Mettere in vendita prodotti scaduti costituisce reato?

I Giudici di legittimità chiariscono la natura di illecito amministrativo, e non di reato, della fattispecie che ha ad oggetto la cessione o la vendita di prodotti alimentari che abbiano superato la loro data di scadenza.

Così si esprime la Suprema Corte con la sentenza n. 17063/19, depositata il 18 aprile. I fatti. Il Tribunale di Bari riconosceva la responsabilità penale dell’imputato per aver posto in vendita oltre alla data di scadenza alcune confezioni di latte che si trovavano in uno stato di cattiva conservazione, condannandolo al pagamento di euro 2000 di ammenda a seguito della violazione dell’art. 5, comma 1, lett. b , l. n. 283/1962 Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande . Mediante ricorso per Cassazione, l’imputato lamenta, tra gli altri motivi, una violazione della legge a causa dell’erronea qualificazione della condotta, intesa come sussumibile nella fattispecie delineata dall’art. 5 della legge citata semplicemente in base al fatto che la data di scadenza dell’alimento ne integrasse l’elemento costitutivo. Data di scadenza e stato di conservazione. I Giudici di legittimità sottolineano come l’unico elemento da cui il Tribunale ha erroneamente dedotto la cattiva conservazione del prodotto è il superamento della data di scadenza, chiarendo che lo stato di cattiva conservazione si riferisce a tutte quelle situazioni in cui gli alimenti, pur essendo ancora genuini e sani, si presentano mal conservati, cioè confezionati o venduti senza l’osservanza delle prescrizioni dettate a garanzia della loro buona conservazione dal punto di vista igienico-sanitario. A tali situazioni, continua la Corte, si connette la previsione sancita dalla lett. b dell’art. 5, l. n. 283/1962, che completa il quadro di protezione degli alimenti dal momento della produzione a quello della distribuzione sul mercato, coinvolgendo, dunque, anche l’aspetto relativo alla loro conservazione. Proprio in questa prospettiva, la Corte ribadisce che la data di scadenza del prodotto, quando è obbligatoriamente prevista, non ha nulla a che fare con le modalità di conservazione dei prodotti alimentari. Reato o illecito amministrativo? Gli Ermellini dichiarano fondato il ricorso sulla base del motivo appena illustrato, annullando la sentenza impugnata senza alcun rinvio. La Corte richiama il principio in base al quale la vendita dei prodotti alimentari confezionati per i quali sia prevista l’indicazione da consumarsi preferibilmente entro il” ovvero da consumarsi entro il” non costituisce reato qualora la data sia superata, ma solamente un illecito amministrativo di cui agli artt. 10 e 18 d.lgs. n. 109/1992, salvo che non sia stato accertato in concreto lo stato di cattiva conservazione dell’alimento, principio rimasto valido anche dopo l’introduzione dell’art. 10- bis d.lgs. n. 181/2003 Attuazione della direttiva 2000/13/CE concernente l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità . Dunque, stante la vigente disciplina, l’illecito in questione ha rilevanza esclusivamente sul piano amministrativo, rievocando a tal fine anche l’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 231/2017 nella parte in cui prevede che quando un alimento è ceduto/venduto al consumatore oltre la sua data di scadenza, il cedente/venditore è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma che va dai 5000 ai 40000 euro. Per questo motivo, la Corte annulla la sentenza impugnata trasmettendo gli atti all’ASL di Bari, soggetto competente ai fini dell’accertamento degli illeciti amministrativi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 gennaio - 18 aprile 2019, n. 17063 Presidente Lapalorcia – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 6 luglio 2017, il Tribunale di Bari ha dichiarato la penale responsabilità di R.L.A.M. in ordine al reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, comma 1, lett. b , per aver posto in vendita, oltre la data di scadenza, quattro confezioni di latte in cattivo stato conservazione, e lo ha condannato alla pena di Euro 2000 di ammenda. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso, nell’interesse dell’imputato, il suo difensore, deducendo tre motivi. 3. Con il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 464 bis, 122 e 99 c.p.p., e la conseguente nullità della sentenza ex art. 178 c.p.p., lett. c , per aver il giudice consentito al difensore di rinunciare alla richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, avanzata personalmente dall’imputato, benché il medesimo difensore non fosse munito di una valida procura speciale. La nullità del provvedimento di revoca della richiesta determina la nullità degli atti successivi sino alla sentenza di condanna. 4. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale per essere stata erroneamente qualificata la condotta come sussumibile nella fattispecie di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, sul mero rilievo che il superamento della data di scadenza del prodotto integrasse l’elemento costitutivo del reato di cattivo stato di conservazione dell’alimento. 5. Con il terzo motivo si deducono vizio di motivazione e violazione dell’art. 131 bis c.p., per mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità sul rilievo che la vendita dei prodotti era avvenuta a quasi tre mesi dalla data di scadenza, sicché il grado di colpa era elevato, senza considerare che gli esami di laboratorio sulla qualità dell’alimento non avevano riscontrato anomalie e che l’assuntore del medesimo non aveva avuto problemi di salute. 6. Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo e può essere deciso con sentenza a motivazione semplificata. Nella giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidato il principio secondo cui la commercializzazione di prodotti alimentari confezionati, per i quali sia prescritta l’indicazione da consumarsi preferibilmente entro il , o quella da consumarsi entro il , non integra, ove la data sia superata, alcuna ipotesi di reato, ma solo l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 10, comma 7, e art. 18, a meno che non sia accertato in concreto lo stato di cattiva conservazione delle sostanze alimentari Sez. 3, n. 30858 del 27/06/2008, Amantia e altro, Rv. 240755 Sez. 3, n. 2144 del 24/01/1996, Sanguineti, Rv. 204562 . Il principio - più di recente ribadito da Sez. 3, n. 30425 del 11/07/2012, Scognamiglio, non massimata - è rimasto valido anche dopo le modifiche apportate alla citata disciplina dal D.Lgs. n. 23 giugno 2003, n. 181, che ha sostituito il D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 10, e aggiunto l’art. 10 bis, il cui comma 5 ha riprodotto il testo dell’originario art. 10, comma 7, statuendo che è vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione . Anche la violazione delle norme contenute nell’art. 10 bis, è stata poi sanzionata solo amministrativamente dal D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 18, comma 2, nel testo parimenti sostituito dal D.Lgs. n. 181 del 2003. Premesso che la sentenza impugnata dà atto di come le analisi di laboratorio non abbiano riscontrato anomalie circa la qualità del prodotto, l’unico elemento da cui il giudice ha dedotto la cattiva conservazione è il superamento della data di scadenza riportata sulle confezioni, non essendo stata accertata alcuna inosservanza di prescrizioni dettate specificamente a garanzia della buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirino a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione, come invece richiesto perché possa dirsi integrato il reato contestato cfr. Sez. U. n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, Timpanaro, Rv. 203094 . Proprio le Sezioni unite, di fatti, hanno affermato il principio più sopra riportato, puntualizzando che il cattivo stato di conservazione delle sostanze alimentari riguarda quelle situazioni in cui le sostanze stesse, pur potendo essere ancora perfettamente genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate o confezionate o messe in vendita senza l’osservanza di quelle prescrizioni - di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi generali - che sono dettate a garanzia della loro buona conservazione sotto il profilo igienico-sanitario e che mirano a prevenire i pericoli della loro precoce degradazione o contaminazione o alterazione. A tali situazioni si riferisce la previsione normativa di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b , che ha il ruolo di completare, in armonia con le differenti ipotesi previste dallo stesso articolo, il quadro di protezione e tutela delle sostanze alimentari dal momento della produzione a quello della distribuzione sul mercato e, quindi, anche a quello, rilevante, della loro conservazione. In tale prospettiva la data di scadenza del prodotto, là dove ne è prevista l’indicazione obbligatoria, non ha nulla a che vedere con le modalità di conservazione dei prodotti alimentari Sez. U. n. 1 del 27/09/1995, dep. 1996, Timpanaro, Rv. 203094 . 6.1. Benché il citato D.Lgs. n. 109 del 1992 sia stato abrogato dal D.Lgs. 15 dicembre 2017, n. 231, art. 30, - recante disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento UE n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento UE n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi della L. 12 agosto 2016, n. 170, art. 5, Legge di delegazione Europea 2015 - al momento di commissione dei fatti e del giudizio reso esso era ancora vigente, posto che, a norma del D.Lgs. n. 231 del 2017, art. 31, detto provvedimento è entrato in vigore decorsi novanta giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 8 febbraio 2018. In ogni caso, la vigente disciplina riproduce le citate disposizioni sulla rilevanza esclusivamente amministrativa dell’illecito in parola, inasprendo, peraltro, le sanzioni pecuniarie. In particolare, il D.Lgs. n. 231 del 2017, art. 12, comma 3, prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, quando un alimento è ceduto a qualsiasi titolo o esposto per la vendita al consumatore finale oltre la sua data di scadenza, ai sensi dell’art. 24, e dell’allegato X del regolamento, il cedente o il soggetto che espone l’alimento è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 5.000 Euro a 40.000 Euro . 6.2. Essendo evidente, pertanto, che il fatto non è previsto dalla legge come reato, la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio per tale ragione e deve ordinarsi la trasmissione degli atti all’ASL di Bari, autorità competente per l’accertamento dell’illecito amministrativo quale vigente all’epoca dei fatti, giusta la previsione di cui al D.Lgs. n. 109 del 1992, art. 18, comma 4 cfr. Sez. 3, n. 30425 del 11/07/2012, Scognamiglio . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e dispone la trasmissione degli atti alla AUSL di .