Estinzione del reato per positivo svolgimento dei l.p.u. e revoca della condanna ex art. 673 c.p.p.: non sono equiparabili

L'estinzione del reato a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità quale sanzione sostitutiva della pena differisce dalla revoca della sentenza di condanna disposta ai sensi dell'articolo 673 cod. proc. pen., per cui la sentenza di condanna, che abbia applicato la pena sostitutiva, può costituire ostacolo all’applicazione o reiterazione della sospensione condizionale della pena in relazione ad altro reato separatamente giudicato.

Questo il principio di diritto espresso dalla I Sezione Penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 17414, depositata il 23 Aprile 2019. La vicenda. Il Giudice dell'esecuzione rigettava l’istanza finalizzata ad ottenere la sospensione condizionale della pena rilevando che, del beneficio richiesto, bensì non applicato in sede di cognizione, non era stata fatta menzione alcuna, nonché la sussistenza della causa ostativa, rappresentata dal reato di identica natura articolo 186, comma 7, c.d.s. , per il quale in separato procedimento era stata applicata la pena con sentenza di patteggiamento, che aveva sostituito la sanzione dapprima individuata col lavoro di pubblica utilità, non era venuta meno, nonostante detto reato fosse stato dichiarato estinto per positivo svolgimento del lavoro. L'estinzione del reato ai sensi dell'articolo 186, comma 9- bis , c.d.s., non veniva ritenuta equiparabile alla revoca della sentenza di condanna. Il ricorrente, in sede di legittimità, lamenta che il Giudice avesse ritenuto che l’estinzione, realizzata per positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità, non cancellasse il fatto di reato, senza considerare che la pronuncia di estinzione, ex articolo 186, comma 9- bis , c.d.s., costituisse condizione che, in virtù di quanto disposto dall’articolo 673, comma 2, c.p.c., consenta l’applicazione della sospensione condizionale della pena. La difformità degli effetti prodotti dai due istituti. La Cassazione individua la questione da esaminare nella possibilità di equiparare ad una pronuncia di revoca della sentenza di condanna, disposta ex articolo 673 c.p.p., la declaratoria di estinzione del reato per espletamento favorevole dei lavori di pubblica utilità. Il Collegio della Prima Sezione Penale dichiara il ricorso inammissibile, sul presupposto che la supposta equiparazione non sia praticabile, stante la diversità degli effetti, propri, dei due istituti in esame. In particolare - la revoca della sentenza è un rimedio che presuppone l’intervento di un elemento di novità rispetto al giudicato già formatosi, e gli effetti consistono nell’eliminare il titolo esecutivo, così rimuovendo gli effetti della pronuncia - con la declaratoria di estinzione del reato il giudice dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente, nonché revoca la confisca del veicolo sequestrato. Ancor più in dettaglio, la fattispecie giudicata mediante la sentenza che condanna per guida in stato di ebbrezza, mantiene intatto il suo disvalore e la sua rilevanza penale sia come accadimento in senso naturalistico, sia in quanto fatto criminoso, bensì viene dichiarata estinta, sul presupposto del suo accertamento giudiziale, in conseguenza dell’espiazione della sanzione in forma alternativa alla detenzione. Ulteriormente, lo stesso collegio osserva che alla previsione dell’estinzione del reato non si accompagna quella della cessazione di effetti penali della condanna, ossia degli effetti di natura sanzionatoria derivanti in via automatica dalla pronuncia di condanna, in modo diverso da quanto l’ordinamento opera in relazione ad ulteriori meccanismi estintivi decreto penale di condanna, affidamento in prova al servizio sociale, mancata commissione di ulteriore reato entro un termine statuito in ipotesi di patteggiamento. L’esame del comma 9-bis, articolo 186, c.d.s I Giudici romani dichiarano di condividere l'ermeneutica prescelta dal collega di merito, finanche per un ulteriore argomento testuale il comma 9- bis , articolo 186 c.d.s., non solamente esclude che l'estinzione del reato comporti pure il venir meno degli effetti penali della condanna, bensì detta una disciplina autonoma e specifica di taluni di essi, nella parte ove statuisce che la conclusione positiva, attraverso la prestazione del lavoro socialmente utile, determina la riduzione a metà della durata della sospensione della patente, ossia di una sanzione accessoria di indole amministrativa che il giudice deve imporre, come pure la revoca della confisca del veicolo in sequestro. L’esame del comma 2, lett. c , articolo 186 c.d.s Nel confermare la tesi della pronuncia di merito, il Collegio di legittimità ulteriormente osserva che l’estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza dopo il positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità, presupponendo l'avvenuto accertamento del fatto, non ostacola la verificazione di un ulteriore effetto legale della condanna, cioè non impedisce al giudice di valutarlo in un processo successivo come precedente specifico ai fini dell'applicazione della speciale recidiva nel biennio”, contemplata dal comma 2, lett. c , dell’articolo 186 c.d.s

