta di una decisione corretta premesso che non risponde al vero l'affermazione del ricorrente circa la mancata effettuazione dell'istruttoria da parte dell'Ufficio di Sorveglianza e del Tribunale di Sorveglianza infatti, l'Ufficio di Sorveglianza di Viterbo aveva effettuato la dovuta istruttoria, acquisendo la relazione sanitaria datata 13/02/2018, di poco anteriore al provvedimento che sarebbe stato in seguito oggetto di reclamo , va detto che, per accedere a questo tipo di permesso occorre che sussistano particolarissime ragioni di eccezionale rilevanza, quale un evento drammatico o di rara frequenza, legato comunque alla sfera familiare e connesso ad un fatto storico precisato e ben determinato la normativa prevede un evento e cioè un fatto singolo e non anche una situazione cronica che si prolunga nel tempo, poiché la disciplina normativa del permesso di necessità non può piegarsi ad ogni situazione di tipo familiare, altrimenti si finirebbe per connettere lo stesso a situazioni protratte a tempo indefinito, con la conseguenza di una serie irragionevole di permessi di necessità. In effetti, la strumentante del permesso di necessità rispetto all'obiettivo della cura familiare ed una sua tendenziale normalità e frequenza periodica nell'ambito di un trattamento progressivo mal si conciliano con la nozione di un rimedio di carattere straordinario che tutela elementari esigenze di vita. Corretta dunque è stata la decisione impugnata, la quale ha sottolineato la mancanza di mutamenti particolari nella situazione preesistente del resto, alle esigenze prospettate nella fattispecie provvede ora un differente istituto, dalla disciplina peculiare e non riversabile nell'alveo del permesso di necessità. 3. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.