Per la causa ostativa all'estinzione del reato, è necessaria la condanna definitiva per il delitto commesso nel quinquennio

Ai fini dell’estinzione del reato, accertato con decreto penale di condanna, per la commissione nel quinquennio di altro reato della stessa indole, è necessario che questo venga accertato con sentenza passata in giudicato, ancorché pronunciata oltre il quinquennio.

È il principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 17411/19, depositata il 23 aprile. Il caso. Il Tribunale di Padova, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza volta ad ottenere la declaratoria di estinzione del reato per decorso del termine di cui all’art. 460, comma 5, c.p.p Il Tribunale riteneva ostativa la pendenza di un procedimento penale per altro reato della stessa indole commesso nel quinquennio, già giudicato in primo grado. Impugnando la decisione con ricorso per cassazione, il difensore lamenta che la condizione ostativa per il riconoscimento dell’estinzione del reato non può consistere in una sentenza non ancora irrevocabile in quanto tale soluzione violerebbe il principio costituzionale di non colpevolezza dell’imputato fino a sentenza definitiva. Estinzione del reato. Con il ricorso viene dunque sollevato uno specifico quesito in ordine alla causa ostativa all’estinzione del reato, per il quale sia stato emesso decreto di condanna, della commissione entro il termine di 5 o 2 anni di un delitto o contravvenzione della stessa indole è sufficiente la perpetrazione di un altro illecito o deve necessariamente intervenire una sentenza irrevocabile che lo accerti? Alla luce dei principi generali dell’ordinamento e degli orientamenti interpretativi consolidati, il Collegio afferma che l’estinzione del reato per il quale sia stato omesso decreto penale di condanna è impedita dalla commissione di un delitto nel termine di 5 anni, decorrente dall’irrevocabilità del decreto, a condizione che l’ulteriore reato sia accertato con sentenza passata in giudicato, ancorché pronunciata oltre il quinquennio . Nel caso di specie, al momento della pronuncia dell’ordinanza impugnata non risultava che il ricorrente avesse riportato condanna definitiva per altro delitto commesso nei 5 anni dall’irrevocabilità del decreto di condanna. Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Padova.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 marzo – 23 aprile 2019, n. 17411 Presidente Di Tomassi – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 29 agosto 2018 il Tribunale di Padova, pronunciando in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza, proposta nell’interesse di C.E. , volta ad ottenere la declaratoria per decorso del termine di cui all’art. 460 c.p.p., comma 5, di estinzione del reato, contestatogli nel procedimento definito con decreto penale di condanna, emesso dal G.i.p. del Tribunale di Padova in data 28/01/2008, irrevocabile il 19/04/2008. A fondamento della decisione il Tribunale riteneva ostativa dell’accoglimento dell’istanza la pendenza a carico del C. di un procedimento penale per altro reato della stessa indole, commesso in data 21 maggio 2011, quindi nel quinquennio, per il quale gli era stata inflitta con sentenza di primo grado la pena di mesi quattro, giorni quindici di reclusione, e ciò a prescindere dal suo accertamento con sentenza irrevocabile. 2.Ricorre per cassazione C.E. , a mezzo del difensore, deducendo a violazione di legge in relazione all’art. 460 c.p.p., comma 5 la condizione ostativa dell’invocata estinzione del reato non può consistere nella pronuncia, nel termine di cinque anni previsto dalla legge, di una sentenza di condanna per nuovo reato, se la stessa non sia anche già divenuta irrevocabile, non essendo sufficiente la mera commissione del reato stesso, perché in tal modo si violerebbe il principio costituzionale di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva b mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla ritenuta carenza dei presupposti necessari per la declaratoria di estinzione del reato. La motivazione del provvedimento impugnato evidenzia soltanto quanto emerso dal certificato dei carichi pendenti, elemento insufficiente per respingere l’istanza. 3. Il Procuratore Generale, Dott. Stefano Tocci, nella sua requisitoria ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento. 1.La disposizione di cui all’art. 460 c.p.p., comma 5, al terzo periodo stabilisce che il reato è estinto se nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale e la condanna non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena . La chiara formulazione della norma autorizza a ritenere che costituisce ostacolo all’estinzione del reato, per il quale sia stato emesso decreto di condanna, la commissione entro il termine di cinque o due anni, decorrente dal passaggio in giudicato del provvedimento monitorio, di un delitto, oppure di una contravvenzione della stessa indole. Il quesito giuridico posto dalla concreta vicenda esecutiva impone di accertare se sia sufficiente la perpetrazione di altro illecito di consistenza e nei termini richiesti dalla norma, oppure se debba intervenire pronuncia giudiziale irrevocabile che lo accerti. Il Giudice dell’esecuzione, senza essersi nemmeno posto tale interrogativo, ha ritenuto di propendere per la prima soluzione, che però non è coerente con i principi generali dell’ordinamento e con gli orientamenti interpretativi, affermatisi nella giurisprudenza di legittimità. 