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 marzo – 23 aprile 2019, n. 17414 Presidente Di Tommasi - Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza in data 3 ottobre 2018 il Tribunale di Piacenza, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta, proposta nell’interesse di D.I. , volta ad ottenere la sospensione condizionale della pena di mesi cinque di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda, inflittagli con la sentenza della Corte di appello di Bologna in data 29 gennaio 2014, irrevocabile il 26 gennaio 2018. A fondamento della decisione il Tribunale rilevava che al beneficio richiesto, non applicato in sede di cognizione con la predetta sentenza, non era stata fatta nessuna menzione e che la sussistenza della presumibile causa ostativa, rappresentata dal reato di identica natura, per il quale in separato procedimento gli era stata applicata la pena con sentenza di patteggiamento emessa dal G.i.p. del Tribunale di Piacenza del 13 marzo 2013, che aveva sostituito la sanzione inizialmente individuata con il lavoro di pubblica utilità, non era venuta meno, sebbene detto reato fosse stato dichiarato estinto per positivo svolgimento dell’attività prestata in favore della collettività. L’estinzione del reato ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, non è, infatti, equiparabile alla revoca della sentenza di condanna. 2.Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del difensore, il quale ha dedotto a manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 673 c.p.p., comma 2. Il giudice dell’esecuzione non ha considerato che detta norma prevede che alla revoca della sentenza si provvede anche quando sia stata pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o mancanza di imputabilità. Tale situazione si è verificata anche nel caso specifico in cui il diniego della sospensione condizionale della pena inflitta era stato motivato a ragione del precedente penale specifico, in seguito revocato in quanto il reato è stato dichiarato estinto con ordinanza del 5 maggio 2014 con concessione anche del beneficio della non menzione. Anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che il giudice dell’esecuzione può disporre la sospensione condizionale della pena inflitta con una successiva condanna quando l’applicazione del beneficio sia stata negata a causa di una precedente condanna, poi revocata S.U., 20/12/2005 Corte Cost. 11/12/2001, n. 402 Cass., sez.1, n. 12433 del 2/3/2017 n. 33817 del 20/6/2014 n. 4334 del 10/1/2012 . b Manifesta illogicità della motivazione in ordine alla nozione di estinzione del reato. Il Tribunale ha ritenuto che l’estinzione prodottasi per positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità non cancelli il fatto di reato senza considerare che la pronuncia di estinzione ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, costituisce condizione che, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., comma 2, permette a applicazione della sospensione condizionale della pena. 3.Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Dott. Luigi Cuomo, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi, in parte aspecifici, in parte manifestamente infondati. 1. Il D. ha sollecitato l’applicazione in sede esecutiva del beneficio della sospensione condizionale dell’esecuzione in relazione alla pena di mesi cinque di arresto e di Euro 2.000,00 di ammenda, inflittagli per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 7, a conclusione del procedimento penale, definito dalla Corte di appello di Bologna con sentenza del 27 aprile 2017, irrevocabile il 26 gennaio 2018, Da quanto esposto nel provvedimento impugnato e dai documenti prodotti a sostegno della domanda è emerso che il ricorrente - era stato sottoposto ad un primo procedimento penale per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 1, comma 2, lett. b , comma 2 sexies, commesso il OMISSIS , definito con sentenza di patteggiamento del 13 marzo 2013, emessa dal G.i.p. del Tribunale di Piacenza, irrevocabile il 6 dicembre 2013, che aveva sostituito la pena detentiva di tredici giorni di arresto e quella pecuniaria di 1.000 Euro di ammenda con il lavoro di pubblica utilità - espletata