Uccisione e danneggiamento di animali altrui o maltrattamento? La Cassazione segna il confine

In tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie di uccisione e maltrattamento di animali previsti agli artt. 544- bis e 544- ter c.p., si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all’art. 638 c.p., sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale, sia per la diversità dell’elemento soggettivo.

Lo ha chiarito la Suprema Corte con sentenza n. 16755/19 depositata il 17 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze dichiarava di non doversi procedere nei confronti dell’imputata perché il reato di cui all’art. 544- ter c.p. a lei ascritto si era estinto per prescrizione. Venivano però confermate le statuizioni in favore delle parti civili costituite da ENPA, WWF e LAV e la confisca degli animali sequestrati. Avverso tale decisione, l’imputata ricorre per cassazione sostenendo, con il primo motivo, che i Giudici avrebbero dovuto decidere per la sua assoluzione perché il fatto non sussiste o comunque non costituisce reato per carenza di dolo e censurando, con il secondo, la mancata riqualificazione del fatto ex art. 727, comma 2, c.p., dal momento che ad essa poteva essere rimproverato il solo trasporto di animali in precarie condizioni. Nuove fattispecie. Trattando i primi due motivi di impugnazione congiuntamente, la Corte di Cassazione afferma che, in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie di uccisione e maltrattamento di animali previsti agli artt. 544- bis e 544- ter c.p., si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all’art. 638 c.p., sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale, sia per la diversità dell’elemento soggettivo, giacché nel solo art. 638 c.p. la consapevolezza dell’appartenenza dell’animale ad un terzo è elemento costitutivo del reato . Nel corso del giudizio di merito, secondo la Corte, i Giudici hanno logicamente osservato che agli animali era stata inflitta una sofferenza inutile, giustificata solo dall’interesse economico dell’imputata e non dal loro benessere futuro. Ritenendo, dunque, corretta la motivazione del Tribunale che ha legato l’accertamento di responsabilità all’inflizione agli animali di condizioni contrarie al senso di umanità ed insopportabili per le loro caratteristiche, la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 novembre 2018 – 17 aprile 2019, n. 16755 Presidente Aceto – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 25 novembre 2015 la Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza del 4 marzo 2009 del Tribunale di Arezzo, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di F.A. per essere il reato a lei ascritto, di cui all’art. 544 c.p., rectius art. 544 ter , estinto per prescrizione, con la conferma tanto delle statuizioni in favore delle parti civili costituite Enpa, Wwf e Lav, quanto della confisca degli animali in sequestro, devoluti all’Enpa. 2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto personalmente ricorso per cassazione articolato su tre motivi di impugnazione. 2.1. In particolare, col primo motivo la ricorrente ha sostenuto che avrebbe dovuto essere assolta perché il fatto non sussiste ovvero non costituisce reato per carenza di dolo. In specie, la stessa aveva accettato di prendere in carico, a fini di accudimento, quarantuno cani presenti nell’allevamento del dove si era recata per acquistare solo alcuni esemplari per la propria omologa attività nel Viterbese , benché il proprio veicolo non fosse in grado di trasportarli tutti. Al riguardo, peraltro, la condotta tenuta nell’occasione molte fermate di ristoro, velocità moderata dell’automezzo, orario non notturno era per vero opposta a quella che avrebbe dovuto osservare se fosse stata davvero autrice di un illecito trasporto, come era stato invece illogicamente sostenuto dalla Corte territoriale. 2.2. Col secondo motivo altresì la ricorrente ha censurato la mancata riqualificazione del fatto a norma dell’art. 727 c.p., dal momento che all’imputata poteva essere rimproverato al più solamente il trasporto degli animali in precarie condizioni. Né sussisteva il quid pluris richiesto dall’ipotesi di cui all’art. 544-ter cit 2.3. Col terzo motivo infine è stata contestata l’entità, esorbitante, del risarcimento del danno morale in favore delle costituite parti civili. 2.3.1. In ogni caso era quindi richiesta una rideterminazione del risarcimento del danno liquidato. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 4.1. Per quanto riguarda i primi due motivi di impugnazione, che possono essere trattati congiuntamente, questa Corte ha già osservato che, in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, le nuove fattispecie di uccisione e maltrattamento di animali degli artt. 544 bis e 544 ter c.p., si differenziano dalla fattispecie di uccisione o danneggiamento di animali altrui di cui all’art. 638 c.p., sia per la diversità del bene oggetto di tutela penale proprietà privata nell’art. 638 c.p., e sentimento per gli animali nelle nuove fattispecie , sia per la diversità dell’elemento soggettivo, giacché nel solo art. 638 c.p., la consapevolezza dell’appartenenza dell’animale ad un terzo è elemento costitutivo del reato Sez. 2, n. 24734 del 26/03/2010, Zanzurino, Rv. 247744 . Laddove comunque la nozione di lesione, sebbene non risulti perfettamente sovrapponibile a quella prevista dall’art. 582 c.p., implica comunque la sussistenza di un’apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell’animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia comunque diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva od omissiva Sez. 3, n. 32837 del 27/06/2013, Prota e altro, Rv. 255910 . 