Rapporti con una minorenne: non avere accertato la data di nascita è una colpa

Condanna definitiva per un uomo. Confermata la pena un anno e 6 mesi di carcere. A inchiodarlo anche il non avere approfondito il fatto che la data di nascita sul documento della ragazzina fosse falsa.

Consapevole della falsa data di nascita presente sul documento di identità della ragazzina – rivelatasi avere appena 12 anni – con cui ha avuto tre rapporti sessuali completi. Questo elemento rende ancora più grave la posizione dell’uomo, che, osservano i Giudici, avrebbe dovuto approfondire la questione. Definitiva, di conseguenza, la sua condanna a un anno, 6 mesi e 20 giorni di reclusione per il reato di violenza sessuale Cassazione, sentenza n. 17370/19, sez. III Penale, depositata oggi . Rapporti. I fatti oggetto del processo risalgono a quasi quindici anni fa. Protagonista in negativo un uomo, originario della Cina, che a 20 anni è finito sotto processo per avere avuto rapporti sessuali completi, in tre differenti occasioni con una ragazzina di neanche 14 anni, rimasta incinta e costretta ad abortire. Accurate indagini fanno emergere l’età della ragazzina – appena 12 anni – e la responsabilità dell’uomo. Consequenziale il processo che si conclude, prima in Tribunale e poi in Appello, con una condanna per violenza sessuale . Identica decisione viene presa anche dai Giudici della Cassazione. Inutili si rivelano le obiezioni difensive, obiezioni centrate sull’ipotesi di rapporti consensuali e sulla tesi che l’uomo è stato ingannato sull’età della ragazza , anche a causa del documento di identità di lei e del differente sviluppo delle popolazioni asiatiche . Data di nascita. Ad inchiodare l’uomo è proprio il racconto fatto dalla ragazzina, che ha spiegato di avergli dato dei riferimenti sul suo anno di nascita. Rilevante, poi, anche la relazione del perito, il quale ha concluso che l’età ossea della persona offesa era coerente con l’età desumibile dai suoi documenti di identità . Peraltro, l’uomo ha dichiarato di avere comunque saputo che la data di nascita sul documento della ragazza era falsa , e quindi, spiegano i Giudici, egli non poteva ritenersi non responsabile, perché l’incertezza sulla data di nascita avrebbe imposto uno specifico impegno conoscitivo , mentre, invece, accontentandosi delle rassicurazioni della ragazza , egli, concludono i Giudici, ha consapevolmente accettato il rischio di compiere atti sessuali con una dodicenne .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 31 gennaio – 23 aprile 2019, n. 17370 Presidente Rosi – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 25.9.2017 la Corte d'appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza in data 23.12.2010 del Tribunale di Vicenza, ha rideterminato la pena nei confronti di W. Zh., applicata l'attenuante di cui all'art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., nella misura di anni 1, mesi 6, giorni 20 di reclusione, conferma nel resto, per il reato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza all'epoca dei fatti minore di anni 14, consistente in rapporti completi consumati in tre differenti occasioni, in Schio, ottobre e dicembre 2005. 2. Dopo una dettagliata premessa sulla vicenda, volta ad accreditare la tesi difensiva dei rapporti consensuali, di essere stato ingannato sull'età della ragazza, di aver manifestato l'intenzione di sposarla dopo aver saputo che era incinta ed aver adombrato l'ipotesi che avesse assunto farmaci per abortire e che fosse andata in ospedale per ricevere le pratiche del caso, il ricorrente formula due motivi di ricorso, che tratta congiuntamente. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d ed e , cod. proc. pen., per la mancata assunzione di una prova decisiva ritualmente richiesta. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., in relazione all'apprezzamento della perizia medico legale. Lamenta in particolare che la Corte territoriale non aveva risposto alle specifiche censure in ordine alle conclusioni della perizia. Ribadisce che il perito non aveva indicato la metodologia usata nelle analisi diagnostiche, con particolare riguardo alle tabelle auxologiche utilizzate per la comparazione dei risultati di laboratorio inoltre non aveva tenuto conto del differente sviluppo delle popolazioni asiatiche rispetto a quelle occidentali ed aveva indicato un margine di errore di due anni in eccesso o in difetto che, nella specie, erano dirimenti. Richiama tutta la normativa di riferimento per l'attribuzione dell'età dei minori di cui non si conoscono con certezza le generalità ed afferma che, nella specie, non erano state seguite le linee-guida. Conclude nel senso che il diniego della rinnovazione della perizia non solo integrava il vizio d'illegittimità della mancata acquisizione di una prova decisiva, ma anche quello di manifesta illogicità e contraddittorietà della decisione. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Sin dal primo grado l'imputato ha sostenuto che i rapporti con la ragazza erano stati consensuali e che non era consapevole della sua reale età, inferiore ad anni quattordici. Già il Tribunale aveva osservato a che il perito aveva concluso in modo argomentato che l'età ossea della persona offesa era coerente con l'età desumibile dai suoi documenti d'identità e che il margine d'errore di queste analisi era ridotto fino al diciottesimo anno d'età, b che la stessa persona offesa aveva affermato di essere nata nel 1992, che l'aveva detto all'imputato in una telefonata prima del suo compleanno e che invece non gli aveva mai detto che i dati del suo documento d'identità fossero falsi. Aveva anche solidamente motivato sull'attendibilità della ragazza e sulla non credibilità della versione dell'imputato che aveva affermato che la persona offesa gli aveva comunicato una maggiore età non risultante dai documenti perché la madre aveva dichiarato il falso per consentirle di ottenere facilmente i documenti per l'espatrio. Ed invero, anche le deboli discrasie nel racconto della ragazza erano state spiegate per il comprensibile stato di confusione e timore dovuto alla necessità di fronteggiare una drammatica situazione senza i genitori che non erano stati presenti né al momento del ricovero ospedaliero né dell'espulsione del feto. Successivamente, invece, durante la collaborazione con gli inquirenti non aveva manifestato incertezze. Peraltro, l'imputato dichiarando di aver comunque saputo che la data di nascita sul documento era falsa non poteva considerarsi irresponsabile perché l'incertezza della data di nascita avrebbe imposto uno specifico impegno conoscitivo. Accontentandosi invece delle rassicurazioni della ragazza, ammesso di averle effettivamente ricevute, aveva consapevolmente accettato il rischio di compiere atti sessuali con una dodicenne. La Corte territoriale ha motivatamente escluso la rinnovazione della perizia sull'età della ragazza, perché la relativa richiesta non appariva sufficientemente giustificata in ragione della solidità, logicità e congruenza del parere del perito, il quale aveva ben spiegato i criteri utilizzati nel corso dell'indagine tesi a ridurre il margine d'errore, parere peraltro corroborato dalle risultanze del documento identificativo e dalle dichiarazioni della ragazza. Ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è disposta d'ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria. La decisione è in linea con la giurisprudenza di legittimità. I due commi precedenti riguardano rispettivamente l'ipotesi in cui la richiesta provenga dalla parte ed il giudice non sia in grado di decidere allo stato degli atti e l'ipotesi in cui le nuove prove siano sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, mentre nell'ipotesi del comma 1 e del comma 3 è necessaria la dimostrazione in positivo della necessità del mezzo di prova da assumere che diventa assoluta nell'ipotesi del comma 3 , per il comma 2 è richiesta la prova negativa della manifesta superfluità e della irrilevanza del mezzo, al fine di superare la presunzione, opposta, di necessità della rinnovazione, discendente dalla impossibilità di una precedente articolazione della prova, in quanto sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado si veda tra le più recenti, Cass., Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017, D. e altro, Rv. 269334 . Nella specie la Corte territoriale ha reso una motivazione accurata e non manifestamente illogica o contraddittoria dei motivi per cui ha ritenuto di non disporre, neanche d'ufficio, la rinnovazione della perizia, non solo mostrando motivata adesione alle conclusioni del perito che ha ritenuto corrette, all'esito del percorso valutativo delle risultanze delle analisi eseguite, ma anche focalizzando l'attenzione su altri due profili parimenti decisivi e non oggetto di specifica doglianza del ricorso per cassazione, e cioè che il dato anagrafico ricavato dal medico legale era in linea con quanto risultante dal documento della giovane e coerente con il suo narrato che aveva avuto ad oggetto proprio la negazione della tesi difensiva dell'inganno o dell'ignoranza sull'età. Già il primo Giudice aveva dimostrato come le dichiarazioni dell'imputato, lungi dal giustificare un'ipotesi assolutoria, avevano finito per suffragare la sua responsabilità. Tali conclusioni sono state condivise dalla Corte territoriale e vanno in questa sede confermate, perché è parimenti consolidato in giurisprudenza l'orientamento secondo cui l'ignoranza o il dubbio dell'età della persona offesa scriminano solo se diligentemente valutati dall'imputato Cass., Sez. 3, n. 775 del 4/4/2017, dep. 2018, VH, Rv 271862 , ciò che nella specie non è avvenuto come accertato dai Giudici di merito con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria. Per tali motivi, il secondo motivo, pur diffusamente articolato dal ricorrente in ordine ai criteri utilizzati dal perito, finisce con l'essere generico e non rilevante rispetto al percorso logico-razionale seguito dai Giudici di merito. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.