l’attività impostagli con riscontrato esito positivo, con ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Piacenza del 5 maggio 2014 il reato era stato dichiarato estinto ed era stata disposta la riduzione alla metà della durata della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida - nel frattempo egli era stato tratto a giudizio e condannato con la sentenza del Tribunale di Piacenza del 29 gennaio 2014, confermata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza del 27 aprile 2017, parzialmente annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione il 18 gennaio 2018 limitatamente alla durata della pena accessoria della sospensione della patente di guida, rideterminata in mesi sei. 2.Dalla lettura delle pronunce susseguitesi in quest’ultimo procedimento si trae conferma della correttezza e pertinenza del primo rilievo critico, esposto nell’ordinanza impugnata il Tribunale di Piacenza non aveva disposto la sospensione condizionale della pena, avendo rilevato soltanto l’esistenza di un precedente specifico di ostacolo all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Nella motivazione di quella sentenza non è dato rinvenire, né una valutazione prognostica sfavorevole circa la pericolosità dell’imputato, né il rilievo di impedimenti giuridici alla sospensione dell’esecuzione, non avendo il giudice trattato il tema, che del resto non era stato sollevato nemmeno dall’imputato e dalla sua difesa, le cui conclusioni avevano invocato una pronuncia assolutoria senza formulare istanze subordinate afferenti al trattamento punitivo. Né il diniego del beneficio era stato oggetto di contestazioni nei gradi successivi, tanto che non vi risulta dedicato nemmeno un motivo del pur proposto ricorso per cassazione. Deve dunque condividersi la considerazione per cui, pur nella sussistenza delle condizioni di legge e nell’assenza di impedimenti normativi assoluti all’applicazione della sospensione condizionale nei limiti di accesso all’istituto, stabiliti dagli artt. 163 e 164 c.p., la mancata formulazione di una richiesta in tal senso era frutto di una scelta difensiva, cui non può consentirsi di rimediare mediante un’istanza rivolta nelle forme dell’incidente di esecuzione a ragione dell’effetto preclusivo del già formatosi giudicato. L’operatività di tale ostacolo giuridico, puntualmente riscontrato, non è stata oggetto di trattazione e di confutazione nell’impugnazione, che ha preferito ignorarlo senza misurarsi con tale autonoma ratio decidendi , incorrendo dunque nel difetto di specificità dei motivi proposti. 3. Il tema in punto di diritto, sul quale s’incentra il ricorso, investe la possibilità di equiparare ad una pronuncia di revoca della sentenza di condanna, disposta ai sensi dell’art. 673 c.p.p., la declaratoria di estinzione del reato per effetto del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità. 3.1Va premesso che nell’ambito dei poteri conferiti alla giurisdizione esecutiva penale la possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena nella fase dell’esecuzione quando non sia stata applicata con la sentenza di condanna è confinato ad ipotesi circoscritte, che sono essenzialmente previste dall’art. 671 c.p.p., comma 3, che si limita a prevedere che il giudice dell’esecuzione può concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando ciò consegue al riconoscimento del concorso formale o della continuazione . Nella lezione interpretativa, offerta dalla giurisprudenza di legittimità più recente, è costante la negazione del potere del giudice dell’esecuzione di applicare il predetto beneficio, così come quello della non menzione della condanna, al di fuori della specifica condizione, costituita dall’intervento volto alla rivalutazione delle vicende criminose già giudicate separatamente per ricondurle alla fattispecie del reato continuato o del concorso formale Cass. sez. 1, n. 50478 del 02/11/2016, Bezziccheri, rv. 268341 sez. 3, n. 29162 del 27/06/2012, Pmt in proc. Palermo e altri, rv. 253164 sez. 1, n. 48512 del 18/11/2004, Zerbetto, rv. 230171 sez. 6, n. 18172 del 04/11/2002, Rulli, rv. 226032 sez. 1, n. 38296 del 21/09/2001, Nicolao, rv. 220736 sez. 5, n. 3213 del 22/05/1998, dep. 13/08/1999, PM in proc. Impellitteri, rv. 213980 sez. 1, n. 2156 del 10/05/1994, Bettini, rv. 198086 . Soltanto in via interpretativa ed in difetto di altra disposizione esplicita ad incrementare i casi di concedibilità della sospensione condizionale della pena in sede esecutiva, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato Sez. U., n. 4687 del 20/12/2005, dep. 2006, Catanzaro, rv. 232610 Il giudice dell’esecuzione, qualora, in applicazione dell’art. 673 c.p.p., pronunci per intervenuta abolitio criminis