4.1.1. Ciò ricordato, vero è che l’art. 544 ter c.p., sanziona colui che, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Al riguardo, già la difesa della ricorrente, ribadita anche in questa sede ossia di avere provveduto ad un trasporto palesemente inadatto e sovraffollato, al solo scopo di recare sollievo ad animali malandati e di provvedere alla loro cura nel canile di destinazione gestito dall’odierna ricorrente - sarebbe stata tale da giustificarne la penale responsabilità sebbene ormai ogni eventuale reato è estinto per l’intervenuta, pacifica, prescrizione . Come è stato correttamente osservato dalla Corte territoriale, infatti, l’intervento di assistenza avrebbe potuto essere agevolmente compiuto interessando le competenti autorità veterinarie del , dove si trovavano i cani da tutelare , senza disporne un trasloco oggettivamente improponibile per condizioni di viaggio, lunghezza del percorso, insufficienza degli spazi destinati all’accoglienza degli animali, stipati senz’aria e senza possibilità di difesa dalle stesse proprie deiezioni. Tanto più che la ricorrente, professionista del settore in quanto titolare di allevamento, si sarebbe facilmente destreggiata nelle eventuali incombenze burocratiche da affrontare per il ricovero nelle strutture emiliane. Del tutto logicamente, quindi, i Giudici del merito - le cui motivazioni formano un corpus unitario, atteso che la pretesa riforma operata dalla Corte di Appello si è resa necessaria solamente in esito all’inevitabile decorso del tempo ed ai conseguenti effetti estintivi sul reato contestato - hanno così osservato che agli animali era stata inflitta, deliberatamente e senza necessità, una sofferenza giustificata invece solamente dall’interesse economico dell’imputata, e non certamente dal loro agognato benessere futuro. In definitiva, pertanto, e tenuto conto che il prospettato viaggio da omissis a omissis era stato fortunatamente interrotto poco oltre la metà dal fortuito intervento degli agenti della Polizia stradale, vi era piena consapevolezza da una parte, e palese disinteresse dall’altra, circa la totale incongruità delle condizioni di trasporto, cui la ricorrente si era comunque decisa per il proprio tornaconto economico, ovvero senza alcuna seria necessità per gli animali anche a seguire la giustificazione addotta . Tutto ciò a prescindere dall’intervento degli agenti della Polizia stradale, i quali se non altro hanno impedito la prosecuzione di un viaggio oltremodo penoso per i cani, non potendo tra l’altro non contenerli nell’immediatezza, trattandosi di fermo del veicolo avvenuto in pericolosa area autostradale il veicolo condotto dal coniuge dell’odierna ricorrente era stato infatti bloccato in area di servizio dell’autostrada Al in territorio di Arezzo . Per completezza, in ogni caso, va altresì osservato che comunque la ricorrente, per distogliere la propria responsabilità, ha altresì sostenuto che i cani che aveva deciso di salvare si trovavano in pessime condizioni generali. Va da sé che ancor più grave si presenta la condotta perseguita, atteso che le condizioni di trasporto impossibili a prescindere da accorgimenti migliorativi più o meno provati e più o meno efficaci sarebbero state deliberatamente la responsabilità è invero di natura dolosa imposte ad animali già in difficoltà, le cui condizioni ammalorate - ancorché in parte per eventi transeunti - erano indubbie. Tanto più che il comportamento era stato posto in essere da un soggetto professionalmente attrezzato, proprio per la sua attività commerciale, a comprendere e a rappresentarsi le esigenze e i bisogni degli stessi animali. Se pertanto il bene offeso è rappresentato dalla pietas nei riguardi degli animali cfr. altresì Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Borgia, Rv. 238457 , ossia da quel sentimento umano che induce alla ribellione nei confronti di coloro che incrudeliscono ovvero infliggono inutili sofferenze, tanto più nei riguardi dell’animale antropizzato per eccellenza come il cane, i provvedimenti di merito vanno sicuramente esenti da censura. In particolare, del tutto condivisibile si presenta la motivazione del Tribunale aretino, che appunto ha legato l’accertamento di responsabilità all’inflizione agli animali di condizioni, anche provvisorie, contrarie al senso di umanità ed insopportabili per le loro caratteristiche. 4.2. In relazione al terzo motivo di censura, ed alla stregua di quanto appena osservato, pieno ed integrale deve anzitutto essere il diritto delle costituite parti civili a conseguire il risarcimento del danno in ragione della configurabilità dell’ipotesi dolosa di cui all’art. 544-ter c.p. non ricorrendo - né essendo stata per vero palesata alcuna ipotesi riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 129 c.p.p. . Vero è, poi, che la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l’obbligo motivazionale mediante l’indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l’ammontare del risarcimento ad es. Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229 cfr. altresì Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli e altro, Rv. 263450 . In specie, contrariamente ai rilievi della ricorrente, ciò hanno provveduto a compiere i Giudici territoriali, ampiamente descrivendo i fatti di giudizio e sottolineando d’altro canto la natura delle parti civili quali enti esponenziali titolari del diritto al risarcimento del danno, invero dando conto altresì della non marginale condotta posta in essere dall’imputata. Né, al di là della mera allegazione, quest’ultima ha dedotto alcunché in ordine all’affermata esorbitanza della liquidazione cfr. Sez. 5, n. 43053 del 30/09/2010, Arena, Rv. 249140 , non sussistendo tra l’altro componenti patrimoniali suscettibili di precisa determinazione. 5. In definitiva, pertanto, l’impugnazione non è idonea a scalfire la ratio delle pronunce di merito, ed anzi proprio nelle allegazioni proposte se ne desume l’infondatezza. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso. 5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. 5.2. Deve infine provvedersi, nei termini di cui al dispositivo, alla condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Ente Nazionale Protezione Animali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, Ente Nazionale Protezione Animali, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre spese generali al 15%, e accessori di legge.