1.1 La regola di matrice costituzionale che presume l’innocenza dell’imputato sino all’intervento della condanna definitiva, sancita dall’art. 27 Cost., comma 2, non consente di assegnare rilievo quale causa impeditiva dell’estinzione del reato, per il quale sia stato emesso decreto di condanna, né alla mera notitia criminis , né al verdetto di colpevolezza che non sia incontrovertibile per non essere ancora passata in giudicato la relativa pronuncia, in quanto un reato attribuito a un determinato soggetto non può ritenersi da questi commesso sino a che non sia stato accertato con sentenza definitiva, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 107 del 4/06/1998. La Consulta, nel sindacare la legittimità costituzionale dell’art. 445 c.p.p., comma 2, che strutturalmente presenta la stessa formulazione dell’art. 640 c.p.p., comma 5, e la medesima ratio quanto al meccanismo di estinzione del reato, ha dichiarato manifestamente infondata la questione sollevata in riferimento all’interpretazione della norma, suggerita dall’autorità remittente, come impositiva nei confronti della parte dell’onere di provare di non avere commesso nessun delitto o contravvenzione nel termine di cinque anni previsto dalla legge e ha respinto come infondati entrambi i presupposti sui quali era stata denunciata l’incostituzionalità della norma. Ha da un lato affermato che l’effetto preclusivo dell’estinzione del reato non consegue al mero fatto di avere commesso un reato della specie stabilita entro il termine prescritto, ma all’accertamento della responsabilità contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna, che può anche intervenire dopo la scadenza del termine di cinque o due anni, analogamente a quanto gli interpreti sostengono in riferimento all’istituto affine dell’estinzione del reato per il quale sia stata concessa la sospensione condizionale della pena art. 167 c.p. e della revoca di diritto della sospensione nel caso in cui il condannato commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole nei termini stabiliti art. 168 c.p., comma 1, n. 1 . Quanto all’altro presupposto, ha escluso che sul condannato gravi l’onere di provare l’inesistenza di elementi per negare l’estinzione del reato, spettando al giudice dell’esecuzione condurre la relativa indagine mediante l’acquisizione del certificato del casellario giudiziale per verificare, nell’esercizio dei poteri istruttori conferitigli dall’art. 666 c.p.p., comma 5, se siano o meno intervenute sentenze irrevocabili di condanna relative a reati successivamente commessi entro il termine previsto. 1.2La giurisprudenza di legittimità ha più di recente superato l’orientamento precedente Cass., sez. 3, n. 36993 del 07/07/2011, Marilli, rv. 251389 sez. 1, n. 1281 del 20/11/2008, dep. 2009, Ciracì, rv. 242664 sez. 1, n. sez. 2, n. 4853 del 22/10/1999, Esposito ed altri, rv. 214666 , volto ad escludere la possibilità di estinzione in presenza di un procedimento penale pendente per altro reato successivamente commesso. In coerenza con i principi affermati dalla Corte costituzionale quanto ai presupposti per l’estinzione del reato oggetto della sentenza di patteggiamento, ha condiviso la necessità di operare la distinzione tra il fatto oggettivo in senso naturalistico del comportamento illecito, che per essere rilevante deve collocarsi nel periodo indicato dalla legge e quello dell’accertamento giudiziale della relativa responsabilità, che può anche verificarsi successivamente, ma che deve essere già intervenuto per impedire l’estinzione sez. 1, n. 43792 del 24/09/2015, Zampini, rv. 264753 sez. 1, n. 32801 del 7/07/2005, Cazzaniga, rv. 232301 . 1.3 Ritiene il Collegio che, seppur espressa in riferimento al meccanismo estintivo previsto per il patteggiamento, non sussistano validi argomenti per discostarsi da tale linea interpretativa, posto che l’art. 460 c.p.p., comma 5, presenta formulazione esattamente corrispondente a quella dell’art. 445 c.p.p., comma 2, anche in riferimento alle conseguenze dell’estinzione in termini di cessazione degli effetti penali della condanna e di irrilevanza della condanna stessa ai fini dell’accesso da parte dell’imputato ad una successiva sospensione condizionale della pena. Non convince, invece, l’argomento sul quale si è basata l’opposta soluzione, secondo la quale non può ritenersi realizzata la condizione dalla quale l’art. 445 c.p.p., fa discendere l’estinzione del reato, oggetto di sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per l’impossibilità di una declaratoria di estinzione subordinata all’eventuale revoca conseguente all’accertamento definitivo, con sentenza passata in giudicato, della colpevolezza per il suddetto nuovo reato. Seppur risponda al vero che l’ordinamento non disciplina, a differenza di quanto accade per la sospensione condizionale della pena, nessun tipo di revoca della declaratoria di estinzione del reato già accordata, che, di conseguenza, una volta riconosciuta, non potrebbe in nessun modo essere posta nel nulla pur in presenza della condizione impeditiva, il difetto di una disposizione di legge che tanto stabilisca non può tradursi in un pregiudizio per l’imputato, che ha interesse ad una rapida definizione del procedimento di esecuzione. Paralizzare o respingere l’istanza di estinzione in attesa di un evento processuale incerto quanto al risultato ed ai tempi di realizzazione sarebbe irragionevole e contrario al principio di presunzione di innocenza sino ad accertamento irrevocabile. Deve dunque essere formulato il seguente principio di diritto l’estinzione del reato per il quale sia stato emesso decreto penale di condanna è impedita dalla commissione di un delitto nel termine di cinque anni, decorrente dall’irrevocabilità del decreto, a condizione che l’ulteriore reato sia accertato con sentenza passata in giudicato, ancorché pronunciata oltre il quinquennio . Pertanto, poiché al momento della pronuncia dell’ordinanza impugnata non risultava che il ricorrente avesse riportato condanna definitiva per altro delitto, commesso nei cinque anni dall’irrevocabilità del decreto di condanna, l’ordinanza impugnata, affetta da erronea interpretazione della legge, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Padova per il rinnovato esame dell’istanza del ricorrente, da condursi alla stregua dei principi sopra enunciati e nella considerazione di eventuali nuovi elementi sopravvenuti quanto ad ulteriori condanne nel frattempo passate in giudicato. P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Padova.