ordinanza di revoca di precedenti condanne, le quali siano state a suo tempo di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, può, nell’ambito dei provvedimenti conseguenti alla suddetta pronuncia, concedere il beneficio, previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall’art. 164 c.p., comma 1, sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti . Con tale pronuncia le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto che aveva condotto a sollevare incidente di costituzionalità dell’art. 673 c.p.p., per il quale la Corte costituzionale con ordinanza n. 211 del 26/5/2005 aveva dichiarato inammissibile la questione sollevata dal giudice rimettente al solo fine di ottenere l’avallo di una lettura ritenuta conforme a Costituzione della disposizione processuale, hanno escluso di poter procedere ad applicazione analogia dell’art. 671 c.p.p., per la sua natura eccezionale e derogatoria degli effetti incontrovertibili del giudicato e hanno ritenuto che, una volta divenuto il fatto di reato penalmente irrilevante e privo di concreta offensività in dipendenza di un mutato giudizio di valore da parte del legislatore, espresso in una legge posteriore, oppure di pronuncia di incostituzionalità, la revoca del titolo definitivo di condanna costituisca attuazione del disposto più generale dell’art. 2 c.p., comma 2. Pertanto, facendo leva sul significato ampio del potere di adottare i provvedimenti conseguenti alla revoca, assegnato dall’art. 673 c.p.p., comma 1, hanno concluso che la cessazione dell’incriminazione di un comportamento già ritenuto penalmente illecito comporta l’arresto dell’eventuale esecuzione della pena in corso ed il venire meno degli effetti penali della condanna e nell’ambito delle statuizioni dipendenti dalla revoca stessa hanno incluso anche la concessione della sospensione condizionale della pena, una volta che sia rimosso l’ostacolo rappresentato da precedenti fatti criminosi, che tali più non sono. I medesimi principi hanno ricevuto ulteriore ampliamento nella giurisprudenza delle Sezioni Unite dopo l’intervento demolitorio della Corte costituzionale, operato con la sentenza n. 32 del 2014 in riferimento alla disciplina sanzionatoria contenuta nel D.L. 30 dicembre2005, n. 272, artt. 4 bis e 4 vicies ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, con conseguente reviviscenza della disciplina dei reati in materia di sostanze stupefacenti modificata dal legislatore con le norme dichiarate incostituzionali. Ripristinati i precedenti più favorevoli limiti edittali di pena per i reati aventi ad oggetto le cd. droghe leggere, le Sezioni unite hanno ritenuto che la pena determinata secondo i parametri edittali caducati fosse illegale perché il procedimento di commisurazione della stessa si era avvalso di criteri incostituzionali, rimossi dall’ordinamento. Hanno quindi riconosciuto al giudice dell’esecuzione, nell’ambito della funzione di rideterminazione autonoma della pena già inflitta con sentenza irrevocabile di condanna o di patteggiamento per fatti riguardanti le droghe leggere, la facoltà di applicare anche la sospensione condizionale della pena Sez. U., n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, rv. 264859 . Secondo il Supremo Collegio, esigenze di razionalità sistematica impongono di ritenere che una volta dimostrato che la legge processuale demanda al giudice una determinata funzione, allo stesso giudice è conferita la titolarità di tutti i poteri necessari all’esercizio di quella medesima attribuzione sicché è consequenziale inferirne che il riconoscimento della possibilità di eliminare l’effetto ostativo alla concessione della sospensione condizionale della pena comporta necessariamente la titolarità dei poteri necessari al conseguimento di tale risultato . La giurisprudenza di legittimità ha poi individuato tra gli effetti penali della condanna, suscettibili di eliminazione in dipendenza della revoca della sentenza ex art. 673 c.p.p., ricognitiva dell’avvenuta abrogazione della norma incriminatrice, che opera a prescindere dalla formale declaratoria giudiziale Sez. 1, n. 12433 del 02/03/2017, Elia, rv. 269519 sez. 6, n. 16363 del 5/02/2008, Scaccini, rv. 239555 sez. 5, n. 15018 del 5/3/2004, Dell’Angelo, rv. 228474 sez.1, n. 7652 del 11/02/2004, Cunsolo, rv. 227192 sez. 4, n. 21730 del 2/03/2004, Campolo, rv. 228578 , anche l’idoneità della stessa a costituire precedente formalmente ostativo alla applicazione o alla reiterazione della sospensione condizionale della pena, nonché a fungere da causa di revoca del beneficio se già concesso. Del pari si è ritenuto che la condanna per il reato depenalizzato non possa essere valutata per ritenere sussistente la recidiva. 3.3Ebbene, pur non volendosi discostare dai superiori principi, di indubbia validità e costantemente osservati nella giurisprudenza successiva, deve negarsi che l’estinzione del reato conseguente alla verifica con esito positivo dell’esecuzione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità possa equipararsi alla revoca della sentenza, disposta ai sensi dell’art. 673, per la diversità di effetti che sono propri dei due istituti. Come già detto la revoca della sentenza definitiva rappresenta un rimedio che, ponendosi al di fuori dalla constatazione di un possibile errore giudiziario e del sistema delle impugnazioni, presuppone l’intervento di un elemento di novità rispetto al giudicato già formatosi in tali situazioni al giudice dell’esecuzione è demandato il compito di controllare la perdurante illiceità penale del fatto di reato alla luce della sopravvenienza di nuove disposizioni di legge o di pronunce di incostituzionalità o di accertato contrasto con le norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. La pronuncia di revoca produce effetti radicali perché elimina il titolo esecutivo, impone di dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato e di adottare i provvedimenti conseguenti per eliminare gli effetti della sentenza revocata. Molto più contenuto è, invece, l’ambito oggettivo della declaratoria di estinzione del reato, prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, per il quale il giudice dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato . Come deducibile dal testo normativo, la fattispecie giudicata con la sentenza di condanna per la violazione delle prescrizioni del codice della strada mantiene intatto il suo disvalore e la sua rilevanza penale sia quale accadimento in senso naturalistico, sia in quanto fatto criminoso, ma viene dichiarata estinta, sul presupposto del suo accertamento giudiziale, in conseguenza dell’espiazione della sanzione in forma alternativa alla detenzione. È poi significativo che alla previsione dell’estinzione del reato non si accompagni quella della cessazione degli effetti penali della condanna, ossia delle conseguenze di natura sanzionatoria, derivanti in via automatica dalla sentenza di condanna Sez. U, n. 7 del 20/04/1994, P.M. in proc. Volpe, Rv. 197537 diversamente da quanto il legislatore ha operato in riferimento ad altri meccanismi estintivi, quali l’affidamento in prova al servizio sociale art. 47, comma 12 quando sia accertato l’esito positivo del periodo di prova, la mancata commissione di altro reato entro un termine prestabilito nel caso del patteggiamento art. 445 c.p.p., comma 2 e del decreto penale di condanna art. 460 c.p.p., comma 5 . Concorre ad avvalorare l’interpretazione accolta dal giudice di merito ulteriore argomento testuale l’art. 186, comma 9 bis, non soltanto esclude che l’estinzione del reato comporti anche il venir meno degli effetti penali della condanna, ma espressamente detta una disciplina autonoma e specifica di alcuni di essi laddove stabilisce che l’esito positivo dell’esperimento mediante prestazione di lavoro socialmente utile determina la riduzione a metà della durata della sospensione della patente di guida, ossia di una sanzione accessoria di natura amministrativa, che il giudice deve imporre, e la revoca della confisca del veicolo in sequestro. Inoltre, come già affermato da questa Corte sulla base dei medesimi presupposti interpretativi, in riferimento al reato di guida in stato di ebbrezza, l’estinzione del reato a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità, presupponendo l’avvenuto accertamento del fatto, non ostacola la verificazione di un ulteriore effetto legale della condanna, nel senso che non impedisce al giudice di valutarlo in un successivo processo quale precedente specifico ai fini dell’applicazione della speciale recidiva nel biennio , prevista dall’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c . sez. 4, n. 1864 del 07/01/2016, Oberoffer, rv. 265583 . Va dunque formulato il seguente principio di diritto L’estinzione del reato a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità quale sanzione sostitutiva della pena differisce dalla revoca della sentenza di condanna disposta ai sensi dell’art. 673 c.p.p., per cui la sentenza di condanna, che abbia applicato la pena sostitutiva, può costituire ostacolo all’applicazione o reiterazione della sospensione condizionale della pena in relazione ad altro reato separatamente giudicato . Per le considerazioni svolte il ricorso, palesemente infondato, oltre che non perfettamente correlato alle ragioni della decisione avversata, va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, anche al versamento di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.